Sotto un cielo freddo
Valentina stendeva gli oggetti da vendere su Subito. Non per necessità, ma perché era stanca di vederli ogni giorno. Quelle cose trattenevano ricordi. Di persone svanite dalla sua vita. Di tempi dissolti come neve tra le dita. Di sé stessa, quella rimasta nel passato. Un vecchio maglione dal collo alto, mai indossato. Un cappotto con il gomito consumato. Una padella regalata per il compleanno e mai usata. Occupavano armadi, angoli, l’aria stessa del suo appartamento.
Li fotografava nella stanza vicino alla finestra, dove la luce era più delicata che per strada. Li stendeva con cura, lisciando le pieghe, a volte persino usando il ferro. Come se dal suo impegno dipendesse se avrebbero trovato una nuova casa o finito in discarica. Desiderava che qualcuno, scorrendo gli annunci, si fermasse e pensasse: «È mio. Mi serve proprio questo».
Una sera tardi le scrisse un uomo. Il messaggio era breve, senza fronzoli: «Il maglione è ancora disponibile?» Era quasi mezzanotte. Come se avesse esitato a lungo prima di scrivere, come se fosse l’ultima possibilità.
Rispose: «Sì, c’è ancora». Lui chiese l’indirizzo e aggiunse: «Arrivo subito». Niente trattative, niente tentativi di abbassare il prezzo, solo un secco: «Mi aspetti».
Valentina ebbe appena il tempo di sparecchiare i resti della cena. Quando suonò il citofono, le sue mani profumavano ancora di aglio. Le asciugò su un tovagliolo, si sistemò i capelli, indossò un cardigan leggero e aprì la porta.
Sulla soglia c’era un uomo sui cinquant’anni, con una giacca sbiadita e uno sguardo stanco. I suoi occhi non cercavano il suo volto, ma qualcosa d’invisibile—una parola, un po’ di calore, qualcosa che si era perduto da tempo.
«Buonasera. Sono venuto per il maglione. Quello verde scuro, con il motivo.»
«Entri, glielo prendo subito. È in camera», disse Valentina, facendosi da parte.
Lui rimase sulla soglia, come se non osasse varcare una linea invisibile.
«Qui è accogliente. Caldo. A casa mia i termosifoni non funzionano. Penso sempre di ripararli, ma non ho mai tempo.»
«Sì, col riscaldamento è un problema», rispose lei, dirigendosi verso la camera. «Ho comprato una stufetta, altrimenti non si sopravvive.»
Tornò con due maglioni—uno verde e uno blu scuro.
«Ecco, guardi. Forse anche questo potrebbe andarle? È caldo, quasi nuovo. Non pizzica.»
Li provò senza togliersi il cappotto. Rimase in silenzio, osservandosi nello specchio. Poi disse, a bassa voce, quasi sussurrando:
«Li sceglieva sempre mia moglie. Io non so farlo. Senza di lei… tutto è sbagliato. Tutto sembra estraneo.»
Valentina annuì, senza fare domande. Si limitò ad aggiustare il collo del maglione blu perché cadesse meglio.
«Quale prende?»
«Entrambi, se posso. Uno per me. L’altro per un amico. Ha avuto un guaio—un incendio, gli è bruciata la casa. Ora lui e la famiglia dormono da parenti. I bambini non hanno nemmeno i giubbotti. Stiamo raccogliendo quello che possiamo.»
Avrebbe voluto dirgli: «Li prenda pure gratuitamente», ma lui stava già tirando fuori i soldi, come se avesse intuito le sue parole e volesse prevenirle.
«Quanto le devo?»
Nominò una cifra più bassa di quella dell’annuncio. Lui le porse delle banconote spiegazzate, senza alzare lo sguardo. Le sue mani erano ruvide, screpolate, come quelle di chi lavora al freddo e al vento.
«Grazie.»
«Spero che i maglioni vi terranno al caldo», disse Valentina piano.
Lui annuì, ma non si mosse. Guardò a terra, poi all’improvviso sollevò gli occhi.
«Sa… sembrerà forse stupido. Ma qui è così… tranquillo. Sembra una casa. Come se ci fosse qualcuno che aspetta. Come se ci fosse ancora un posto dove tornare.»
Valentina si bloccò. Poi, inaspettatamente, disse:
«Vuole un tè? L’ho appena fatto. Al bergamotto e al miele. Forte, ma caldo.»
Esitò, poi annuì:
«Se c’è il limone. E se non le do fastidio.»
Stettero seduti nella piccola cucina. Lui parlava—in modo confuso, saltando da un argomento all’altro. Dell’amico che aveva perso la casa. Del lavoro in magazzino, dove il freddo ti entra nelle ossa. Di come cercava vestiti pesanti perché l’inverno non aspetta. Valentina ascoltava, e le sembrava di ricordare cosa volesse dire parlare con qualcuno che non aveva fretta di andarsene. Qualcuno che non controllava il telefono, che non aspettava il momento di interrompere. Qualcuno che condivideva semplicemente quella sera, quel tè, quel frammento di calore.
Versò altro tè, aggiunse miele, fece domande. Semplici, quasi banali. Lui rispondeva, e nella sua voce c’era stupore, come se avesse dimenticato cosa fosse—che qualcuno si interessasse alla sua vita. Tra le loro parole, tra i sorsi di tè, nacque un silenzio—non pesante, ma vivo, tiepido come un respiro.
Dopo un’ora si alzò. Con delicatezza, come se temesse di rompere qualcosa di fragile. Alla fine disse:
«Grazie. Non solo per i maglioni. Per… questo.»
Valentina rimase in cucina. Finì il suo tè, osservando come la tazza si raffreddava lentamente. Poi rientrò in camera. Lì, su una sedia, c’era un terzo maglione—grigio, il più vecchio. Profumava di passato, di qualcuno che sapeva ascoltare. Lo prese, accarezzò la stoffa morbida e lo riprese nell’armadio.
Non aveva più voglia di venderlo.