Suocera indecisa: le manchiamo o non ci sopporta?

Oggi mi viene da riflettere su mia suocera, che non sa nemmeno lei cosa vuole davvero: se le manchiamo o se non ci sopporta.

Lo scorso viaggio resterà a lungo nella mia memoria, e non certo perché sia stato piacevole. La prima parte, la visita a mia suocera, è stata una vera prova di resistenza. Vive a Perugia, noi a Milano, e dopo il matrimonio ci siamo visti solo una volta, quando sono uscita dall’ospedale dopo il parto. Mio marito andava da lei un paio di volte l’anno, per il compleanno, ma solo per un giorno, senza pernottare. E ora capisco perfettamente perché.

Il suo bilocato a stento riusciva a ospitare loro tre: lei stessa, il patrigno di mio marito e la figlia adulta di lui, avuta da un precedente matrimonio. Per questo prima diceva che ci avrebbe volentieri ospitati, ma non c’era spazio. Intanto, però, in ogni chiamata giurava che le mancava la nipotina, quanto le dispiacesse non averci vicino. Una volta mio marito propose di prenotare un albergo e lei si indignò, sostenendo che sarebbe stato un “dispetto” e che non ci avrebbe mai permesso di alloggiare “chissà dove”.

Dopo qualche anno la figlia del patrigno si trasferì a Roma, liberando la camera, e allora mia suocera iniziò a insistere perché andassimo a trovarla. «Ora potete venire, voglio vedere la mia Annina, non vedo l’ora!» Ci organizzammo con le ferie, trovammo il momento giusto e finalmente partimmo, sperando in un’accoglienza calorosa. E devo ammetterlo: all’inizio fu proprio così. Si gettò sulla nipotina, la tempestò di domande, l’abbracciò, si affannò in cucina… Ma quella felicità durò esattamente due ore. Poi, sembrava un’altra persona.

A pranzo iniziammo a sentire i primi commenti: i cucchiai fanno rumore, la bambina chiede il bis a voce troppo alta, con il ginocchio scosta la tappezzeria dell’angolino. Pensai che forse non si sentisse bene, magari aveva la pressione alta o un mal di testa. Invece no, stava benissimo. Era solo che aveva attivato il “controllo totale” su di noi.

Già alla sera avevo sentito abbastanza: sprechiamo l’acqua come nababbi, teniamo accese troppe luci, stiamo troppo sotto la doccia, apriamo il frigo “in continuazione”, e poi… camminare per casa è severamente proibito. Non avrei mai creduto di essere un’ospite così scomoda e disturbatrice. Ogni nostra mossa la irritava.

Il giorno dopo proposi a mio marito di scappare—anche solo per una passeggiata, andare al parco, prendere aria. Uscimmo in punta di piedi, come topolini. Comprammo qualcosa per pranzo, ci fermammo in un bar. Al ritorno, però, mia suocera ci disse che aveva sofferto senza Annina, che avrebbe voluto passeggiare con lei… Eppure, la prima cosa che ci ordinò fu di pulirci le scarpe, nonostante fuori ci fosse un caldo torrenziale. Mio marito, per mantenere la pace, obbedì, ma al suo sguardo perplesso lei replicò seccata: «In casa ci vuole ordine!»

Il pranzo trascorse nel più assoluto silenzio. Persino Annina era strana, come se avesse capito che qualsiasi sua parola avrebbe scatenato un nuovo fiume di “preziose” indicazioni. Provai a sdrammatizzare—suggerii a mia suocera di uscire con la nipotina la sera, mentre noi saremmo andati al cinema. La risposta fu gelida: «Adesso devo organizzarmi in base a voi? Credete che non abbia niente di meglio da fare?»

Stavo quasi per soffocarmi. Guardai mio marito in silenzio—aveva già capito tutto. Dopo cena ci consultammo e decidemmo di partire prima. Lui si limitò a dire: «Mi sa che le diamo fastidio». Cambiammo i biglietti, restammo ancora un paio di giorni per formalità. Quando mia suocera seppe della nostra partenza, si mise a lamentarsi: «Ho visto così poco la nipotina…» Non le feci notare che eravamo sempre noi a cercarla, mai il contrario.

L’epilogo arrivò il giorno della partenza. Mia suocera si aggirava per casa con l’aria di una martire, sospirando come se le avessimo devastato l’appartamento. Scoprimmo poi che in realtà era turbata perché avrebbe dovuto lavare le lenzuola dopo di noi. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Le dissi con calma che potevo pagare la lavanderia o comprarle un set nuovo. Lei arricciò le labbra con disprezzo: «Figurame«Ma che dici, pensi che non sappia fare niente da sola?» E così, salimmo in macchina senza più voltarci indietro.

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