Sono ancora tuo figlio, mamma: lettera che non potevo non scrivere

“Son sempre tuo figlio, mamma: la lettera che non ho potuto evitare di scriverti

Mamma, forse a volte ti siedi in cucina da sola, sfogliando quei biglietti di auguri ingialliti dove tutti sorridono per la mia nascita. Persone che ora non ci sono più. Conservi ancora la mia prima tutina, quel dentino da latte, una ciocca dei miei capelli biondi. Come se volessi fermare il tempo in cui ero piccolo. Gli album non possono riavvolgere gli anni, ma tu li proteggi come tesori. Perché io sono tuo figlio.

Sono cresciuto. Ho più di trent’anni, un lavoro a Milano, un mutuo e responsabilità che riempiono ogni giorno. Eppure, mamma, resto quel bambino che tornava a casa con i ginocchi sbucciati e il voto basso in geometria. Tu non chiedevi spiegazioni: mi abbracciavi. Sapevo che forse il mondo mi avrebbe giudicato domani, ma quella sera ero solo amato. Senza condizioni.

Vorrei che sapessi: sono ancora lui. Solo che ora porto la cravatta, pago le bollette e telefono poco. Non per dimenticanza, ma per la vergogna di mostrarmi stanco, fragile, imperfetto. Quando tutto pesa, torno con la mente alla nostra casa di Napoli, all’odore della crostata e alla tua voce: «L’importante è che sei qui, il resto passa».

Ricordi quel cappotto grigio a quadri marroni che trovasti in soffitta? Lo comprasti grande “per durare”, e io feci i capricci pensando fossi ridicolo. Oggi ne ho uno simile, firmato Armani, pagato quanto l’arredamento di allora. Ma dentro sono sempre quel ragazzino. Tuo.

I nostri ricordi non sono solo immagini. Sono le mie radici. Tu sei l’unica che sa come piangevo di notte per la paura del buio, come mi nascosi sotto il tavolo quando morì Briciola. Hai vissuto ogni mio respiro. Per questo resto tuo figlio.

A volte, mamma, la stanchezza mi spezza. Il lavoro pretende eccellenza, a casa devo essere marito perfetto, padre presente. Solo da te posso essere semplicemente Matteo. Non mi chiedi perché non riesco, prepari la camomilla, posi la mano sulla mia spalla: «Riposati». È l’unico posto dove posso abbassare la guardia. Dove esisto senza maschere.

Niente è sicuro, in questo mondo. Società traditrici, amici che partono, figli che crescono. Tu sei come il Duomo di Milano: solida, immutabile. Non ho mai dubitato del tuo amore, neppure quando sbattevo le porte o tacevo per settimane.

Il tuo affetto non è un contratto. È come il sole che sorge ogni mattina. Ha superato prove, silenzi, errori. È la mia certezza.

Amo una donna, mamma. Lucia all’inizio ti confuse: «Cosa vi unisce?». Ti dico: mi ricorda te. Conserva i disegni dei bambini, annota le loro frasi buffe, ci avvolge nella sua calma. Accoglierà i nostri figli come facesti tu: feriti, impauriti, imperfetti… ma amati.

Guardando lei, temo meno il futuro. Ripensando a te, temo meno me stesso. Perché so: l’amore che ho ricevuto ora lo dono. In questo senso, tutto ha senso.

Grazie, mamma. Per ogni calzino rammendato, per le notti insonni, per ogni «andrà bene». Perché nonostante tutto… resto tuo figlio. Per sempre.”

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