La suocera decise di trasferirsi con noi. Ma non si aspettava che non sarei rimasta in silenzio.
Per sei anni, io e Luca abbiamo risparmiato per comprare una casa nostra, rinunciando a tutto. Finalmente, eccola lì: un appartamento di due stanze, luminoso e accogliente, anche se con un arredamento semplice. Doveva essere l’inizio di un nuovo capitolo, felice e sereno. Giulia era incinta, il parto sarebbe avvenuto da un giorno all’altro. Tutto era pronto: le valigie pronte, l’angolino del bebè sistemato, mancava solo una pulizia finale per accogliere nostro figlio.
Giulia aveva sempre sognato uno spazio suo, senza il controllo dei genitori e, soprattutto, senza l’ingerenza della suocera. Con Anna Maria, i rapporti erano sempre stati… tesi. La donna adorava dire agli altri come vivere, respirare, persino come lavare i piatti. Una volta, Giulia non ce l’aveva più fatta e le aveva detto chiaramente che non aveva bisogno dei suoi continui consigli. La suocera si era offesa ed era sparita dalla loro vita. Temporaneamente.
Quando Luca portò Giulia in ospedale, non poteva immaginare cosa lo aspettava. Il giorno dopo il ricovero, sua madre lo chiamò annunciando che sarebbe passata a trovarlo. Non ebbe neanche il tempo di opporsi. Anna Maria arrivò tutta elegante, ispezionò l’appartamento con aria di superiorità: l’ingresso — «passabile», le tende — «orribili», la cucina — «un incubo lucido, ora dovrai pulirla ogni giorno!». Fece un’inventario del frigorifero, insultando i tortellini già pronti e programmando una minestra per il giorno dopo. Luca cercò di sdrammatizzare, cambiare argomento, ma invano. Sua madre si cambiò in tuta e, con l’aria di un generale, si mise a ispezionare le altre stanze.
La sera, lui avrebbe voluto riaccompagnarla a casa. Ma sentì: «Resto qui stanotte. Non puoi restare solo, potrebbe arrivare Giulia domani». E rimase. Una notte. Due. Tre…
Mentre lui era al lavoro, lei spostava mobili, riordinava vestiti, decideva dove mettere il fasciatoio e cosa mancava. Luca stava per impazzire per i suoi «aiuti», ma aveva paura di deluderla. Poi, la suocera fece l’annuncio: sarebbe rimasta un paio di mesi, per aiutarli con il bambino. Tanto da soli non ce l’avrebbero mai fatta.
Quando Giulia fu dimessa, la famiglia era tutta riunita per accoglierla: i genitori, Luca e, naturalmente, Anna Maria, raggiante. Giulia capì subito che qualcosa non andava. Le tende erano diverse, i mobili spostati, tutto odorava di estraneo. I suoi genitori tornarono a casa. La suocera no. Alla domanda muta di Giulia, Luca borbottò: «Mamma resterà un po’ con noi. Per aiutarci…»
Giulia era stremata dal parto, ma non vedeva alternative. E quella sera iniziò l’inferno: «Non lo tieni bene», «Fagli la fascia così», «Piange perché non sai cullarlo». Giulia tacque, finché la suocera non le strappò il bambino dalle braccia. A quel punto, la goccia fece traboccare il vaso.
«Grazie dell’aiuto, ma puoi andare», disse con calma. «Questo è mio figlio. E a cullarlo ci penso io. Da sola.»
Anna Maria roteò gli occhi, offesa nell’orgoglio. Anche Luca tentò di protestare, ma lo zittì con uno sguardo. Era calma. Forte. Quella era la sua casa. La sua famiglia.
Anna Maria fece le valigie. E non tornò più. Luca capì che sua moglie non aveva bisogno di ordini, ma di sostegno. E Giulia, per la prima volta, si sentì davvero padrona di casa sua. Non importava quanto tempo fosse passato dal parto: l’importante era che non si era lasciata spezzare.