**13 settembre**
Mia suocera ha adorato le sue figlie per tutta la vita. E ora, tocca a me, la nuora, occuparmi di lei nella vecchiaia.
La mia suocera ha tre figli: mio marito, Enrico, è l’ultimo. E sembra che per lei sia sempre stato di troppo. Tutto il suo affetto è andato alle due figlie maggiori: Giulia e Francesca. Ha sempre dato loro una mano con tutto: la casa, i bambini, le spese, i debiti. Noi, invece, eravamo come invisibili.
In otto anni di matrimonio, non abbiamo mai ricevuto un aiuto da lei. Niente regali, né telefonate, né visite. Non siamo mai stati invitati alle feste di famiglia, ai compleanni dei nipoti, neppure al suo cinquantesimo anniversario. Se ci parlava, era puro formalismo, quando aveva tempo.
Quando è nato nostro figlio, Luca, speravo in segreto che almeno un nipote potesse sciogliere il ghiaccio. Invece no. Non è nemmeno venuta a conoscerlo. Al telefono ha detto solo: “Peccato, non è una femmina”, e basta. Enrico ci è rimasto male, si chiedeva cosa avesse fatto di sbagliato. Poi, col tempo, ha lasciato perdere. Abbiamo contato solo sui miei genitori: loro ci hanno sostenuto, ci hanno tenuto Luca mentre lavoravamo giorno e notte, ci hanno aiutato con la spesa, con le parole, con qualsiasi cosa.
Mia suocera, per noi, ormai era un’estranea. Le mandavamo un messaggio per Natale e Pasqua, e finiva lì. Pensavamo che quel capitolo fosse chiuso.
Poi, tutto è cambiato quando è finita in ospedale. I medici hanno trovato una malattia grave, che le toglie la mobilità e la rende dipendente dagli altri. Enrico, appena lo ha saputo, è corso da lei. È tornato diverso: arrabbiato, confuso, distrutto. Di solito è calmo e equilibrato, ma quella volta ha perso le staffe per la prima volta.
Soprattutto, ora che è stata dimessa, ha bisogno di assistenza giorno e notte. Le figlie hanno fatto un “conciliabolo” e hanno deciso che tocca a noi occuparcene. Perché una ha un neonato e l’altra vive in una villa fuori Roma e “è scomodo raggiungere la città”. Nessuno ha pensato che anche noi lavoriamo, che abbiamo un figlio, che con lei non siamo mai stati in confidenza.
L’idea di “cederci” il suo appartamento suona quasi come un’elemosina, visto che ha già regalato tutto alle figlie. La casa al lago è di Giulia, l’auto di Francesca. “Per tutto quello che hanno fatto per lei”, dicono. Adesso, improvvisamente, si ricordano di Enrico, sempre trattato come l’ultima ruota del carro. Quando lui ha rifiutato, però, lo hanno accusato di essere senza cuore, dicendo che non merita il nome della madre.
Io sono stanca. Mi dispiace per mia suocera, davvero. Ma è un’estranea. Non posso prendermi cura di chi ha sempre fatto finta che non esistessimo. Mio marito non è più lo stesso: il senso del colpa lo rode. Ma che dovere può avere verso chi l’ha sempre ignorato?
Ha detto che se le sorelle pensano che la madre meriti assistenza, possono vendere il suo trilocale e pagare una badante. Lui è disposto a dare soldi, ma non la sua vita. Perché abbiamo un’esistenza nostra. La nostra salute. Il diritto alla tranquillità.
Capisco che la vecchiaia non sia facile. Ma perché devono pagarne il prezzo proprio quelli che sono stati sempre respinti? Dov’erano le “principesse” quando la mamma stava male? Perché ora devono stare a guardare mentre io, un’estranea, devo lasciare tutto e farle da infermiera?
So che molti mi giudicheranno. Diranno che non si abbandonano gli anziani, che la famiglia è sacra. Ma qui è tutto troppo complicato. Troppo dolore, troppe ingiustizie.
E soprattutto, è troppo tardi.