Suocera sogna una vita libera in pensione, e noi non ostacoliamo più

A volte la vita ti riserva sorprese che non capisci subito se siano un dono o una beffa del destino. Non avrei mai immaginato che, dopo dodici anni di matrimonio vissuti sotto lo stesso tetto con mia suocera, quando tutto sembrava tranquillo e stabile, ci saremmo trovati davanti a un ultimatum morale: “Pagate o andatevene”.

Tanti anni fa, subito dopo il matrimonio, Esterina Lombardi ci propose di trasferirci nel suo ampio trilocale in centro a Firenze, mentre lei si sarebbe sistemata nel mio piccolo monolocale in periferia. Io e mio marito eravamo al settimo cielo: abitare in centro, in un posto dignitoso, con il benestare di mia suocera… che cosa poteva volere di più una giovane coppia?

I soldi del matrimonio li investimmo nella ristrutturazione: rifacemmo tutto dall’alto in basso, mettemmo una cucina moderna, cambiammo i sanitari, il pavimento in laminato, e persino modificammo leggermente la disposizione degli spazi. Quando Esterina veniva a trovarci, faceva sempre i complimenti: “Che bello che avete fatto!”, “Siete stati bravissimi!”. Noi, per ringraziarla, ci prendemmo carico di tutte le bollette della sua nuova casa. Lei era felice, ci ringraziava spesso e diceva che con la pensione riusciva persino a mettere da parte qualcosa. E davvero, in tutti quegli anni, non ci pentimmo mai della scelta.

Poi arrivarono i bambini: prima un maschietto, poi una femminuccia. Con due figli, iniziammo a sentire il bisogno di uno spazio tutto nostro. Cominciammo a risparmiare per una casa più grande, perché un quadrilocale subito era fuori budget. Non ne parlammo con Esterina, sperando che, al momento giusto, avremmo trovato un accordo pacifico.

Ma tutto cambiò quando andò in pensione. L’euforia per la libertà svanì in fretta, quando si rese conto che la pensione era “una miseria”. A ogni incontro ripeteva: “Come si fa a vivere con questi spiccioli?”, “In questo paese i pensionati non contano nulla!”. Noi facevamo il possibile: le compravamo la spesa, le medicine, cercavamo di non farla sentire sola. Ma un giorno, davanti a un caffè, lasciò cadere una frase che lasciò mio marito senza parole.

“Figlio mio,” disse, “voi vivete nella *mia* casa, no? Allora iniziate a pagarmi un affitto. Non troppo, diciamo 500 euro al mese.”

Mio marito rimase di sale. Poi, quando realizzò, rispose secco:

“Mamma, ma dici sul serio? Noi paghiamo tutte le tue bollette, ti facciamo la spesa, la tua vita ti costa molto meno… e tu ci chiedi l’affitto?”

E lei, senza esitare:

“Allora torniamo come prima! Io voglio rientrare nella mia casa!”

Capimmo subito che era un ricatto. Puro, semplice, e soprattutto… ingrato. Ma quello che lei non sapeva era che noi avevamo già da parte i soldi per l’anticipo di un mutuo. Ascoltammo in silenzio, e quella sera decidemmo che le cose non potevano continuare così.

Qualche giorno dopo andammo da lei con una torta – non per chiedere scusa, ma nella speranza che cambiasse idea. Ma appena si tornò a parlare della casa, Esterina sbottò:

“Allora? Avete deciso? O vi dovrete accontentare di stare qui con me?”

A quel punto esaurimmo la pazienza.

“Esterina,” dissi con calma, “non ci accontenteremo di nulla. Tu riavrai la *tua* casa, e noi… prenderemo la *nostra* strada.”

“E dove li troverete i soldi?” chiese con sarcasmo.

Mio marito la interruppe:

“Li troveremo. Non è più affar tuo. Ma ricordati una cosa, mamma: l’hai voluta tu. Vuoi l’eco in un trilocale? Eccotelo servito.”

Tutto accadde in fretta: trovammo un appartamento, aprimmo un mutuo, usammo i risparmi e vendemmo il mio monolocale per ridurre le rate. In tre settimane eravamo già a fare le scatole.

Ora Esterina è di nuovo nella sua casa, ristrutturata a nostre spese, che prima amava e ora critica – perché scoprì che non gliel’avevamo regalata. Adesso si lamenta con le vicine del “brutto lavoro” e dei “figli ingrati”, paga le bollette da sola, porta su la spesa senza aiuto e, finalmente, assapora la pensione senza i nostri “extra”.

Noi viviamo in un quadrilocale nuovo. Stretto, ma libero. Sia nella testa che nel cuore. Non dobbiamo più rendere conto a nessuno, non dobbiamo temere sbalzi d’umore o nuove richiste assurde. Abbiamo chiuso un capitolo, e ne abbiamo aperto un altro.

Come si dice, chi la fa l’aspetti. Solo che questa volta… non tocca a noi.

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