Speranze Infrante: Il Prezzo dell’Amore

Speranze infrante: il prezzo dell’amore

Per anni, Anna e Marco sognarono un figlio, ma il destino fu crudele: la gravidanza non arrivava mai. L’idea di adottare un bambino giunse da sola, come unica via d’uscita. Il percorso fu arduo: documenti infiniti, controlli, attese interminabili. Anna ricordava ancora il loro primo viaggio all’orfanotrofio nella città vicina. Occhi infantili, pieni di speranza e paura, li guardavano, come implorando di essere portati via. Tra loro c’era Beatrice, dodici anni, con due trecce scure e occhi azzurri profondi, che ricordavano tanto la sorella defunta di Anna. Il suo cuore si strinse di tenerezza. Marco aveva sempre sognato un maschio, ma Beatrice li conquistò entrambi. La bambina si illuminava a ogni loro visita, cercando il loro affetto come fosse un rifugio.

Quando la direttrice rivelò che Beatrice era già stata adottata cinque volte e sempre restituita, Anna trattenne a stento le lacrime. “L’eterna orfana”, la chiamavano. Le ragioni dei rimpatri erano vaghe, ma Anna non chiese dettagli. Il suo cuore gentile non sopportava l’idea che una bambina fosse stata tradita così tante volte da coloro che aveva amato. Con Marco decisero: Beatrice sarebbe stata loro figlia, e nessuno l’avrebbe più abbandonata.

Mentre attendevano l’approvazione dei documenti, iniziarono a portare Beatrice a casa sempre più spesso. Nell’appartamento di tre stanze, le prepararono una camera tutta sua – il sogno di ogni orfano, abituato a vivere senza intimità. Beatrice era felice, e Anna e Marco la riempivano d’amore, curando le sue ferite. Poi accadde il miracolo: Anna scoprì di essere incinta. Un segno del destino, come spesso accade a chi adotta. Gioirono, ma non rinunciarono a Beatrice. Ormai era parte della loro famiglia.

Finalmente arrivò l’approvazione, e Beatrice lasciò l’orfanotrofio per sempre – o così credevano. Lo psicologo consigliò di preparare la bambina alla notizia del fratellino. Anna e Marco si sedettero con lei, spiegando che presto avrebbe avuto una sorellina, che l’avrebbero amata allo stesso modo, che sarebbe rimasta la loro figlia. Ma quando accennarono che, in futuro, avrebbero dovuto dividere la stanza, lo sguardo di Beatrice divenne gelido, quasi ostile. Si alzò e andò via senza una parola.

Da quel giorno, la bambina cambiò. Quando i genitori rientravano, si avvinghiava a loro con una forza disperata, come temendo che sparissero. A volte abbracciava Anna dal nulla, stringendole il collo fino a soffocarla. “Ti amo, mamma”, sussurrava, ma i suoi occhi erano vuoti, i denti serrati. Anna rispondeva con carezze, mentre Marco si preoccupava sempre più. Lo psicologo li rassicurò: era solo paura di perdere l’affetto dei genitori. “Datele più attenzione”, disse.

L’inferno cominciò con la nascita di Sofia. La neonata arrivò prematura, fragile, bisognosa di cure costanti. Per non disturbare Beatrice, la culla fu messa nella camera dei genitori. Anna era esausta, divisa tra le due figlie. Marco aiutava: accompagnava Beatrice a scuola, le leggeva le favole. All’inizio, sembrava tutto normale. Ma presto Anna notò che, ogni volta che lasciava Sofia sola con Beatrice, la piccola urlava in preda al terrore. Una volta, entrò nella stanza e vide Beatrice chiudere il naso di Sofia tra le dita. Al vedere Anna, la lasciò, e la neonata annaspò in un pianto soffocato. Beatrice la fissò, gli occhi azzurri privi di rimorso.

Quella sera, Marco tentò di parlarle. Dopo molte insistenze, mormorò: “Le pulivo il naso”. Una scusa assurda. Lo psicologo ancora li invitò alla pazienza: “Ha bisogno di più amore”. Poi un altro episodio: Anna la sorprese con un biberon di acqua bollente, pronta a darlo a Sofia. Beatrice tacque, osservandoli con calma spaventosa. Anna guardò queiGli occhi di Beatrice erano vuoti e freddi come il marmo di una tomba dimenticata.

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