La cognata trascorreva le vacanze in una casa al mare, mentre noi ristrutturavamo la nostra, e ora pretende di abitare in comodità.
Avevamo proposto di fare insieme la spesa per rimettere a nuovo la casa di famiglia, ma lei aveva risposto che non ne aveva bisogno. Ora, invece, ci chiede di andare a vivere da noi, perché la sua metà non dispone di alcun confort. Insomma, la colpa è solo sua!
La casa era appartenuta alla nonna di mio marito. Dopo la sua scomparsa, lui e la sorella lavevano ereditata. Era già piuttosto vecchia, ma avevamo deciso di ristrutturarla e andarci a vivere. Cerano due ingressi distinti, così che due famiglie potessero convivere senza darsi fastidio. Il cortile e la parte dietro la casa erano in comune, mentre il numero di stanze era identico in entrambe le metà.
La divisione dell’eredità avvenne quando eravamo già sposati. Tutto fu tranquillo, senza litigi. Mia suocera rifiutò subito limmobile: era abituata alla vita in città e disse ai figli di fare come credevano.
Mio marito, insieme al marito di sua sorella, mise da parte qualche risparmio e ripararono il tetto rafforzando pure le fondamenta. Avevamo in mente di proseguire i lavori, ma mia cognata si arrabbiò molto. Non intendeva investire in quella vecchia cascina. Suo marito abbassò la testa e se ne uscì dalla stanza: non era tipo da contraddire la moglie.
Io e mio marito volevamo davvero vivere lì. Il paese era vicino a Firenze, e avevamo lauto, quindi andare a lavorare non sarebbe stato un problema. E poi ci eravamo stufati di stare stretti nel monolocale in città. Da anni sognavamo una casa tutta nostra e ricostruirne una sarebbe costato una fortuna.
Per mia cognata quella casa era solo una specie di casa per le vacanze, un posto dove passare qualche settimana destate, fare una grigliata o rilassarsi. Anche lei ce lo disse chiaramente: non contate su di me.
In quattro anni abbiamo ristrutturato completamente la nostra metà. Abbiamo acceso un mutuo, ma non era quello il punto: abbiamo fatto il bagno nuovo, installato il riscaldamento, rifatto limpianto elettrico e cambiato gli infissi, vetrato il balcone. Lavoravamo in continuazione, giorno e notte, ma non abbiamo mai mollato perché quello era il nostro sogno.
La sorella di mio marito, intanto, continuava ad andare in vacanza, completamente disinteressata ai lavori. Sua vita era fatta di piaceri, senza preoccuparsi del resto. Poi però è rimasta incinta e, con la maternità, ha dovuto rallentare.
Finita quellepoca di viaggi, si sono ristrette anche le finanze. Così si è ricordata della sua metà della casa: con un bambino piccolo era difficile vivere dentro quattro mura in città, mentre lì il figlio avrebbe potuto correre e giocare allaperto tutto il giorno.
In quel periodo noi ci eravamo già trasferiti in casa e avevamo affittato il nostro vecchio appartamento. Non avevamo messo mano minimamente allaltra metà della casa, ma negli anni quella parte era marcita. Non so proprio come potesse pensare di viverci senza riscaldamento, dato che è arrivata con una valigia per fermarsi un mese. Dopo qualche giorno ha cominciato a chiedermi di ospitarla una settimana lho lasciata entrare per necessità.
Suo figlio è molto rumoroso. Come la madre, che faceva quello che voleva senza curarsi di nessuno. Siccome io lavoro da casa, la situazione mi disturbava moltissimo e così, per un po, mi sono trasferita da unamica. A lei faceva comodo, visto che sarebbe stata via e qualcuno in casa serviva.
Le circostanze mi hanno fatto tornare dopo quasi un mese. Sono rimasta una settimana da questa amica e poi mia madre si è ammalata, così sono andata ad assisterla. La verità è che mi ero ormai dimenticata della cognata ero certa che fosse da un pezzo tornata a casa sua.
Quando invece sono rientrata, ho trovato lei ancora lì, come se fosse a casa propria. Le ho chiesto quando prevedeva di andarsene.
«E dove dovrei andare? Ho un bambino piccolo, qui sto bene» ha risposto.
«Domani ti accompagniamo in città» ho detto.
«Non voglio tornare in città.»
«In tutto sto tempo non hai nemmeno provato a sistemare un po la tua parte. Questo non è un albergo: se vuoi stare, torna dalla tua parte.»
«Che diritto hai di buttarmi fuori? Questa casa è anche mia!»
«La tua metà è dopo il muro, accomodati pure.»
Ha cercato allora di mettere mio marito contro di me, ma anche lui le ha fatto capire che aveva esagerato. Si è offesa ed è partita. Qualche ora dopo, ha iniziato a chiamare mia suocera:
«Non avevi il diritto di mandarla via, è casa sua!»
«Poteva stare nella sua parte, lì sarebbe stata la padrona» ha risposto mio marito.
«E come fa a starci col bambino? Non cè il riscaldamento, il bagno è fuori. Dovevi occuparti di tua sorella!»
Mio marito si è arrabbiato davvero e ha raccontato a sua madre che avevamo proposto a sua sorella di fare la ristrutturazione insieme, così sarebbe stato anche meno costoso. Lei non ha mai voluto. Perché ora dobbiamo sentirci in colpa?
Abbiamo deciso allora di farle unaltra proposta: venderci la sua metà. Lei ha accettato, ma ha sparato un prezzo che, con quegli stessi soldi, si poteva comprare una villa a Siena. Non ci siamo trovati daccordo, naturalmente.
E così continuano i litigi. Mia suocera si offende sempre, mentre Adele mia cognata rende la vita impossibile quando viene: feste chiassose, dispetti e danni nel cortile.
Abbiamo deciso di costruire una recinzione e separare una volta per tutte gli spazi. Ormai i compromessi sono finiti. Mia cognata ha scelto questa strada.
Alla fine, ho capito che fare il proprio dovere e aiutare gli altri va bene, ma senza permettere che la propria gentilezza diventi debolezza. Ci sono limiti che solo chi ci tiene davvero al bene della famiglia deve saper rispettare, anche a costo di dispiacere a qualcuno.






