Sorelle

**Le Sorelle**

Gisella si alzò all’alba, preparò la colazione, fece il pranzo al sacco per il marito e solo dopo andò a svegliarlo.

«Gisè, perché tutta questa roba? Torno domani», disse lui, vedendo la borsa strapiena.

«Due giorni sono lunghi. Non avrai tempo di cucinare, riscaldi e mangi. Non fare storie. Dentro ci sono anche vestiti pesanti. Le notti ormai sono fredde. Bevi il tè prima che si raffreddi», rispose lei, scrollando le spalle.

Il marito fece una colazione abbondante, si vestì e prese la borsa.

«Vado, tu riposati ancora», disse prima di uscire di casa.

Gisella chiuse la porta, tornò in cucina e sbirciò dalla finestra. Sapeva che, a metà cortile, Sandro si sarebbe girato a salutarle. E infatti lui si fermò, si voltò verso casa e alzò la mano. Lei ricambiò il gesto. Gisella sorrise tra sé: «Sembriamo sposini». Il cuore le si riempì di calore.

Da quando era andata in pensione, salutava sempre così il marito, che fosse per lavoro o per la casa al lago. Vivevano insieme da ventisei anni. Non moltissimo, vista l’età. Entrambi avevano avuto vite precedenti.

Gisella odiava restare sola. Sarebbe andata con Sandro alla casa al lago, ma aveva promesso alla figlia di badare al nipotino quel giorno. Sospirò. Non aveva sonno. Ma cosa fare? Era troppo presto per le pulizie. Non poteva accendere l’aspirapolvere alle sei di mattina in un palazzo di cemento, dove ogni rumore si sentiva. La gente il weekend ama dormire.

Senza niente di meglio da fare, si sdraiò sul letto ancora avvolta nella vestaglia. Rimase lì a pensare a questo e quello, finché si addormentò senza accorgersene.

Le venne perfino un sogno. La nonna aveva un cane, Alma, grande e peloso. Nel sogno, Alma le corse incontro scodinzolando. «Alma, ciao! Da dove vieni?» le chiese Gisella, allungando una mano per accarezzarla. Ma all’improvviso Alma le mostrò i denti. Lei ritirò la mano, confusa dal suo rifiuto…

Si svegliò di soprassalto. Nella stanza non c’era nessun cane, né poteva esserci: Alma era morta di vecchiaia quando Gisella aveva quattordici anni. Guardò l’orologio: aveva dormito solo dieci minuti. Chiuse di nuovo gli occhi. «I morti sognati portano tempesta, i cani portano parenti», pensò, quando il campanello suonò. Chi poteva essere a quest’ora?

Si alzò, infilò le ciabatte e si diresse verso l’ingresso. Il campanello suonò di nuovo, impaziente.

«Sì, arrivo!» borbottò Gisella, aprendo la porta.

Vedendo chi c’era, quasi la sbatté in faccia all’ultima persona che voleva vedere. Si dice che il primo pensiero sia sempre quello giusto. In seguito, si pentì di non averlo seguito. Sulla soglia c’era sua sorella minore. Il cuore le sussultò come un uccello preso in trappola.

«Ciao, sorellina!» disse Irene, accentuando l’ultima parola, mentre un sorriso le scopriva i denti grandi, che sembravano sporgere ancora di più quando rideva. «E dicono che i sogni non sono profetici», pensò Gisella, ricordando l’orso di Alma. Un pensiero sgradevole. La visita improvvisa, dopo anni di silenzio, non poteva portare niente di buono.

Avevano padri diversi e dieci anni di differenza. Il padre di Gisella era morto in un incidente, e tre anni dopo la madre si era risposata e aveva avuto Irene. Non si somigliavano né nel carattere né nell’aspetto: Gisella era bassa e un po’ in carne, con tratti delicati e un temperamento tranquillo. Irene era alta, magra, con un viso lungo e quei denti prominenti.

«Allora, mi lasci sulla porta? Non mi inviti a entrare?» chiese Irene.

Gisella avrebbe ancora potuto sbatterle la porta in faccia. Ma era pur sempre sua sorella, anche se indesiderata.

«Vieni», disse, allargando la porta.

Irene entrò, si tolse le scarpe col tacco alto, si sistemò i capelli allo specchio e si voltò verso Gisella.

«Non mi aspettavi? E invece eccomi qui.» Cercò di infilare le pantofole di Sandro, ma Gisella le tirò fuori un paio per gli ospiti. Erano strette per Irene, ma non ce n’erano altre.

«Be’, fammi vedere come vivi.» Irene si addentrò nell’appartamento, girando la testa come un’avvoltoio, notando ogni particolare con occhio critico. «Ma qui sei in un palazzo reale! Mobili d’importazione, ristrutturazione…» Si voltò verso Gisella, e per un istante negli occhi balenò invidia e rancore. Ma il momento dopo tornò a sorridere, mostrando di nuovo quei denti irregolari. E Gisella ripensò al sogno.

«Ecco, questa sì che è fortuna. Ti sei sposata bene. E tuo marito dov’è?»

«Alla casa al lago», rispose Gisella, a denti stretti.

«Avete anche la casa al lago? Ma che borghesi», commentò Irene col tono di chi dice: «Vedremo per quanto».

«Perché sei venuta?» chiese Gisella, perdendo la pazienza.

«Mi mancavi. Non abbiamo più nessuno, solo noi due», disse Irene, senza voltarsi, fissando la foto della figlia col nipotino. «E questa chi è? Tua figlia?»

Gisella non rispose.

«Io, invece, sono sola. Con Mimmo è finita subito. Dopo di lui mi sono risposata altre due volte. E sai una cosa? Gli altri due erano uguali al primo. Non valeva neanche la pena cambiarli», confessò Irene.

«Anche quelli li hai rubati a qualcuna?» la stuzzicò Gisella, incapace di trattenersi.

«Ma sei cambiata, sei diventata cattiva. Chi la fa l’aspetti», ribatté Irene, ridendo a denti scoperti. «Non sono venuta per litigare.»

«E allora perché? Per farmi visita per la nostalgia dei bei vecchi tempi e rubarmi di nuovo tutto?» chiese Gisella, lasciando uscire la rabbia.

«Che permalosa. Quanti anni ha tua figlia?» domandò Irene, ignorando il sarcasmo.

«Ventotto.»

«Allora ti sei sposata due anni prima. Hai fatto in fretta per paura che ti portassero via il marito?» Irene rise, compiaciuta della sua battuta.

«È la figlia di mio marito», precisò Gisella, pentendosi subito di essersi giustificata.

Era furiosa con se stessa e ancora stordita dall’imprevisto.

«Pace, allora. Mi offri un caffè?» chiese Irene, conciliante.

Mentre Irene ammirava la cucina, elogiando il gusto e l’ordine di Gisella, lei accese il gas sotto la moka ancora calda.

«Per quanto resti?» chiese Gisella.

«Già mi butti fuori?» ribatté Irene.
Si scambiavano parole come palle da tennis. Gisella tacque, ma sperava che la sorella annunciasse la sua partita dopo il caffè.

«Mi ospiti fino a domani? Non mi piacciono gli alberghi. Tanto tuo marito non c’è. Me ne vado domani», disse Irene, deludendo le sue aspettative.

«E dove vai?» Gisella decise di cambiare argomentoGisella le sorrise per la prima volta da quando era arrivata e sussurrò: “Allora resta pure, sorellina”.

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