Tardi di sera squillò il telefono: era la voce di mia figlia.

Tardi la sera, suonò il telefono. Alzai la cornetta e sentii la voce di mia figlia.

– Mamma, sono io, Chiara. Ho un problema! Mio marito mi ha cacciato via, domattina arrivo da voi con papà e starò a casa.

– Ascolta, Chiara, tu non hai più genitori né una casa.

– Cosa? – mi interruppe mia figlia, – Come hai detto?

– Così è, – risposi con calma, – Non hai più una casa. Abbiamo regalato l’appartamento a Lisa, ora è lei la padrona qui, e noi non vogliamo più sapere nulla di te. Non sei più nostra figlia.

Chiusi la conversazione con fermezza. Dopo quello che aveva fatto Chiara, avevo il diritto di dirle quelle parole. Guardando fuori dalla finestra, mi tornò in mente come anche la nostra storia fosse iniziata con una telefonata.

Quella fastidiosa telefonata arrivò di primo mattino. Saltai giù dal letto e corsi al telefono fisso.

– Pronto?

All’altro capo della linea, ci fu un singhiozzo soffocato.

– Pronto, chi parla? Chi è?

– Maria, sono Annamaria.

– Annamaria, ma che fai? Mi hai spaventata. Sai che ore sono?

– Sì, lo so. Maria, oggi entro in ospedale per un’operazione e ho paura per mia figlia. Ti prego, tu e Nicola, non abbandonate Elisa, è ancora così piccola. Non mandarla all’orfanotrofio.

Mia sorella Anna è sempre stata una persona eccentrica, con grande immaginazione e scelte fuori dal comune. Ma oggi aveva superato ogni limite.

Girai nervosamente la cornetta del telefono, rendendomi conto che era successo qualcosa di grave che ancora non potevo comprendere. Avevo paura.

– Annamaria, perché non ci hai avvertito prima, perché adesso? Cosa ti sta succedendo? Dove ti ricoverano?

Anna era malata da anni, ma non se ne preoccupava troppo. L’ultimo mese i dolori si erano intensificati, era molto dimagrita e scavata. La diagnosi era infausta.

Un’operazione era necessaria con urgenza. Non sapeva come dire alla sorella quello che stava succedendo. Maria già l’aveva aiutata fornendole denaro e facendo da madre a sua figlia. Ora, le scaricava addosso i suoi problemi e la figlia piccola.

– Maria, non garantiscono l’esito dell’operazione, ti prego, non abbandonate Elisa.

Un’ora dopo eravamo già all’ospedale, anche se non potevamo già vedere Anna. Nel corridoio, c’era la piccola Elisa, rannicchiata in un angolino. Mi avvicinai e l’abbracciai.

– Faranno male alla mamma? – chiese la bambina con le lacrime agli occhi.

– No, la mamma non sentirà nulla, dormirà.

Dopo quattro ore, il medico ci informò che mia sorella era morta.

Portammo Elisa a casa. Entrai nella stanza di mia figlia e la avvertii che Elisa sarebbe vissuta con noi. Chiara mi lanciò uno sguardo di rabbia, ma non disse nulla.

Dieci giorni dopo, Chiara cacciò tutte le cose di Elisa dalla sua stanza e le proibì di entrare.

Il confronto con mia figlia fu difficile, insisteva sulle sue posizioni e affermava che avrebbe continuato a farlo ogni volta che Elisa sarebbe stata sistemata in camera con lei.

Per evitare conflitti, cedemmo la nostra stanza a Elisa, mentre noi ci trasferimmo in salotto.

Elisa era orfana. Non riuscimmo mai a sapere da Anna chi fosse il padre di Elisa. Ora il suo destino dipendeva solo da noi. Per questo non facevamo distinzioni tra Chiara ed Elisa. Entrambe erano per noi figlie.

Il tempo passò. Chiara si laureò e si sposò. Suo marito era un uomo benestante e più grande di lei. Né l’uno né l’altro aspetto le creavano problemi. Si trasferì subito a casa di Giovanni.

Dopo un mese, ci informò del matrimonio.

– Mamma, ti chiedo solo di non portare quella vostra coccolata Elisa al matrimonio. Non voglio vederla.

– Chiara, non puoi fare così, Elisa è comunque tua sorella e non invitarla significherebbe offenderci.

– Lei non sarà al mio matrimonio! – dichiarò categoricamente Chiara.

– In tal caso, neanche noi due verremo.

– Bene! Affare fatto.

Mi misi a piangere, ma poi mi ripresi e decisi di andare in vacanza in Sicilia, in qualche villaggio turistico.

– E il matrimonio di Chiara? – chiese sorpreso mio marito.

– Non ci riguarda, non siamo stati invitati.

– Elisa, aiutami a trovare un villaggio turistico.

– Andiamo in vacanza? – chiese Elisa.

– Sì, mia cara, ce lo possiamo permettere.

– Evviva! – esclamò entusiasta la mia nipotina, girando per la stanza.

Rimanemmo in tre. Elisa finì la scuola e si iscrisse all’università. Lo fece brillantemente, diventando studentessa di Architettura. Sua madre Anna era una pittrice bravissima e abbastanza conosciuta nel suo ambiente, ed Elisa seguì le sue orme.

– O quelle del padre, – diceva mio marito Nicola, sospettando di una certa persona nota in città come il padre di Elisa.

Io non ci badavo. Elisa era nostra figlia.

Un anno dopo, festeggiammo il compimento della maggiore età di Elisa proprio il giorno in cui a mio marito venne un malore. Impallidì e svenne. Chiamammo l’ambulanza e Nicola fu portato in ospedale.

Il medico ci comunicò che la situazione era grave. Mio marito era malato e solo un medicinale poteva aiutarlo. I medici potevano ordinarlo e sarebbe arrivato in tre giorni. L’unico problema era che costava una somma spropositata. Ero disperata.

Chiamai Chiara, sapendo che suo marito era benestante e poteva prestarmi dei soldi.

Chiara rispose. Le raccontai del nostro problema.

– Chiara, ciao cara. Ti chiamo perché tuo papà è malato e ha bisogno di un medicinale importato che ha un costo difficile da immaginare. Vorrei chiederti in prestito questa somma.

Il lungo silenzio di Chiara mi preoccupò. Mentre mi accingevo a ripetere la domanda, lei rispose.

– Va bene mamma, parlo con Giovanni e vi richiamo.

Aspettammo la sua chiamata per molto tempo. Chiara richiamò dopo un’ora.

– Mamma, vedi, è così. Giovanni ha deciso di regalarmi una macchina fantastica, e non posso rinunciare alla condizione che mi ha posto. O mi compra la macchina, o i soldi li diamo a voi.

– Chiara, tesoro, noi vi restituiremo i soldi, non preoccuparti.

– Mamma, non dire sciocchezze, come li restituirete? A rate, o come nel romanzo di cronaca spicciola? Insomma, la macchina non la vedrò neanche col binocolo.

– Senti cosa stai dicendo, Chiara? Tuo papà potrebbe morire. Ha bisogno del tuo aiuto.

– Non posso aiutare. Prendi un prestito, alla fine non vi possiamo aiutare noi per tutto.

La cornetta mi cadde dalle mani. Ero pronta a svenire.

– Zia Maria, cosa c’è?

La giovane si avvicinò a me, trattenendomi. Ero in lacrime.

– Zia Maria, ascoltami, vendiamo l’appartamento di mamma. Non riesco comunque a viverci, è pesante starci anche solo cinque minuti. Non dire di no, l’importante è che zio Nicola si riprenda. Possiamo offrirlo ad un prezzo vantaggioso, e ottenere l’anticipo per pagare i medici.

– Mia cara, non possiamo fare questo, è il tuo appartamento. Cosa direbbe tua madre, sapendo che approfittiamo della tua generosità?

– Zia Maria, sembravi una donna saggia. È questo il momento di discutere cosa direbbe mia madre? Zio Nicola è in pericolo, la sua vita è minacciata. Questo è ciò che conta. E ora dobbiamo prendere decisioni rapide e intelligenti. – disse Elisa con agitazione.

Abbracciai mia nipote e non sapevo come ringraziarla. Capivo che era l’unica possibilità di salvare Nicola.

Mettemmo in vendita l’appartamento lo stesso giorno, e fu venduto rapidamente a una somma più che ragionevole.

Il compratore ci diede un acconto, mentre venivano firmati i documenti e usammo il denaro per pagare il farmaco necessario.

Esso arrivò dopo due giorni e fece effetto. Elisa salvò la vita di Nicola. Dopo un mese, Nicola si era completamente ripreso. La nostra felicità non aveva limiti.

Dopo che Nicola si riprese, decidemmo di intestare l’appartamento a Elisa. Ci recammo dal notaio e formalizzammo i documenti in favore di nostra nipote. La ragazza ci fu molto grata. I soldi rimanenti li depositammo su un conto bancario.

Vivevamo insieme, godendoci la vita, finché una notte il telefono suonò.

Era Chiara, che ci informava che voleva tornare a casa. Giovanni l’aveva lasciata, buttandola fuori di casa.

Io le risposi con un rifiuto.

– Abbiamo solo una figlia, Elisa. – risposi e riattaccai il telefono.

Dopo un paio di anni, Elisa si sposò. Luca era un contadino. Aveva una grande casa in paese. Il suo lavoro andava a gonfie vele e gli fruttava un buon reddito. Stava pensando di aprire anche un laboratorio di conserve.

Nostra figlia ci invitò a trasferirci da loro, ma preferimmo solo fare visita un paio di volte a settimana.

Avevamo sempre a disposizione una bella e accogliente stanza. Nicola e Luca diventarono amici. Spesso andavano a pesca insieme. Nicola lo aiutava come poteva nelle attività aziendali. Elisa progettò un piccolo laboratorio per le conserve. Vivevamo, insomma, felici insieme, come una grande famiglia, anche se non eravamo sempre tutti vicini.

Ricordavamo Chiara solo nel giorno del suo matrimonio, esattamente quello in cui anni fa ci recammo in Sicilia al villaggio turistico. Erano Elisa a prenderci i biglietti. A volte anche lei ci accompagnava.

Ogni volta in quel giorno, mi chiedevo come avessi potuto crescere una figlia così egoista, che considerava più importante un’auto di lusso rispetto alle nostre vite. Elisa, orfana che perse la madre così presto, ci apprezzava sopra ogni altra cosa ed era disposta a dare tutto ciò che aveva per la nostra felicità.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

14 − four =

Tardi di sera squillò il telefono: era la voce di mia figlia.