Rubi mio figlio, non può nemmeno comprarsi una lampadina.
È domenica mattina. Io sto sdraiata sul divano, avvolta da una coperta leggera, e mi sembra che le pareti respirino come un grande polmone pallido. Mio marito, Stefano, è andato da sua madre, nella nebbia che sale sopra il Po, teoricamente per cambiare una lampadina. Ma si sa, il vero motivo è un altro:
Figlio mio, hai dimenticato che oggi è il compleanno di Gabriele?
Stefano è un vero dissipatore. Il suo stipendio evapora in pochi giorni, come gelato sotto il sole estivo di Bologna. Per fortuna mi lascia sempre i soldi per pagare le bollette e la spesa alla Coop. Il resto si dissolve tra videogiochi nuovi e cianfrusaglie tecnologiche, cieco a qualsiasi ragionevole risparmio. Non ci faccio troppo caso: meglio che si diverta a casa che passi le serate in osteria o nei bar pieni di fumo. Daltronde, ho letto da qualche parte che i primi quarantanni dellinfanzia sono i più difficili nella vita di ciascuno.
Non ti racconto tutto questo per farmi compatire, ma per spiegare come mai Stefano abbia sempre le tasche vuote, fruscianti solo daria e polvere. Io questi problemi non li ho: riesco pure a mettere da parte qualche euro ogni tanto. Spesso mi ritrovo a prestargli soldi, se davvero ne ha bisogno, ma mai e dico mai quando li vuole per sua madre, i nipoti o la sorella.
Mi ricordai, certo, del compleanno di Gabriele; già una settimana fa avevo comprato un regalo. Prima che Stefano andasse dai suoi, gli consegnai il pacchetto incartato con cura e mi accomodai per guardare un vecchio film di Fellini su Rai 3. Non li seguii perché tra me e i miei suoceri cè uno strano antagonismo che sa di teatro dellassurdo e caffè bruciato.
Secondo loro, non amo veramente Stefano: non lo lascio spendere soldi per la famiglia, mi rifiuto di tenere i bambini della cognata. Una volta lho fatto per unora; me li hanno riportati dopo mezza giornata. Così arrivai tardi al lavoro e, con inaudito coraggio, osai lamentarmi. Per questo, sua madre e sua sorella mi chiamarono sfacciata e cafona. Dal quel giorno, ogni richiesta di babysitting fu respinta, ma a Stefano lasciavo pure badare ai nipoti, perché con loro si divertiva come un ragazzino.
Mio marito era partito da poco e già, avvolta da una luce irreale, la famiglia piombò a casa mia come un corteo ridicolo da commedia allitaliana, cognati e tutto. Sua madre attraversò casa mia con il cappotto chiuso fino al collo e proclamò:
Abbiamo deciso che per il compleanno di Gabriele, gli regaliamo un tablet che ha scelto lui: duemila euro di felicità. Tu devi darmene mille subito!
Forse avrei anche preso un tablet al ragazzo, ma non certo un affare da duemila euro.
Ovviamente rifiutai di dare qualunque somma. Perfino Stefano cominciò a rimproverarmi per la mia avarizia. Allora, aprii il portatile e chiamai Gabriele: in cinque minuti scegliemmo insieme un gadget che gli brillava negli occhi, lo comprai e glielo diedi.
Il bambino sfrecciò allegro verso la madre, seduta sul corridoio come una statua di sale. La cognata, con le sue mani attaccate a tutto, guardava con occhi appiccicosi. La madre di Stefano ignorò il mio gesto premuroso e, indignata, gridò:
Nessuno ti ha chiesto un regalo! Dovevi dare i soldi. Stai con mio figlio, e lui sembra sempre un mendicante che nemmeno una lampadina può comprarsi. Dammi subito mille euro: sai benissimo che sono i soldi di Stefano!
Con fare sognante, si mise a rovistare nella mia borsa appoggiata sul comodino, come se la logica dei sogni permettesse simili insolenze. Guardai Stefano negli occhi e mormorai, con voce che ronzava come una zanzara in una notte destate:
Hai tre minuti per mandarli via.
E fu così che Stefano, quasi danzando tra sogno e realtà, prese sua madre sotto braccio e la accompagnò fuori. Tre minuti esatti, e tutto cessò.
Rimasi lì, a pensare. Che lo lasci pure spendere la sua paga in videogiochi tanto, prima, gli portavano via tutto comunque. Meglio così, almeno si diverte. Che se li goda, i suoi euro sudati, invece di far felice quella compagnia di parassiti. E pensai, sospirando forte da svegliarmi quasi: forse sarebbe stato meglio sposare un orfano.






