Sono venuto a prendere un gattino.

Sono andato a prendere un gattino britannico. Non perché volessi proprio lui, ma perché avevo letto online che altrimenti lo avrebbero abbandonato per strada. Purtroppo succede. Ci sono allevatori di ogni tipo. Così, senza nemmeno guardare bene la foto del cucciolo, sono partito.

Quando hanno aperto la porta, un piccolo batuffolo di pelo si è rotolato sui miei piedi. Aveva una testa sproporzionata, orecchie corte e zampe larghe. Sul corpicino magro e sottile sembrava terribile.

– Ecco, – disse la donna. – È rimasto solo lui. È un piccolo mostro. Non lo vuole nessuno, neanche gratis. E attacca sempre la sua mamma, che lo picchia. E si comporta male di continuo.

– Un vero birbante, insomma, – ho concluso io.

– Esatto, – annuì l’uomo e mi invitò a fare uno spuntino.

La prima cosa che fece il piccolo birbante fu, in qualche modo, rubarmi un pezzo di salame dal piatto. E quando ci siamo precipitati tutti e tre nell’ingresso, abbiamo trovato delle piccole pozzette nelle mie scarpe.

Il birbante sedeva vicino e mi guardava con i suoi enormi occhi verdi. Aveva inghiottito il salame senza masticarlo.

– È proprio un mascalzone, – osservò la donna, sospirando pesantemente.

– Un monello, – aggiunse l’uomo e si avventò su di lui con un giornale.

Il cucciolo si contrasse e chiuse gli occhi, aspettando il colpo. Riuscii a fermare la mano con il giornale e dichiarai:

– È proprio un birbante incredibile – un vero fastidio, insomma. Lo prendo.

Il cucciolo aprì gli occhi e mi guardò, incuriosito.

– Sei masochista? – chiese scherzando la donna.

– In realtà, sono un giardiniere masochista, – la corressi.

– Cosa? Come? – mi guardarono attoniti l’uomo e la donna.

– Dico che ho un piccolo giardino, ed è lì che coltivo il mio masochismo. E questo monello mascalzone mi aiuterà. E, chinandomi, accarezzai il cucciolo.

Era estate, così, dopo aver versato fuori dalle scarpe la sorpresa del birbante e tolto i calzini, lo misi nel trasportino e andai scalzo verso la macchina. Ma poi, riflettendoci un po’, aprii il trasportino e, tirando fuori il cucciolo, lo posizionai sulle mie ginocchia. E partii.

Il birbante mi osservò per alcuni minuti, poi fece le fusa e si appoggiò al mio stomaco con la sua testa sproporzionata. Fu amore. Non a prima vista. Ma per sempre.

Il birbante crebbe in fretta e presto divenne semplicemente un Birbante. Proporzionato in ogni cosa, un robusto britannico.

In casa era come un agnello. Tranquillo, dolce, affettuoso e intuitivo. Ma una volta fuori in giardino…

Ecco che si scatenava. Si attivava una sirena a 120 decibel, e la vicina si agitava e le cadevano i piatti dalle mani.

Il birbante “attaccava”. Aveva preso a perseguitare farfalle, bruchi, topi, ratti, libellule, gatti, cani di ogni dimensione e razza, non appena si avvicinavano al suo giardino. Ben presto le farfalle evitavano il nostro giardino e i cani trascinavano i loro padroni dall’altro lato della strada.

– Birbante, sei proprio un birbante! – gli urlavo, uscendo di corsa da casa quando attaccava l’ennesimo cane che si era avvicinato troppo. – Lasciala in pace, povera cagnolina. Non voleva farti del male! … Mi scusavo con tutti i vicini e sospiravo pesantemente. Non c’era soluzione alla situazione.

Insomma, dopo aver cacciato via tutta la fauna, il Birbante si intristì. Non c’era più nessuno da affrontare. Nessuno con cui dimostrare la sua superiorità, e usciva in giardino sperando in un nuovo scontro.

Io, quasi per abitudine, lo sgridavo per la sua propensione alla violenza, per il suo caratteraccio e per gli sguardi storti dei vicini. Ma il birbante si lanciava instancabile nel giardino. Tuttavia, mi resi conto, con sorpresa, che erano un paio di mesi che non sentivo più guaiti. E poi…

Sentii bussare alla porta che dava sul giardino. Forse si era chiusa per colpa del vento. Avvicinandomi, vidi che il Birbante stava cercando di aprirla, sbattendoci contro testa.

Aprii la porta, e lui, sfrecciando fuori, sparì verso un cespuglio. Lo rincorsi, aspettandomi di vedere un gatto o un cane innocente che si era avventurato nel nostro giardino. Mentre lanciavo imprecazioni al birbante e lo pregavo di non attaccare, mi fermai in un angolo riparato dai cespugli.

Il Birbante sedeva lì, con la bocca aperta, rigurgitando crocchette, pezzetti di formaggio, ricotta e carne. Davanti a lui sedeva un piccolo gattino grigio. Un filo di muco scendeva dal suo naso. Sembrava fosse raffreddato. Il gattino miagolò e, strofinandosi contro il Birbante, iniziò a mangiare.

Il Birbante sollevò la sua grande testa e mi guardò con occhi pieni di soddisfazione. Era riuscito a scappare per prendersi cura del suo cucciolo.

Mi sentii male, e mi accovacciai lì accanto.

– Birbante. Hai nutrito il gattino per tutti questi mesi, e io ti sgridavo per questo. Cercavo di tenerti lontano dal giardino e di ostacolarti in ogni modo?

Il Birbante si avvicinò e, spingendomi con la testa dal basso verso l’alto, fece le fusa. Mi stava perdonando.

Mezz’ora dopo, eravamo dal veterinario. Un mio buon amico. Lui aveva dato il permesso di portare con me anche il Birbante, oltre al gattino.

Così, quando il veterinario mise il piccolo gattino peloso sul tavolo per visitarlo e applicare le cure necessarie, il Birbante era seduto in disparte. Su una sedia vicino al tavolo del veterinario. Si sollevò sulle zampe posteriori e guardava con attenzione tutto ciò che l’uomo in camice bianco faceva al suo cucciolo.

Dopo aver fatto un paio di iniezioni e pulito gli occhi al gattino, il veterinario si girò, sorpreso da uno strano rumore. Mi voltai anch’io.

Il Birbante era lì, col collo allungato verso di noi. Ma aveva la bocca spalancata, la lingua che sporgeva in avanti e tremava tutto come se qualcosa all’interno lo scuotesse.

Il veterinario lasciò cadere il gattino sul tavolo e urlò:

– Calma, calma. Adesso tranquillizzati. Non osare! Un infarto proprio non ci voleva. E, prendendo il Birbante tra le braccia, lo portò al tavolo. Dopo avergli fatto un paio di iniezioni, lo mise nel trasportino e mi disse che avrebbe dormito per cinque o sei ore.

– Guardate, – disse il veterinario, – ho visto cani… Ma che un gatto si preoccupasse così tanto per un gattino? È la prima volta nei miei trent’anni di pratica.

– Non è un gatto qualsiasi, – osservai. – È il suo cucciolo.

Tornati a casa, tolsi il Birbante dal trasportino e lo posai sul letto. Affiancai anche il gattino. Il cucciolo gli si appoggiò al fianco e si addormentò. Mi addormentai anch’io su una poltrona. E quando mi svegliai, vidi che il Birbante stava leccando il suo piccolo, mentre il cucciolo, sdraiato sulla schiena, lo colpiva sulla testa con tutte e quattro le zampe.

Scattai una foto.

– Mamma, Papà, Salvatore, Nutritore, Kittito, – elencavo ad alta voce possibili nuovi nomi. Al nome “Kittito”, il Birbante mi guardò e fece le fusa.

Così ora lo chiamo Kittito. E il cucciolo è cresciuto da tempo. Segue il suo papà ovunque, e lui lo sta insegnando a cacciare farfalle, bruchi, libellule, uccellini, gatti, cani…

Che dire, un vero Birbante. Il mio gatto preferito in assoluto!

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