Sta’ zitta!” urlò il marito, lanciando la valigia a terra. “Me ne vado da te e da questa palude che chiami vita!

Basta! ruggì luomo, scaraventando la valigia sul pavimento. Me ne vado da te e da questa palude che chiami vita.

Palude? Mara si voltò lentamente dai fornelli, dove friggevano le patate per la cena.

Questa “palude” ha sfamato tua madre per ventanni mentre correva da un medico allaltro. Te lo sei scordato?

Centra mia madre? Non toccarla!

Centra eccome, Enzo! Mentre tu ti davi da fare con i tuoi “grandi affari” a Milano, io ero qui con tua madre paralizzata. Le cambiavo i pannolini, se proprio vuoi saperlo.

Enzo era fermo sulla porta del loro bilocale in periferia, impeccabile nel suo abito nuovo, la valigia ai piedi. Mara non lo vedeva così bello da anni tonico, abbronzato, profumato di colonia costosa. Niente a che fare con loperaio coperto di grasso che tornava dalla fabbrica.

Ricordava il loro incontro. Un ballo al circolo aziendale, lui giovane meccanico, lei contabile. Laveva fatta volteggiare sulle note di “Volare”, sussurrandole sciocchezze allorecchio. Poi un matrimonio semplice, trenta invitati, insalata russa e spumante. Suocera piangeva di gioia, abbracciandola: “Grazie, piccola, per aver domato il mio Enzino.”

Domato. Ventidue anni insieme. Una figlia cresciuta, Livia. Ora alluniversità di medicina, con la borsa di studio e i lavoretti di Mara. Enzo non dava un soldo da tre anni tutto investito nel “business”. Che business? Mara non laveva mai capito. Prima unofficina, poi un servizio di trasporti. Fallimenti uno dopo laltro.

Non capisci Enzo accese nervosamente una sigaretta lì in corridoio. Sandro mi ha offerto di trasferirmi a Milano. Gestirò una catena di autolavaggi. Un appartamento in affitto, per cominciare.

Da solo? Mara si asciugò le mani sul grembiule. Le tremavano, ma la voce era ferma.

No. Distolse lo sguardo. Con Alice. Lei lei mi capisce. Crede in me.

Alice. Mara lo sapeva da tre mesi. Aveva visto i messaggi sul telefono mentre Enzo era sotto la doccia. “Gattino”, “tesoro”, “mi manchi”. Ventotto anni, la “tesoro”. Responsabile del concessionario dove Enzo aveva guardato una macchina. A rate, tra laltro, che Mara ancora ripagava con il suo stipendio da maestra.

E Livia? chiese Mara. Tua figlia. Si laurea lanno prossimo.

Crescerà, capirà. Non posso più vivere così. Ho quarantacinque anni, Mara. Sono ancora giovane, posso cambiare tutto.

Mara si avvicinò alla finestra. Nel cortile, la vicina Gina stendeva il bucato. La vide, le fece ciao con la mano. Gina sapeva tutto. Di Alice, del fatto che Enzo da sei mesi tornava solo per dormire. Le portava focacce per consolarla: “Tieni duro, Marì.”

Ti ricordi disse piano Mara quando Livia a cinque anni si ammalò? Polmonite, i medici non sapevano più cosa fare. Tu non mollavi il turno per pagare le medicine. Io passavo le notti al suo capezzale. Allora dicesti: “Siamo una famiglia, Mara. Affronteremo tutto insieme.”

Era tanto tempo fa.

Quindici anni. E quando tua madre ebbe lictus? Chi lha accompagnata in ospedale? Chi vegliava su di lei, la girava ogni due ore per evitare le piaghe? Io, Enzo. Tu trovavi scuse lavoro, impegni. Quali impegni? Già allora inseguivi il tuo sogno di imprenditore.

Enzo schiacciò la sigaretta sul davanzale. Mara rabbrividì nuovo, laveva comprato il mese scorso. Con i suoi risparmi.

Tu ricordi sempre tutto sbottò lui irritato. Solo il negativo. E il bene? Quando ti ho portata al mare?

Dieci anni fa. A Rimini. Una settimana.

Non ti basta mai!

Mara lo fissò. Gli occhi le bruciavano, ma non avrebbe pianto. Non gli avrebbe dato quella soddisfazione.

Sai cosa, Enzo? Vattene. Corri da Alice. Ma sappi una cosa. Tua madre lho assistita fino alla fine. Due anni a nutrirla con il cucchiaino, lavarla, darle le medicine. E tu doveri? A lavorare? Dove, Enzo? Non hai un impiego fisso da cinque anni. Sognavi di diventare ricco.

Ho provato! Lho fatto per la famiglia!

Per la famiglia? Mara sbuffò. Livia fa le notti come infermiera per comprare i libri. Perché papà vuole fare limprenditore. Io ho due turni a scuola e do ripetizioni. Per chi ti sei sacrificato?

Enzo tacque, stringendo la maniglia della valigia.

E sai la cosa più divertente? continuò Mara. Tua madre morendo mi disse: “Perdonalo, piccola. È debole. Lo è sempre stato. Grazie per averlo sopportato.” Non capii allora. Ora sì.

Non osare! esplose Enzo. Non dire che sono debole! Qui soffoco! In questo appartamento, in questa città, con te! Mi seppellirai con la tua perfezione!

La mia perfezione? Mara rise, un suono secco, amaro. Negli ultimi anni ho solo taciuto. Tacuto quando tornavi ubriaco. Tacuto quando sparivano i soldi dal fondo per i tuoi “progetti”. Tacuto quando puzzavi di profumo altrui. Pensavo che ti saresti fermato, ravveduto. Per la famiglia.

Andò allarmadio, tirò fuori una cartella. Enzo si irrigidì.

Cosa cè?

Le carte per il divorzio. Preparate un mese fa. Aspettavo che ti decidessi tu. O io. Ma sei partito per primo bravo. Firma.

Enzo fissò i fogli, sbalordito.

Tu lo sapevi?

Non sono stupida, Enzo. Ti davo solo una possibilità. E a me stessa forse mi sbagliavo. Non mi sbagliavo.

Lappartamento iniziò lui.

È mio. Era di mia madre, lho ereditato. Tu sei registrato, ma non hai diritti. Prova in tribunale, ma peccato negli ultimi tre anni non risulti assunto da nessuna parte. Pagherai gli alimenti a Livia?

È maggiorenne

Studentessa a tempo pieno. Spettano fino alla laurea. Articolo 337-bis del Codice Civile, se vuoi controllare.

Enzo afferrò la penna, firmò con un tratto deciso. Scagliò la cartella sul mobiletto.

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Sta’ zitta!” urlò il marito, lanciando la valigia a terra. “Me ne vado da te e da questa palude che chiami vita!