Oggi ho un racconto da condividere, una storia che mi ha toccato profondamente.
“È venuta tua madre a prenderti, preparati.”
Si dice che ogni bambino in orfanotrofio aspetti queste parole con ansia. Ma Giulia sobbalzò come se avesse ricevuto uno schiaffo.
“Dai, muoviti, perché resti seduta?”
Maria Elisabetta la fissava, senza capire perché la ragazzina non fosse felice. Dopotutto, la vita in orfanotrofio non è certo una passeggiata. Eppure, mentre gli altri avrebbero fatto di tutto per tornare a casa, Giulia sembrava contrariata.
“Non voglio andare,” mormorò, voltandosi verso la finestra. La sua amica Silvia la guardò di sfuggita, ma non disse nulla. Nemmeno lei capiva quella reazione. Lei stessa avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare dalla sua famiglia, se solo qualcuno la volesse.
“Giulia, ma che ti prende?” chiese Maria Elisabetta. “Tua madre ti aspetta.”
“Non voglio vederla. E non voglio tornare da lei.”
Le altre ragazze ascoltavano curiose, e Maria Elisabetta capì che quella conversazione non era adatta a orecchie indiscrete.
“Vieni con me.”
Leducatrice condusse Giulia in un ufficio e la guardò con compassione.
“Tua madre ha commesso molti errori, è vero. Ma sta cercando di cambiare. Altrimenti non le avrebbero permesso di riprenderti.”
“Pensa che sia la prima volta?” Giulia sbuffò e scosse la testa. “È già la seconda volta che finisco in orfanotrofio. Quando mi riprese lultima volta, faceva finta di essersi ravveduta. Nascondeva le bottiglie, puliva la casa, comprava del cibo, trovava un lavoro. Quando vennero a controllare, sembrava tutto perfetto. Poi mi riportarono a casa, e lei ricominciò come prima. Ho bisogno solo per i sussidi.”
“Giulia, ma io non posso farci niente. E poi, a casa sarà comunque meglio”
“Meglio?! Sa cosa vuol dire patire la fame? O andare a scuola con scarpe rotte quando fuori ci sono meno cinque gradi? O nascondersi in camera e pregare che gli amici ubriachi di tua madre non entrino? Perché non le tolgono finalmente la patria potestà?!”
Le lacrime le rigavano il viso. Sì, lorfanotrofio non era il paradiso, ma almeno qui aveva da mangiare, vestiti decenti e un po di sicurezza. A casa era un incubo.
“Non posso aiutarti,” sospirò Maria Elisabetta.
Le dispiaceva davvero. Giulia era intelligente, vivace, cosa rara in un posto del genere. Forse anche sua madre, prima di affogare nellalcol, era stata una persona interessante. Eppure, dopo sette anni di lavoro, era la prima volta che incontrava un bambino che non voleva tornare a casa.
“Potrei vivere da sola?” chiese Giulia. “Troverei un lavoro, affitterei una stanza.”
“Solo quando sarai maggiorenne,” rispose leducatrice.
“Ho quasi sedici anni! Sono già adulta!”
Maria Elisabetta pensava lo stesso, ma non poteva farci nulla.
“Devi essere sotto la tutela di un adulto. Forse cè qualcun altro che potrebbe prendersi cura di te? Qualcuno che possa chiedere la revoca della patria potestà di tua madre?”
“Non ho nessuno Quando cera nonna, andava ancora bene, ma ora è insopportabile.”
“E tuo padre?”
“Ubriacone Morto.”
Lo disse con tale freddezza da sembrare normale. E forse, per lei, lo era.
“Non aveva parenti?”
Giulia rifletté.
“Cera sua madre, ma non la conosco. Non parlava con suo figlio. E capisco perché,” rise amara. “Nemmeno io ci parlerei.”  
“Sentiamo,” disse Maria Elisabetta, avvicinandosi, “prova a stare con tua madre, e io cercherò di rintracciare tua nonna. Daccordo?”
Giulia annuì. Che scelta aveva?
Naturalmente, sua madre inscenò uno spettacolo. Si precipitò su di lei piangendo, chiedendo perdono, abbracciandola. Ma Giulia rimase impassibile. Sapeva che, una volta a casa, sarebbe tornata la stessa di prima.
E così fu. Il primo giorno resistette, il secondo tornò dal supermercato con lalcol.
Tutto ricominciò. La madre bevve, perse il lavoro. Giulia visse di nuovo nellinferno.
Quando, due mesi dopo, un ubriaco entrò nella sua stanza di notte e lei riuscì a malapena a cacciarlo, capì che ne aveva abbastanza.
Fortunatamente, Maria Elisabetta le aveva lasciato il suo numero. La chiamò. “O vado per strada, o torno in orfanotrofio.”
“Ho trovato tua nonna,” disse la donna. “Proverò a parlarle. Se accetta e ha i requisiti, potrà ottenere la tutela.”
Giulia volle andare con lei. Non conosceva sua nonna, ma sperava che non lavrebbe cacciata. Le bastavano due anni, poi sarebbe stata libera.
Ad aprirle la porta fu una donna sulla sessantina, elegante e dignitosa.
“Cosa volete?” chiese.
“Antonella Marini?” chiese lex-educatrice di Giulia.
“Sì, sono io.”
“Sono tua nipote,” intervenne Giulia. A che serve girarci intorno?
“Cosa?”
“Sono la figlia di tuo figlio.”
“Capisco. E cosa posso fare per te?” Antonella rimaneva impassibile.
“Possiamo parlare?” tagliò corto Maria Elisabetta, evitando che Giulia dicesse altro.
“Va bene. Ma brevemente. Devo prepararmi per il lavoro.”
Antonella offrì loro del tè. A volte guardava Giulia come se fosse un alieno, ma non le rivolgeva la parola.
Intanto, Maria Elisabetta spiegò la situazione.
“Vede, sua nipote tornerà in orfanotrofio. Ma lei potrebbe prendersene cura.”
“E perché dovrei?” chiese Antonella.
“Beh è sua nipote.”
“Non la conosco. E, sinceramente, non ho voglia di conoscerla. Mio figlio mi ha fatto soffrire abbastanza. Vorrei dimenticare tutto.”
“Capisca, Giulia vive in condizioni terribili, potrebbe”
Giulia interruppe.
“Antonella, non mi conosce, e io non conosco lei. E, onestamente, nemmeno io ho voglia di legami. Vorrei dimenticare i miei genitori come un incubo. Ma la legge non me lo permette. Sono ancora minorenne. Però le assicuro che non voglio niente da lei. Solo firmare dei documenti e vivere qui fino alla maggiore età. Finisco il liceo, poi lavorerò. Certo, vorrei studiare alluniversità, ma prima mi serviranno soldi. Mi comprerò tutto da sola, persino il cibo. I sussidi che riceverà per me saranno suoi. Mi serve solo superare la burocrazia. Se avessi altri parenti, non sarei qui.”
Maria Elisabetta le lanciò unocchiata di rimprovero. Ma Antonella sembrò colpita.
“Dicono che i figli degli alcolizzati siano svantaggiati. Ma non è il tuo caso. Quindi, vivresti qui due anni e poi te ne andresti?”
“Lo prometto.”
“Va bene. Accetto. Ma ci sono regole: non chiamarmi nonna, non toccare le mie cose, non portare amici a casa. Chiaro?”
“Chiaro.”
Maria Elisabetta parlò con le autorità, e la madre di Giulia fu denunciata. Antonella, compilati i documenti, divenne sua tutrice.
Nonostante la faccia dura, Giulia aveva paura. Mancavano due mesi alla fine della scuola, non aveva soldi. E se Antonella davvero non l






