“Di gatti, uomini e tulipani…”
“Figuratevi, piove!” disse Rachele, affacciandosi alla finestra dell’ufficio.
“È primavera, cosa ti aspetti?” rispose pragmatica Natascia.
“Vero, oggi è il primo marzo. Che noia l’inverno. L’unica gioia era Capodanno.”
“Marzo è così: può ancora nevicare o gelare,” osservò Vicky, la più anziana del gruppo, quarantacinquenne.
“Stamattina, mentre andavo all’auto, sono caduta. Un livido enorme sulla coscia, che dolore! Volete vederlo?” Rachele si voltò dalla finestra.
“No, grazie!” risposero tutte in coro.
“E Lidia non sembra felice della primavera. Guardatela lavorare, sembra un robot.”
“Rachele, lasciala stare,” intervenne Vicky.
“Va bene, va bene. Non è mica la fine del mondo. Io sono stata lasciata tre volte e sono ancora viva.”
Rachele incrociò lo sguardo severo di Vicky e si allontanò dalla finestra.
“Davvero, un ragazzo mi ha lasciato. Non è morto, è vivo e felice, dovrei essergli grata,” continuò Rachele.
Lidia si alzò e uscì dall’ufficio. Non riusciva a dimenticarlo, ad accettare.
Prima aveva studiato, senza tempo per i ragazzi. Pensava che ne avrebbe avuti a bizzeffe. Ma il tempo passava, le amiche si sposavano, divorziavano, si risposavano, mentre lei non aveva mai una relazione seria.
Quando conobbe Paolo, pensò fosse l’amore vero, l’ideale che sognava. Si innamorò così tanto da non immaginare la vita senza di lui. Quanto era felice quando lui le chiese di sposarlo! Fissarono la data prima di Capodanno, per avere l’albero di Natale nelle foto. Aveva già invitato tutte le amiche e scelto l’abito.
A inizio dicembre, Paolo partì all’improvviso. Una settimana senza notizie. Al ritorno, sembrava confuso e in colpa. Alla fine, confessò: due anni e mezzo prima, prima di conoscere Lidia, aveva avuto una storia con un’altra durante un viaggio. Le aveva forse promesso qualcosa, non ricordava. Poi aveva conosciuto Lidia e l’aveva dimenticata.
“Mi ha chiamato: ho un figlio, ha un anno e mezzo. È identico a me.” Paolo si passò le mani tra i capelli. “Non è che la ami ancora, ma un figlio cambia tutto. Scusami, sono responsabile…”
Lidia non cercò di trattenerlo. Pensò che l’amore avrebbe vinto, poi capì che non era solo per il figlio. Se fosse rimasto, il passato sarebbe tornato a tormentarli, con richieste, soldi, regali…
Lo lasciò andare. Ma lei cosa doveva fare adesso? I sogni infranti, la fiducia distrutta. Di giorno lavorava come un’automata, di notte il cuore sanguinava.
Perché a lei non andava mai bene? Trentadue anni, mai sposata, mai una vera convivenza. Rachele era già al secondo matrimonio. Vicky aveva una famiglia consolidata, il figlio all’università. Persino Natascia, così piena di sé, si era sposata un anno fa. Solo lei era sola.
Le amiche cercarono di presentarle uomini, ma niente: uno noioso, un altro voleva solo un’avventura, un terzo ancora sposato…
E ora questa festa di primavera. Perché tanto clamore su fiori e regali? I fiori si donano quando si vuole, non per obbligo. Per fortuna quel giorno non si lavora, così non deve vedere uomini orgogliosi con mazzi di mimose e tulipani stretti da elastici, mentre a casa le mogli preparano pranzi festivi.
Si guardò allo specchio. Non era brutta, allora perché nessuno la amava? La accusavano di essere troppo esigente. Ma a trentadue anni non si può più scommettere su un uomo senza futuro.
Aprì il rubinetto, bagnò il viso. L’irritazione si calmò. Sorrise allo specchio: “Trentadue non sono cinquanta, no?”
Rientrando in ufficio, tutte tacquero. “Chissà cosa dicevano.” Si rimise al lavoro.
“Lidia, il sette facciamo una merenda con la torta. Diamo 50 euro ciascuna. Ci sei?”
“Ho promesso a mia madre di andare da lei,” mentì Lidia. Il padre era morto quattro anni prima, la madre aveva un nuovo compagno, non la cercava più.
Il sette, l’ufficio era in festa. Donne eleganti, tavola imbandita, profumi irresistibili.
“Lidia, vai a casa,” le disse Vicky, porgendole una scatola di cioccolatini. “Ti auguro felicità. Credimi, tutto si sistemerà.”
Lidia non andò subito a casa. Comprare vino, frutta, affettati… Per chi? Si sentì parte di quella folla femminile che riempiva i carrelli per stupire la famiglia.
Ma fuori, con la borsa pesante, si rimproverò: “A che serve?” Nessuno l’aspettava. Il ghiaccio, le pozzanghere. Arrivata al portone, cercò le chiavi con fatica.
Un miagolio. Un gatto grigio la fissava con occhi verdi. Era domestico, pulito.
“Di chi sei?” gli chiese, entrando nell’ascensore con lui.
A casa, il gatto mangiò affettati e latte. Lei lo lavò, poi lo chiamò “Cocco”.
Scrisse un annuncio: “Gatto grigio trovato”. Lo fotografò e stampò volantini.
Tornata a casa, trovò il gatto acciambellato.
Un telefono sconosciuto: “Avete trovato Cocco?”
Pochi minuti dopo, un uomo e un bambino bussarono.
“È nostro!” dissero.
“La mia ex non sopporta i gatti, l’ha cacciato,” spiegò l’uomo.
“Allora resti qui, e tu bambino puoi venire a trovarlo,” propose Lidia.
Più tardi, l’uomo tornò con la lettiera e i giochi.
Strana famiglia.
Quella sera, mentre sorseggiava vino col gatto, qualcuno bussò. Era l’uomo, con rose.
“Non tutti gli uomini sono stronzi,” disse.
La invitò al bar con gli amici. Musica, chitarra, risate.
Forse era l’inizio di qualcosa. Non tutto era perduto. Cocco non l’aveva aspettata per caso.