— Non sono un appendiabiti!
— Hai comprato di nuovo il pane sbagliato. Te l’ho detto, senza semi — Giulia posò la pagnotta sul tavolo senza nemmeno guardare Claudio.
— Era l’ultima — rispose lui con calma. — Perché ti arrabbi? È pane normale.
— Poi Paolo ha mal di pancia. Tu parli facile, non sei tu a dargli le medicine di notte e a stargli dietro.
Claudio chiuse gli occhi per un secondo e respirò profondamente. Mise la borsa della spesa vicino alla finestra e si sedette su uno sgabello lì accanto, come se cercasse di tenersi lontano dalla famiglia. Voleva essere più vicino, ma non poteva.
Suonò il campanello. Era Viola, la sorella di Giulia, arrivata con dei dolci e un sorriso. In quella casa, tra le quattro mura della sorella, aveva sempre la sensazione del “giorno della marmotta”: sempre le stesse faccende, ma fatte con calore familiare. Ed era quel tepore che la attirava.
— Ciao, famiglia. Come state? Tutto tranquillo, silenzio e relax?
— Magari! Ma quasi ci siamo. Ora solo i compiti, la cena, il bagno. E poi stirare i vestiti per domani — rispose Giulia, svuotando le buste. — Sono in piedi dal mattino, non mi sono nemmeno seduta.
— Le ginocchia non scricchiolano ancora? — sorrise Viola, togliendosi la giacca.
Claudio le fece un cenno di saluto e andò in camera. Ormai da tempo non cercava più di intromettersi nelle conversazioni tra donne.
— Tutto come al solito? — chiese Viola a bassa voce, fissando la sorella.
— Cioè?
— Tu qui da sola, e Claudio nella stanza accanto, più silenzioso di un pesce.
Giulia scrollò le spalle, arrotando gli occhi con irritazione.
— Non ricominciare. È solo… una divisione dei compiti. Io mi occupo della casa e dei bambini, lui lavora. Come tutti.
— Non è di quello che parlo. È a casa da un’ora e mezza. Gli hai detto almeno una parola in tutto questo tempo?
— Scusami, ma non sono obbligata a organizzargli una cena romantica ogni sera. Abbiamo dei figli.
La cucina era piccola. Un tavolo stretto, sedie con cuscini logori legati con nastri, un tagliere scrostato. Sul muro, un elenco di corsi e orari di allenamento scritti con la calligrafia precisa di Giulia.
— Per te i figli sono la fine della vita privata? — chiese Viola.
Giulia alzò le spalle.
— Non voglio che abbiano una vita come la nostra. Ti ricordi quando la mamma ci lasciava sole per mezza giornata? E papà che beveva mentre lei lavorava? Per non parlare del casino che c’era sempre in casa. Avevo paura ad andare in bagno fino a quando non ho iniziato a pulire io.
— Me lo ricordo — annuì Viola, sospirando. — Ma ricordo anche quando ci sdraiavamo per terra a guardare i cartoni. Tu con i bambini, quando è stata l’ultima volta che avete guardato qualcosa insieme?
Giulia distolse lo sguardo, imbarazzata. La risposta era ovvia.
— A loro servono inglese, matematica e nuoto, non i cartoni.
— E a Claudio non serve nulla?
Giulia guardò verso il corridoio, aggrottando la fronte.
— È un adulto. Può sopportare per la famiglia.
Viola tacque. Osservò la sorella, con le occhiaie viola e i capelli raccolti in una crocchia sfilacciata. Le sue mani sembravano un moto perpetuo: aprire, chiudere, mescolare, riporre.
— Lo ami? — chiese improvvisamente Viola.
— Ma sei impazzita?! Certo che lo amo! Solo che adesso non è il momento.
— Sono più di dieci anni che “non è il momento”. Da quando è nato Matteo.
Entrò Paolo, in pigiama, tutto spettinato e imbronciato come un passerotto.
— Mamma, il libro di Matteo si è rotto. Lui dice che sono stato io, ma non l’ho toccato!
— Ci penso io.
Giulia si alzò all’istante e uscì. Viola rimase sola in cucina, ma non per molto. Pochi minuti dopo arrivò Claudio, come se avesse aspettato che la moglie uscisse per prendersi un bicchiere d’acqua.
— Stanco? — chiese dolcemente Viola.
— Non è niente. È solo che a volte mi sembra che se sparissi, lei non se ne accorgerebbe — confessò Claudio a bassa voce.
— Se ne accorgerebbe. Ma forse troppo tardi.
Lui scrollò le spalle, sospirò e distolse lo sguardo.
— Li amo. Ma qui mi sento come un mobile. Porto i soldi e poi sono libero.
Viola non seppe cosa dire, e Claudio non aspettò una risposta. Si alzò e tornò in camera.
Giulia non fece più ritorno. Era rimasta bloccata tra un libro rotto, i davanzali polverosi e la biancheria mal riposta nell’armadio.
La mattina dopo iniziò non con il caffè, ma con una litigata davanti all’armadio. Giulia, come sempre, cercava di vestire tutti con strati e strati.
— Matteo, metti quella giacca, quella col cappuccio.
— Mamma, fa caldo. Andiamo al centro commerciale, lì è riscaldato.
— E mentre cammini per strada? Poi chi ti asciuga il naso?
Paolo, il più piccolo, si dimenava vicino alla porta, infilando i calzini direttamente sugli stivali per “scivolare di meno”. Giulia sbuffò, lui sobbalzò e si rimise a infilare le scarpe. Claudio intanto era già in macchina. Aveva offerto aiuto più volte, ma la risposta era sempre la stessa:
— Me la cavo da sola, non intralciare.
In macchina, le chiese:
— Senti, domani usciamo solo noi due? Al cinema, o al bar. Ti ricordi quando lo facevamo?
— Domani? E i bambini con chi stanno? — la sorpresa nella voce di Giulia si trasformò in irritazione. — Non possiamo lasciarli così, sono piccoli!
— Hanno dodici e cinque anni. Matteo sa già farsi un panino.
— Sì, e magari ci dà fuoco alla cucina. Claudio, ma sei serio? Non sanno nemmeno mettersi le scarpe.
Al centro commerciale, i bambini cercarono di trascinare i genitori al food court. Giulia bloccò loro il passaggio con un braccio, come una sbarra.
— A casa c’è la minestra. Con gli hamburger vi viene la gastrite.
— Mamma, ma è domenica — sospirò Matteo. — Non lo facciamo sempre.
— Ho detto no. Punto. Qui non siamo in democrazia.
Venti minuti dopo, Paolo iniziò a piagnucolare per la fame. Matteo si rifiutò di provare i vestiti in negozio, così Giulia gli urlò contro. Troppo forte, troppo nervosa. Lui si chiuse in un silenzio ostinato.
Non era la prima volta. Ma quel giorno Claudio capì che non ce la faceva più.
— Ma ti senti quando parli?
— E tu? — lei si voltò con un’espressione cupa. — Tu senti mai qualcosa che non siano i tuoi videogiochi?
— Sento che comandi tutto e tutti, dal mattino alla sera. Anche quando non serve.
— Perché se non lo faccio io, tutto va a rotoli!
— È già tutto a rotoli, Giulia.
Uscirono dal centro commerciale prima del previsto. Claudio guidava in silenzio, Giulia guardava fuori dal finestrino, i bambini con le cuffie nelle orecchie. La tensione era troppo alta.
ClaudioGiulia chiuse gli occhi, sentendo per la prima volta da anni il peso del silenzio tra loro, e finalmente capì che forse non era mai stato troppo tardi, solo che nessuno aveva osato fermarsi per guardarsi davvero.