«Sono incinta», dissi felice a mio marito. «Anch’io», rispose mia sorella uscendo dalla nostra camera da letto…

**Diario di Luca**

“*Sono incinta*,” dissi con gioia a mio marito. “*Anchio*,” rispose mia sorella, uscendo dalla nostra camera da letto

Il sorriso si diffuse sul mio volto senza che potessi fermarlo. *Finalmente*.

Marco, che era vicino alla finestra, si irrigidì. Non si voltò, ma nel riflesso del vetro vidi le sue spalle contrarsi. Aspettavo un abbraccio, un grido di felicità, qualsiasi cosa ma non quel silenzio gelido.

“*Anchio*,” sussurrò la voce di Silvia.

Mia sorella si avvicinò. Indossava la maglietta di Marco, quella che lui usava per dormire, la mia preferita. Si sistemò i capelli con un gesto così naturale, così familiare, che per un attimo mi mancò il respiro.

Nella mia mente lampeggiarono frammenti di ricordi a cui non avevo mai dato peso.

Marco che tornava tardi da “*riunioni di lavoro*”, e Silvia che passava “*per fare due chiacchiere*”, mentre controllava il telefono con ansia.

Loro che ridevano di battute che solo loro capivano, mentre io mi sentivo unestranea nella mia stessa vita.

“*Cosa?*” chiesi, anche se avevo sentito perfettamente. La mia voce era piatta, senza emozione.

“*Anna, posso spiegare*,” si voltò finalmente Marco, pallido come un lenzuolo. “*Non è quello che pensi. È stato un errore*.”

Silvia mi fissava senza vergogna. Nei suoi occhi non cera rimorso, solo stanchezza e una rabbia ostinata.

“*Non è un errore*,” tagliò corto. “*Smettila di mentire. Almeno adesso.*”

Marco le lanciò unocchiata furiosa.

“*Zitta!*”

Passai lo sguardo da lui a lei. Luomo con cui avevo costruito un futuro in cinque anni, e la sorella con cui avevo condiviso ogni segreto. Erano a due metri da me, ma sembravano separati da un abisso. E in quellabisso cadevano tutti i nostri “*noi*”i nostri progetti, le nostre promesse, il bambino che aspettavo.

“*Un errore, allora*,” ripetei con un sorriso amaro. “*Avete sbagliato insieme? O ognuno il proprio?*”

Marco fece un passo verso di me, le mani tese.

“*Anna, per favore, parliamone. Non ora. Silvia, vattene.*”

“*Non me ne vado*,” rispose lei, incrociando le braccia. “*Aspettiamo un bambino. E non permetterò che tu faccia finta di niente ancora una volta.*”

Mi appoggiai al muro, sentendo il freddo del marmo sulla schiena.

“*Fuori*,” sibilai.

“*Cosa?*”

“*Fuori. Tutti e due.*”

Non si mossero. La mia parola, che fino a pochi minuti prima aveva valore, ora era solo un suono vuoto.

Marco provò a parlare con quel tono conciliante che odiavo. “*Anna, non essere impulsiva. Sei una donna intelligente. Sì, ho sbagliato. Ma adesso dobbiamo pensare ai bambini. Ai nostri bambini.*”

“*Di quali ‘nostri’ bambini parli?*” ribattei, velenosa. “*Di quello che crescerà con una madre single, o di quello che nascerà dallamante di suo padre?*”

Silvia sussultò.

“*Non chiamarmi così. Non sai niente.*”

“*Davvero?*” Mi girai verso di lei. “*Allora dimmelo. Cosa dovrei sapere? Che hai dormito con mio marito nel mio letto? Non basta?*”

“*Non è andata così!*” La sua voce si fece più forte. “*Ci amiamo. Non è una stupidata.*”

Marco si prese la testa tra le mani.

“*Silvia, ti avevo chiesto di*”

“*Sono stanca di stare zitta!*” urlò. “*Stanca di essere un segreto, un errore da correggere! Anna, tu hai sempre avuto tutto. Il marito perfetto, la casa perfetta. Io? Sono sempre stata la seconda. Solo ‘la sorella di Anna’.*”

Le sue parole erano cariche di un risentimento antico. Non si stava giustificandomi stava accusando.

Ricordai quando, da piccole, nostra madre diceva: “*Anna è la brillante, Silvia la bella. A ognuno il suo.*” A quanto pare, Silvia non aveva mai accettato il suo “*suo*.”

“*Quindi hai deciso di prenderti il mio?*” chiesi piano.

“*Mi sono presa quello che era di nessuno!*” replicò. “*Lui non era felice con te. Tu non volevi vederlo.*”

Guardai Marco. Evitava il mio sguardo. E capii che Silvia aveva ragione. Non sullamore, ma sul fatto che lui laveva lasciata credere così, lamentandosi di me, creando tra loro un legame malato alimentato dalla sua debolezza e dalla sua invidia.

“*Bene*,” dissi, e vidi entrambi irrigidirsi. “*E allora? Cosa proponete? Vivere in tre? O farete un calendario?*”

Marco alzò la testa. “*Smettila! Non è costruttivo. Propongo di vivere separati per un po. Affitterò un appartamento a Silvia. Vi aiuterò entrambe. Ci serve tempo per pensare.*”

Parlava come se stesse discutendo un contratto. Una distribuzione di risorse.

“*Quindi vuoi che io stia qui, incinta, ad aspettare che tu ‘pensi’ a quale delle tue donne incinte tornare?*” Scoppiai a ridere, un suono straziante.

“*Anna, complici sempre tutto.*”

“*No, Marco. Sei tu che hai semplificato tutto. Riducendoti a un animale. Fuori di qui. E portala via. Le tue cose le prenderai più tardi. Quando non sarò a casa.*”

Presi il telefono e composi un numero a caso.

“*Pronto, sicurezza? Ci sono estranei nel mio appartamento. Sì, si rifiutano di andarsene.*”

Silvia mi lanciò unocchiata piena dodio. Marco era sorpreso. Non si aspettava di vedermi così. Era abituato alla “*brava Anna*”, quella che avrebbe perdonato tutto. Ma quella Anna era appena morta.

La mia chiamata era un bluff, ovviamente. Nella mia palazzina non cera nessuna sicurezza. Ma loro non lo sapevano.

“*Te ne pentirai, Anna*,” borbottò Marco, afferrando Silvia per un braccio. “*Stai cacciando di casa una donna incinta. Tua sorella.*”

“*Sto cacciando lamante di mio marito*,” correggo, guardandolo negli occhi. “*E tu sei solo un traditore.*”

Quando la porta si chiuse alle loro spalle, scivolaì lungo il muro a terra. Ma non piansi. Cera solo vuoto.

Il giorno dopo iniziò linferno.

Il mio capo mi chiamò. “*Anna, ciao. Senti, tuo marito ha telefonato Marco. Dice che è preoccupato per il tuo stato. Dice che con la gravidanza sei instabile.*”

Un brivido mi corse lungo la schiena.

“*Cosaltro ha detto?*”

“*Ha chiesto di concederti un congedo. Ha detto che potresti prendere decisioni affrettate.*”

Capii tutto. Non se nera solo andatostava cercando di distruggermi, facendomi sembrare pazza. Colpiva dove faceva più male: il mio lavoro, la mia reputazione, la mia indipendenza.

Un giorno dopo, un corriere consegnò una lettera dal suo avvocato. Un plico pieno di termini legali, che si riassumevano in un

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