**Lo Straniero, ma il Più Vicino**
“Signora Ada, ma che dice? Non si può fare così!” La voce di Mario Tremonti tremava di sdegno. “Io non sono un suo parente!”
“E chi lo è allora?” La donna si raddrizzò bruscamente, stringendo tra le mani un foglietto sgualcito dell’ospedale. “Mio figlio, che mi chiama ogni sei mesi dalla sua Milano? O mia nipote, che ormai si è dimenticata della nonna? Tu invece, da tre anni, vieni ogni giorno a chiedermi come sto, mi compri le medicine quando non ho un euro!”
Mario si agitò goffamente nell’ingresso. Alto, un po’ curvo, sulla sessantina, con la barba grigia e gli occhi stanchi ma buoni. Era venuto come al solito, quella mattina, per sapere se doveva farle la spesa, e invece…
“Ma la casa non può intestarla a me! Cosa dirà la gente? I vicini cosa penseranno?” Sfregava nervosamente un vecchio cappello tra le mani.
“Che me ne importa di quello che pensano!” Ada passò in salotto e si sedette nella sua poltrona preferita, accanto alla finestra. “Siediti, non restare lì piantato come un palo.”
Mario si adagiò timidamente sul bordo del divano. Fuori, una pioggerellina d’ottobre scivolava sui vetri, rendendo l’atmosfera ancora più accogliente. Sul davanzale fiorivano le violette, portate da Mario in primavera. Diceva che a casa sua non crescevano mai, mentre lì, chissà, avrebbero fatto piacere alla signora.
“Ascoltami bene,” Ada incrociò le mani sulle ginocchia. “Ieri sono stata dal dottore. Il cuore è messo male, la pressione balla. Dice che potrebbe capitare da un momento all’altro… insomma, capisci.”
“Non dica queste cose!” Mario si spaventò. “Vivrà ancora a lungo, io la aiuterò come sempre. Ci sono medicine nuove, efficaci…”
“Mario,” lo chiamò piano, e lui trasalì. Lo chiamava per nome raramente, di solito era più formale. “Capisci di cosa parlo? Ho paura di morire sola. Molta paura. Con te qui accanto, invece, mi sento più tranquilla.”
Si erano conosciuti tre anni prima, in fila alla ASL. Lei aveva un appuntamento dal cardiologo, si teneva il petto e respirava a fatica. Lui era lì per l’urologo. Vide che stava male, le si avvicinò, le offrì un sorso d’acqua dalla sua bottiglietta.
“Grazie, caro,” aveva sussurrato lei. “Sei un uomo buono.”
Poi scoprirono di abitare in due palazzi vicini. Mario cominciò a passare a trovarla, a chiederle come stava. All’inizio una volta a settimana, poi sempre più spesso. Ada gli preparava il pranzo, lui aggiustava qualcosa in casa. Senza accorgersene, si erano abituati l’uno all’altra.
Mario aveva la sua storia. La moglie era morta cinque anni prima per un tumore, e non avevano avuto figli. Era rimasto solo, in un appartamento vuoto dove ogni oggetto gli ricordava il passato. Aveva lavorato come operaio in fabbrica tutta la vita, la pensione era modesta, viveva senza fare rumore.
Ada, invece, aveva un figlio, Federico, partito per Milano dopo l’università. Lavorava come informatico, si era sposato, fatto una famiglia. All’inizio tornava per le feste, poi sempre meno. Chiamava a Natale e per il compleanno, chiedeva distratto della salute, prometteva di venire, ma non lo faceva mai.
“È molto impegnato,” giustificava Ada con le vicine. “Ha un lavoro importante. E con i bambini piccoli e la moglie che non sta bene…”
La verità era che il figlio si era semplicemente dimenticato di lei. Non per cattiveria, ma la vita l’aveva travolto, e la madre era finita in fondo ai suoi pensieri. Tanto c’era, in quel paesino, con la sua pensione. Pazienza.
La nipote, Sofia, ogni tanto le mandava qualche foto su WhatsApp. Una bambina carina, occhi intelligenti, ma quasi una sconosciuta. La nonna la ricordava a malapena.
“Mario, tu non hai mai desiderato dei figli?” chiese Ada una volta, mentre bevevano il caffè in cucina con una fetta di torta appena sfornata.
“Li desideravo. Molto,” rispose lui, mescolando lentamente lo zucchero nella tazzina. “Ma non è mai successo. Mia moglie, che Dio l’abbia in gloria, faceva cure, andava dai dottori. Poi ormai era tardi… Mi diceva: ‘Sposati con una più giovane, fai dei figli’. Ma come potevo amare un’altra? Lei è stata… l’unica.”
Ada gli tese una mano sopra al tavolo, posandogliela sulla sua.
“Sei un uomo per bene, Mario. Oggi ce ne sono pochi come te.”
Lui arrossì, distolse lo sguardo.
“Ma cosa dici… Sono un uomo qualunque.”
“No, non qualunque. Gli altri sono indifferenti. Tu invece ti preoccupi per chiunque.”
Era vero. Mario non sapeva voltare le spalle al bisogno degli altri. Nel quartiere tutti lo sapevano: se c’era un problema, si chiamava Mario. Il rubinetto rotto della signora Pina al piano terra? Lui lo aggiustava. La carrozzina rotta dalla ragazza del quinto piano? Lui ne comprava un’altra. La vecchietta del secondo piano ricoverata? Lui si occupava del suo gatto.
“Ti senti responsabile per tutti,” gli diceva Ada. “Ti stancherai, così.”
“E come fare altrimenti?” rispondeva, sinceramente stupito. “La gente soffre.”
I vicini lo rispettavano, ma alle spalle ridevano: troppo buono, quasi un santo. Ada invece capiva: persone così sono rare, vanno custodite.
Lei stessa non era una donna semplice. Aveva lavorato in biblioteca tutta la vita, leggeva molto, rifletteva. Il marito era morto giovane, aveva cresciuto il figlio da sola, dedicandogli tutta l’anima. E lui era volato via, come un uccello dal nido. Una storia comune, ma non per questo meno dolorosa.
“Sai qual è stata la mia più grande delusione?” confessò una sera a Mario. “Non che mio figlio sia partito. I figli devono vivere la loro vita. Ma che sia diventato un estraneo. Mi chiama, e nella sua voce c’è solo educazione, formalità. Come se parlassi con un conoscente.”
“Forse non sa come fare altrimenti,” propose timidamente Mario. “Noi uomini siamo impacciati in queste cose.”
“No, Mario. Lui lo sa. Semplicemente non vuole farmi entrare nella sua vita. Si vergogna, forse, di una madre di provincia. Sua moglie è milanese, i suoi suoceri sono professori. E io? Solo una bibliotecaria di un paesino.”
“Allora è uno stupido,” sbottò Mario, inaspettatamente duro. “Mi scusi la franchezza, ma è uno stupido. Vergognarsi di una madre così.”
Ada lo guardò sorpresa. Mario non criticava mai nessuno, trovava sempre una giustificazione. E invece…
“Non arrabbiarti per queste parole,” si scusò subito. “Ma non lo capisco. La madre è una sola nella vita. Come si può voltarle le spalle?”
“Siamo di un’altra generazione, Mario. Per noi la famiglia contava di più.”
Ora erano seduti di nuovo in salotto, e Ada riprendeva il discorso delle ultime volontà. Mario girava il cappello tra le mani, senza sapere cosa dire.
“Ascolta,” continuò lei. “Ho pensato a tutto. A Federico la casa non serve, ha la sua vita organizzata. La venderebbe, spenderebbe i soldE alla fine Mario accettò, non per la casa, ma perché capiva che, a volte, la famiglia non è quella che ci nasce, ma quella che scegliamo.