Tardi per Rendermi Conto dell’Errore

Francesca stringeva tra le mani i risultati delle analisi. La carta era umida di sudore. Nel corridoio della clinica ginecologica era impossibile muoversi.

“Francesca Lombardi!” chiamò l’infermiera.

Francesca si alzò e entrò nello studio. La dottoressa, una donna formosa con occhi stanchi, prese la cartella e scorse i fogli con un’occhiata distaccata.

“Siediti. Tutto è nella norma. Fai visitare tuo marito.”

Francesca si gelò. *Domenico? Ma lui…*

***

A casa, la suocera tagliava le verdure per il minestrone. Il coltello sferzava con rabbia, come se stesse affrontando un nemico.

“Allora, piccola, che notizie?” chiese Valentina senza alzare lo sguardo.

“Sto bene,” mormorò Francesca, togliendosi il cappotto.

“E allora perché…” Finalmente Valentina la guardò. Nei suoi occhi brillò un lampo d’ansia.

“Domenico deve farsi visitare.”

Il coltello si fermò sul tagliere. Valentina si irrigidì come una corda tesa.

“Che sciocchezze! Mio figlio sta benissimo. Sono i vostri dottori che non capiscono nulla. Una volta le donne figliavano senza bisogno di analisi!”

Francesca entrò in camera. Sul divano giacevano due calzini spaiati. Li raccolse macchinalmente e li gettò nel cesto della biancheria.

In tre anni di matrimonio, quei calzini erano diventati il simbolo della loro vita: separati, incapaci di formare una coppia.

Domenico tornò tardi quella sera.

“Perché quella faccia da funerale?” borbottò, cadendo sulla poltrona.

“Domenico, dobbiamo parlare.”

“Di cosa?”

Gli porse i referti. Lui li lesse e li sbatté sul tavolo.

“E allora?”

“Devi fare degli esami.”

“Per quale ragione?” Domenico balzò in piedi, agitandosi per la stanza. “Io sono un uomo sano! Guardami!”

Era vero: spalle larghe, capelli folti e scuri. Ma la salute non si giudica dall’aspetto.

“Domenico, ti prego…”

“Basta!” urlò. “Se non vuoi figli, dillo chiaramente! A che servono queste scenate?”

Dalla cucina giunse il rumore di pantofole striscianti. Valentina si era appostata dietro la porta, respirando così forte che ogni respiro era percettibile.

“Voglio dei figli più di ogni altra cosa,” disse piano Francesca.

“Allora perché non ne abbiamo? Forse nascondi qualcosa? Hai avuto aborti e ora non riesci più?”

Il colpo fu crudele. Francesca indietreggiò.

“Come puoi…”

“E come dovrei? Tre anni insieme e niente! E ora questi dottori dicono che io…” Non terminò la frase, serrando i pugni.

La porta si spalancò. Valentina irruppe nella stanza come un carro armato.

“Domenico, non ascoltarla! È tutta colpa della noia. Se lavorassi di più, non avresti tempo per i medici.”

Francesca guardò il marito. Lui voltò le spalle, fissando la finestra.

“Davvero credi che io…”

“Non so cosa pensare,” sbottò tra i denti. “So solo che un uomo sano non va dai dottori.”

Valentina annuì trionfante.

“Ha ragione mio figlio. Non è da uomo andare in giro per ospedali.”

Francesca sentì qualcosa spezzarsi dentro. Come una corda tesa all’estremo.

“Bene,” disse con voce ferma.

Il giorno dopo iniziò la guerra. Valentina la criticava per ogni cosa. Il sale versato male. La pentola non lavata abbastanza. La polvere sulla credenza. Francesca taceva, stringendo i denti.

“Forse non dovresti nemmeno stare in casa,” commentò velenosa Valentina a cena. “Dovresti lavorare invece di perdere tempo dai medici.”

Domenico masticava la cotoletta senza alzare gli occhi.

“Io lavoro,” ricordò Francesca.

“Tre giorni alla settimana? Non è un lavoro, è un passatempo!”

“Che c’entra il mio lavoro?”

“C’entra! Mio figlio è sano, e tu vuoi farlo passare per malato! Quando non arrivano figli, la colpa è sempre della donna!”

Francesca si alzò dal tavolo. Le gambe cedevano.

“Cosa ti prende?” sbottò Valentina. “Mangi e scappi subito?”

“Sono stanca.”

“Stanca? Di cosa? Tre giorni di lavoro non sono certo una fatica!”

Domenico finalmente la guardò. Nei suoi occhi balenò qualcosa simile a pietà. Ma tacque.

Quella notte, Francesca rimase sveglia ad ascoltare il russare del marito. Una volta quel suono la calmava: significava che l’uomo che amava era vicino. Ora la irritava. Come aveva fatto a non vedere quanto fosse testardo?

Al mattino, preparò una borsa con le sue cose. Non prese molto: qualche vestito, biancheria, il necessario.

“Dove vai?” Valentina era sulla soglia della cucina con una tazza in mano.

“Dalla nonna.”

“Per quanto?”

“Non lo so.”

Domenico uscì dal bagno e vide la borsa.

“Francesca, cosa succede?”

“Quello che vedi.”

“Dici sul serio?”

“E come altro? Tu rifiuti di farti visitare, tua madre mi accusa di tutto. Perché dovrei restare?”

Si avvicinò, abbassando la voce:

“Non fare sciocchezze. Dove andresti?”

“Dalla nonna Pia.”

“In quel buco? Ci saranno venti metri quadri!”

“Meglio poco spazio che cattiva compagnia.”

Valentina sbuffò:

“Giusto! Che vada. Starà con quella vecchia e capirà quanto stava bene qui.”

Domenico lanciò alla madre un’occhiata torva, ma non replicò.

Francesca prese la borsa e si diresse alla porta.

“Francesca!” la chiamò il marito.

Si voltò. Lui era fermo nel corridoio, confuso, i capelli ancora bagnati dalla doccia.

“Quando torni?”

“Quando andrai dal dottore.”

La porta si chiuse con un colpo secco.

La nonna Pia trasalì vedendo la nipote con la borsa:

“Franceschina! Cosa è successo?”

“Ho litigato con Domenico. Posso stare da te?”

“Certo, cara. Solo che qui è piccolo…”

“Non importa, nonna.”

L’appartamento era minuscolo: un letto, un tavolo, due sedie e una vecchia televisione. Ma pulito. E profumava di vaniglia: la nonna amava cucinare.

“Raccontami tutto,” disse la vecchietta, preparando il te.

Francesca le rivelò ogni cosa. La nonna ascoltava, scuotendo la testa grigia.

“Eh, cara… Gli uomini sono così. Orgogliosi. Per loro ammettere un problema è come morire.”

“E io dovrei aspettare tutta la vita che si decida ad andare dal medico?”

“No. Hai fatto bene ad andartene. Che rifletta.”

I primi giorni trascorsero tranquilli. Francesca si sistemò su un lettino in un angolo, aiutando la nonna con le faccende. Domenico chiamava, ma lei non rispondeva.

Poi la nonna iniziò a lamentarsi di dolori al petto. Il medico dell’ambulanza insistette per il ricovero.

“Non preoccuparti, piccola,” sussurrò Pia mentre la portavano via. “Sono vecchia, capita.”

In ospedale, la nonna migliorò. Francesca andava a trovarla ogni giorno, portandole cibo fatto in casa e raccontandole le novità.

“E tuo marito?” chiese una volta Pia.

“Niente di nuovo. Ha chiamato un paio di volte,Un giorno, mentre tornava dall’ospedale, incontrò Domenico davanti al portone, con gli esami medici in mano e gli occhi pieni di rimpianto, ma ormai era troppo tardi per riparare a quel che aveva spezzato.

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