Suocera taglia i ponti con il figlio, lui respira di sollievo.

Nella tranquilla cittadina di Como, affacciata sulle rive del lago, dove la vita scorre lenta e i vicini si conoscono per nome, la nostra famiglia affrontò una prova che cambiò per sempre il nostro destino. Quando io e mio marito, Luca, prendemmo un mutuo per il nostro appartamento, tutto sembrava stabile. Ma la vita ama giocare i suoi tiri mancini: Luca perse improvvisamente il lavoro. Io lavoravo da casa come economista, ma il mio stipendio bastava a malapena per sfamare noi e i nostri due bambini. I risparmi si sciolsero come neve al sole, e pagare il mutuo e l’asilo diventava sempre più difficile. Fu allora che mia suocera, Maria Teresa, propose di trasferirci da lei, nel suo ampio trilocale, affittando il nostro. Con il cuore in gola, accettammo.

Maria Teresa non viveva da sola: una stanza era occupata dalla sorella di Luca, Giovanna, col suo compagno, e la terza venne data a noi. La nostra camera era minuscola—riuscimmo a malapena a infilarci un letto, un divanetto per i bambini e un piccolo armadio. I primi giorni passarono tranquilli, ma non appena Luca uscì a cercare lavoro, iniziarono le persecuzioni. Mia suocera e sua figlia non trattenevano le parole: “scroccona”, “parassita”, “oziosa”—mi colpivano come grandine. Serravo i denti, ma il dolore delle loro parole mi divorava l’anima.

Io, una parassita? Eppure, quando i miei genitori vendettero la loro casa, la mia parte divenne l’anticipo per il mutuo. Le umiliazioni verbali erano solo l’inizio. Maria Teresa e Giovanna potevano rovinare i miei cosmetici, svuotare lo shampoo o “per sbaglio” far cadere i miei vestiti nel fango. Lavare i panni dovevo farlo a mano, per “non sprecare corrente”. Asciugare i vestiti era un’impresa: solo sul termosifone della nostra stanza, poiché il balcone era nel loro dominio. Con il cibo, peggio ancora: davamo i soldi per la spesa a Maria Teresa, ma non appena Luca usciva per lavoro, ogni tozzo di pane mi veniva rinfacciato. La salvezza era l’asilo, dove i bambini mangiavano. Rimanevo nascosta nella stanza, evitando la cucina finché Luca non tornava.

Lavorare da casa era una tortura. Giovanna e il suo compagno alzavano la musica a tutto volume, chiaramente per farmi dispetto. Stavo con le cuffie, cercando di concentrarmi, ma le loro risate e urla superavano ogni barriera. Supplicai Luca di parlare con loro, ma mi chiese solo di resistere: “All’inizio pagano poco, ma presto andrà meglio.” Non vedeva come sua madre e sua sorella trasformassero la mia vita in un inferno, perché con lui erano dolci come il miele, coccolando i bambini.

Ma un giorno la verità venne a galla. Luca si ammalò e rimase a casa, senza avvisare nessuno. Portai i bambini all’asilo e tornai, trovandomi davanti a una nuova umiliazione. Sulla soglia, il compagno di Giovanna, un omone di nome Sandro, mi bloccò. “Ehi, vai a comprarmi la birra, subito!” mi urlò. Mi rifiutai, e lui, senza filtri, iniziò a gridare che non valevo nulla e che il mio posto era nella spazzatura. Cercai di raggiungere la stanza, ma mi afferrò il braccio, minacciando: “Se non fai come dico, stasera dormirai sulle scale!” In quel momento, Maria Teresa uscì dalla cucina. Con un sorriso velenoso aggiunse: “E porta fuori la spazzatura, almeno servirà a qualcosa.”

Fu allora che la porta si aprì di colpo. Il volto di Luca era rosso di rabbia. Maria Teresa scomparve in cucina, mentre Sandro impallidì, schiacciandosi contro il muro. Luca lo afferrò per il colletto e lo scaraventò nel vano scale come un sacco vuoto. “Una sola parola contro la mia famiglia, e non ci rivedrete mai più!” sbatté la porta. Maria Teresa si mise a fingere svenimenti, ma Luca la fulminò con lo sguardo.

Quel giorno stesso chiamò i nostri inquilini e li cacciò entro fine mese. Appena se ne andarono, tornammo a casa con un sospiro di sollievo. Ma Luca volle fare di più. Per tagliare ogni legame, vendette la sua parte del trilocale a una famiglia del Sud. Vivere in quella “comunione” divenne insostenibile per Maria Teresa e Giovanna, che finirono per scambiare la loro parte con un monolocale in periferia.

Maledicendoci, Maria Teresa cancellò Luca dalla sua vita. Non chiama, non scrive, come se suo figlio non fosse mai esistito. Ma, con mia sorpresa, Luca tirò un sospiro di sollievo. “Ci avvelenavano la vita,” disse. “Finalmente siamo liberi.” E vedo che ha ragione: la nostra casa è di nuovo il nostro rifugio, e l’ombra del passato non ci tocca più.

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