Sono Oksana, e questo è tuo nipote, ha 6 anni.

**Diario Personale**

Mi chiamo Elisabetta Rossi, e oggi la mia vita ha preso una piega inaspettata. Abito in un piccolo paese della Toscana, dove le strade acciottolate sono ombreggiate da cipressi e il tempo sembra scorrere con lentezza. Tornavo a casa dal lavoro quando una voce mi ha chiamato. Mi sono girata e mi sono bloccata: davanti a me cera una giovane donna con un ragazzino di circa sei anni. Si è avvicinata e, con parole che mi hanno gelato il sangue, ha detto: «Elisabetta Rossi, io sono Chiara, e questo è suo nipote, Matteo. Ha sei anni.»

Ero sconvolta. Quei volti mi erano sconosciuti, e quelle parole mi hanno colpito come un fulmine a ciel sereno. Ho un figlio, Luca, un uomo brillante e ambizioso, con una carriera in ascesa. Ma non è sposato, e benché abbia sempre sognato di diventare nonna, non avrei mai immaginato di scoprirlo cosìallimprovviso, da una sconosciuta. La sorpresa è diventata confusione: come era possibile che ignorassi lesistenza di questo nipote da sei anni?

Forse è colpa mia. Ho cresciuto Luca da sola, lavorando senza sosta per garantirgli un futuro. Sono orgogliosa dei suoi successi, ma la sua vita sentimentale mi ha sempre preoccupato. Passava da una relazione allaltra, senza mai legarsi davvero. Non mi intromettevo, ma dentro di me ricordavo i miei ventanni, quando lavevo messo al mondo. Da sola, senza aiuto, avevo sacrificato la mia giovinezza, rinunciando a ogni comodità. Solo qualche anno fa, Luca mi ha regalato una vacanza sulla Costa Smeraldala prima volta che vedevo il mare. Non mi pento di nulla, ma lidea di essere nonna mi ha sempre accompagnato.

E ora, eccoli lì: Chiara e Matteo. Con una voce tremante ma decisa, ha aggiunto: «Ho esitato a lungo prima di dirglielo, ma Matteo è parte della sua famiglia. Aveva il diritto di sapere. Non chiedo nulla, lo cresco da sola. Ecco il mio numero. Se vorrà conoscerlo, mi chiami.»

Se nè andata, lasciandomi sconvolta. Ho chiamato Luca immediatamente. Era sbalordito quanto me. A malapena ricordava una breve relazione con una Chiara, anni prima. Lei gli aveva detto di essere incinta, ma lui aveva rifiutato di riconoscere la paternità. Poi era sparita, e lui non ci aveva più pensato. Le sue parole mi hanno trafitto. Mio figlio, che avevo amato più di ogni cosa, aveva respinto quella responsabilità come se non fosse nulla.

Luca insisteva di non sapere nulla di questo bambino e dubitava che Matteo fosse suo. «Perché avrebbe aspettato sei anni? È sospetto!» Ho cercato di capire. Mi ha detto che si erano separati a settembre. Il dubbio si è insinuato: e se Chiara mentisse? Eppure, il viso di Matteo, i suoi grandi occhi timidi, non mi abbandonavano.

Alla fine, ho richiamato Chiara. Mi ha spiegato che Matteo era nato ad aprile. Quando ho accennato a un test del DNA, ha risposto con calma: «So chi è suo padre. Non serve alcun test.» Mi ha assicurato che i suoi genitori laiutavano, che lavorava per mantenere Matteo, che a settembre sarebbe entrato in prima elementare. La sua voce era ferma, ma carica di determinazione.

«Elisabetta Rossi, se vuole vedere Matteo, non mi opporrò,» ha detto. «Altrimenti, capirò. So da Luca quanto sia stato difficile per lei.»

Mi ha riattaccato in faccia, e da allora non smetto di chiedermi se bussare alla sua porta o lasciare il passato dove appartiene.

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