Sussurri dietro il vetro

**Il Sussurro dietro il Vetro**

Linfermiera, una donna dal viso stanco e segnato dal vento, con occhi spenti da anni passati a guardare il dolore altrui, spostò goffamente la borsa trasparente di Alice da una mano allaltra. La plastica scricchiolò, rompendo il silenzio tombale dellascensore. Dentro la borsa, come una beffa, spiccavano gli indumenti di una bambina: un minuscolo body rosa con i coniglietti, una camicina ricamata con la scritta *”Sono la felicità della mamma”*, e una confezione di pannolini bianchi con il bordo azzurro. Sulla confezione, un numero gigante: *”1″*, per i neonati. Per quelli che iniziano il loro cammino.

Lascensore scendeva lentamente, cigolando per le funi logore, e a ogni piano il cuore di Alice si stringeva sempre più, trasformandosi in un groviglio di dolore.

“Non ti preoccupare, piccola,” disse linfermiera con una voce roca e senza speranza, come lo stridere di una porta arrugginita in una casa vuota. “Sei giovane, sei forte. Ne avrai altri. Andrà tutto bene Si sistemerà.”

Lanciò a Alice uno sguardo fugace, carico di un imbarazzato compatimento e del desiderio di finire al più presto quella discesa straziante.

“Ne hai già altri? Figli?” chiese, per riempire il silenzio pesante.
“No” sussurrò Alice, fissando i pulsanti luminosi dei piani. La sua voce era vuota, spenta.
“È più difficile allora” borbottò linfermiera. “Che avete deciso? La seppellirete o la cremerete?”
“La seppelliremo,” rispose Alice, voltandosi e stringendo le labbra fino a farle sbiancare. Il suo sguardo si perse nello specchio sporco e graffiato dellascensore, dove rifletteva il suo stesso volto, pallido, svuotato.

Linfermiera sospirò, con unaria professionale. Ne aveva viste migliaia, di donne così. Giovani, anziane, spezzate. La vita in quellospedale si divideva in *prima* e *dopo*. E per Alice era appena arrivato il *dopo*.

La stavano portando via dal reparto maternità, da sola. Niente fiocchi rosa o azzurri. Niente quel tenero russare sotto una copertina ben sistemata. Niente sorrisi, congratulazioni, sguardi emozionati dei parenti, né bouquet di fiori freschi. Cera solo suo marito, Massimo, in piedi ai piedi della scalinata dellospedale con gli occhi pieni di colpa, curvo, come se portasse sulle spalle un peso insostenibile. E cera quel vuoto, gelido e bruciante, che le rimbombava nelle orecchie e le toglieva il fiato.

Massimo la abbracciò con circospezione, come un estraneo, temendo di farle ancora più male con il suo tocco. Il suo abbraccio non la scaldò. Era solo una formalità, un rito da compiere. Senza una parola, senza le stupide e tanto desiderate foto ricordo alluscita, lasciarono lospedale in silenzio. Le porte automatiche si chiusero dietro di loro, come a sigillare per sempre un capitolo della loro vita.

“Sono già ehm passato” borbottò Massimo, accendendo lauto. Il motore rispose con un ringhio sordo. “Dallagenzia funebre da quegli avvoltoi. Ho già organizzato tutto per domani. Ma se vuoi cambiare qualcosa Ho scelto una corona bianca, piccola, e la bara è beige, con dei dettagli rosa” Si interruppe, ingoiando un nodo in gola.

“Non importa,” lo interruppe Alice, fissando il finestrino appannato. “Non posso non posso parlarne adesso.”
“Va bene. Ehm” tossicchiò di nuovo, stringendo nervosamente il volante.

Quel sole di dicembre splendeva beffardo e allegro! Si rifletteva nelle pozzanghere, accecava gli occhi, danzava sui vetri delle auto. Gridava alla vita, quella che non cera più. Dovera il vento? Dovera la pioggia gelida, la neve bagnata che si appiccica al viso come uno schiaffo di Dio per tutti i peccati? Sarebbe stato giusto. Sarebbe stato onesto. Uscirono dal cancello e si ritrovarono in una strada inondata di sole. Alice guardò con un assurdo senso di pena il fianco dellauto, sporco di fango e residui di sale.

“Che sporca che è”
“Dovevo andare al lavaggio. Tre giorni fa, ma poi ehm è successo tutto.”
“Stai male?” si girò verso di lui Alice.
“No. Perché?”
“Tossisci.”
“No, è solo i nervi. Mi si stringe la gola per i nervi.”

Ripresero la strada. Il mondo fuori non era cambiato. La stessa città, le stesse strade con mozziconi di sigaretta schiacciati ai bordi, alberi scheletrici contro i grigi palazzi popolari. Un cielo azzurro, senza una nuvola. Il recinto arrugginito della scuola, dove qualcuno aveva scritto con la vernice fresca una dichiarazione damore. Piccioni gonfi sui fili. Lasfalto grigio che si perdeva nel nulla. Tutto era uguale. Ed era insopportabile.

***

Già al terzo mese di gravidanza, Alice aveva iniziato a sentirsi male. Prima un pizzicore in gola, poi la febbre, il corpo spezzato da dolori. Un raffreddore, pensò. Ma forse era influenza. Dovette prendere medicine, e si preoccupò, ma i medici la rassicurarono: il feto era protetto. Dopo la guarigione, le era comparsa una strana eruzione sulla schiena. Un infettivologo, dopo una rapida occhiata, diagnosticò lherpes e le prescrisse antivirali pesanti. Alice li prese, divorata dai sensi di colpa. Non servirono. Un dermatologo scosse la testa: “Che herpes! È solo unallergia da stress!” Le diede una crema innocua, e leruzione scomparve. Le preoccupazioni per la salute sembravano finite. Alice tirò un sospiro di sollievo e iniziò ad aspettare il parto, comprando il corredino e sistemando la cameretta.

Il giorno del termine, le contrazioni iniziarono da sole, deboli, ma Alice, memore dei consigli, decise di andare in ospedale.

“Nessuna dilatazione,” disse lostetrica dopo la visita. “Sono contrazioni false. Dobbiamo fermarle.”

Le misero due flebo con un farmaco per bloccare il travaglio. Ma le contrazioni non cessarono, anzi, diventarono più intense e dolorose. Alice soffrì tutta la notte, e al mattino la visitarono di nuovo: la dilatazione era iniziata. Decisero di accelerare il parto rompendo il sacco amniotico.

“Le acque erano pulite?” chiese Alice, cercando di parlare con calma. Si era preparata a fondo, studiando ogni dettaglio.
“Sì, limpide, senza tracce di meconio,” la rassicurarono. “Tutto bene.”

Iniziò unaltra flebo, stavolta per stimolare le contrazioni. Unora, due, tre Il dolore divenne insopportabile. Dopo sei ore, il monitor mostrò dati allarmanti: il battito del feto rallentava. “Ipossia,” sussurrò lostetrica. Il medico le posò una mano sulla fronte sudata: “Le condizioni del bambino peggiorano. C

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