Oggi mi è successo qualcosa che mi ha fatto riflettere. Si dice che, con l’età, ognuno raccoglie ciò che ha seminato. C’è chi riceve affetto e calore dai propri cari, e chi invece si ritrova davanti una porta chiusa in faccia. Mia suocera, Maria Grazia Rossi, non è mai stata una donna dolce. Era sempre altera, severa, come se tutti le dovessero qualcosa. Soprattutto suo figlio unico. E, senza dubbio, io, “quella ragazza che ha portato via il figlio alla madre”.
Tanti anni fa, quando ero in attesa del nostro secondo figlio e mio marito aveva perso il lavoro, non riuscivamo più a pagare il mutuo. Chiedemmo aiuto a mia suocera, nella sua grande trilocale a Milano, lasciatale da suo padre. Allora vivevano lì lei, suo figlio minore Luca e noi, con i nostri due bambini piccoli. Speravamo fosse una soluzione temporanea, ma tutto diventò un incubo.
Maria Grazia non perdeva occasione per criticare. I bimbi la disturbavano, puzzavano. I giochi sul divano la facevano infuriare. La pappa del piccolo era “una brodaglia che le invadeva il frigo”. Io tacevo, sopportavo tutto per non peggiorare la situazione. Ma un giorno mi disse chiaramente:
“Mi avete stancato. Fate le valigie. Andatevene. Non posso più vivere in questo caos.”
Ci sentimmo umiliati. I soldi della vecchia casa erano finiti per pagare i debiti. A malapena riuscimmo a comprare una casetta a Pavia, senza acqua né bagno. L’unico comfort era la latrina in fondo al giardino, e l’acqua la prendevamo dal pozzo.
Piano piano, ricostruimmo la nostra vita. Usammo il bonus famiglia, poi un altro prestito. Dieci anni dopo, finalmente, avevamo una casa nostra. Non un palazzo, ma con doccia, riscaldamento, cucina nuova. Quando pensavamo che il peggio fosse passato e aspettavamo il terzo figlio, il destino bussò di nuovo alla porta. O meglio, fu Maria Grazia in persona.
Sentii il cancello aprirsi. Sulla soglia c’era lei, con la valigia, il cappotto e il viso gonfio di lacrime. Quando mio marito aprì, si buttò tra le sue braccia, piangendo come se cercasse salvezza.
La accogliemmo, la facemmo sedere. Mio marito chiamò Luca, ma non rispose. Solo verso sera si riprese.
Scoprimmo che, dopo la nostra partenza, aveva cercato di “rieducare” il figlio minore. Gli sussurrava che il fratello era un traditore e che io avevo rovinato la famiglia. Alla fine, Luca sposò e lasciò la madre. Ma non per molto. La prese a vivere con sé e sua moglie. All’inizio, pace. Poi nacque un figlio. E Maria Grazia ricominciò: odori, rumori, la minestra sbagliata. Ma la nuora non ero io: non aveva intenzione di tollerare.
Prima la trasferirono dal letto al divano. Poi, con scuse, la spinsero fuori. La camera divenne una cameretta. A tavola prese il suo posto qualcun altro. E alle sue lamentele risposero: “Se non ti piace, fai le valigie e vattene.”
“Non vuoi provare da Marco?” le disse una sera Luca, lo stesso che anni prima l’aveva aiutata a cacciarci.
E così la prepararono in fretta. Una valigia, un taxi per la stazione, un biglietto in mano. Alla fine, Luca aggiunse:
“Non ti cancelliamo dalla residenza. La pensione di Roma prenditela pure. Ma vivi dove vuoi, non da noi.”
Non potevamo rifiutarci. La nostra casa ha spazio. Per ora sta zitta. Niente rimproveri. Solo sguardi pieni di malinconia, soprattutto verso i bambini.
Forse la vecchiaia addolcisce. O forse è solo la paura di restare soli. Io per ora taccio. Ma so una cosa: non manderò via nessuno. Neanche lei. Neanche quella che una volta ci cancellò dalla sua vita.