Alessia posa il giornale e sospira mentre invita la vicina in cucina. Il bollitore fischia appena in tempo. “Prego, Rosa, accomodati. La realtà è più complessa di quanto sembri”.
Sì, Luca è suo marito. Ufficialmente. Sono sette anni che l’anello brilla al dito. Ma vivono separati, ognuno nel proprio appartamento.
“Com’è possibile? Che razza di matrimonio è?” Rosa sbuffa sulla sedia, pronta a chiacchierare. Alessia versa il tè. Fuori, una pioggerella d’autunno scivola sui vetri come quelle giornate di sette anni prima, quando firmarono all’anagrafe del comune.
“Sposai per amore, certo. Immaginavo una vita tradizionale: figli, una casetta in campagna. Invece no!” Sorride con amarezza. “In sei mesi capimmo d’essere incompatibili. Lui adora le feste, io il silenzio. Lui apre trombette di dentifricio, io impazzisco per l’ordine”.
“Allora divorziate! Perché torturarvi?” Rosa agita le mani.
“Arriva il bello. Non possiamo. L’appartamento è intestato ad entrambi, comprato insieme prima delle nozze. Se ci separiamo, dovremmo venderlo, dividerci i soldi. Ma affittare ora? A quarantatré anni? Dove trovare i soldi?”
Rosa annuisce comprensiva. “E allora?”
“Soluzione: Luca resta lì. Io ho comprato un monolocale in periferia. Economico, ma mio. Pago il mutuo ma nessuno mi disturba. Lui passa a trovarmi quando è solo. Chiacchieriamo come vecchi amici, poi se ne va”.
“Finirà mai questa situazione?” Alessia appare stanca ma serena. “Non so. Per ora va bene. Siamo sposati sulla carta, nessun problema al lavoro. Ognuno vive la propria vita”.
Dopo che Rosa se n’è andata, Alessia rimane a guardare la pioggia intensificarsi, mentre tazza di tè freddo. Ritornano gli echi del passato.
Si incontrarono in ufficio. Lui responsabile acquisti, lei capo contabile. Alto, occhi gentili e un sorriso irresistibile. “Alessia, mi fai compagnia a pranzo? C’è un ottimo bar qui vicino”.
Disse sì. Poi il secondo appuntamento, il terzo. Luca era colto: conosceva l’arte, leggeva libri, parlava di viaggi. “Sto così bene con te”, le sussurrò un mese dopo.
Anche lei si sentiva a suo agio. Passati cinque anni dal primo divorzio, quasi perse le speranze di trovare un’anima affine. Luca era scapolo, senza figli. Abitava in un trilocale ereditato dai genitori. “Troppo grande per uno solo”.
Dopo sei mesi si fidanzarono. Matrimonio sobrio, solo parenti stretti.
L’estasi dei primi mesi svanì presto. Piccole abitudini diventarono macigni. “Luca! Non lasciare i piatti sporchi nel lavello!” “Li lavo domani”, borbottava lui, immerso nella televisione.
Le liti crescevano. Stoviglie, calzini sparsi, gli amici che bussavano a mezzanotte. “Non reggo più”, confessò alla sorella Marina al telefono. “Siamo alieni l’uno per l’altra”.
Il culmine fu quando Marco, un suo amico d’infanzia, venne in visita per due giorni ma rimase una settimana. “Sentiva whisky tutto il giorno, fumava in casa, musica assordante!”
Era l’ultima goccia. Alessia propose il distacco. “Resti tu nell’appartamento. Io troverò un monolocale. Sposati, ma indipendenti”.
All’inizio Luca tentennò: “La gente cosa dirà?”. Poi accettò, stancoi anch’egli dei conflitti.
Lei trovò un bilocale a Ostiense, mutuo ventennale. Niente compromessi: tutto al suo gusto. Le prime sere, nel silenzio, furono spiazzanti. Ma presto imparò ad amare la solitudine. Niente fretta la mattina. Sera: letture, musica, lunghe docce. Sabato, pulizie senza stress.
Luca visitava settimanalmente. Tè, chiacchiere, a volte un film
“E così il giorno dopo, mentre il profumo della torta di Lena — un dolce al cioccolato che odora di fragole fresche — riempie il salotto, Irene sorride mestamente osservando Sergio raccontare di quella nuova pasticceria in centro che ha conquistato il cuore di Roma, e si accorge che la calma della sua solitudine ha ormai il sapore familiare della felicità possibile.”






