Tesoro sotto un tetto altrui: una storia d’oro, astuzia e… sentimenti
Andrea è arrivato in campagna da suo nonno Timoteo per respirare aria fresca e prendersi una pausa dal caos della città. Ma questa volta non ha portato solo uno zaino con i vestiti, bensì un vero metal detector. Fin dalla porta, il nonno, strizzando gli occhi, osservava il nipote armeggiare con quel congegno misterioso e alla fine non ha resistito:
“Che cosa hai lì, Andriù? Vuoi pescare?”
“Nonno, non è una canna da pesca. È un metal detector, quasi professionale. Ho letto online che qui un tempo fu nascosto dell’oro. Voglio provare a trovarlo.”
Il vecchio sorrise, fissò pensieroso il campo oltre l’orto e disse lentamente:
“Questa storia l’ho sentita da mio padre… E, sai, credo di sapere dove potrebbe essere quell’oro. Ma c’è un problema: al suo posto ora c’è una casa.”
Andrea sobbalzò per l’impazienza:
“E puoi convincerli a farmi entrare?”
Il nonno alzò le spalle e strizzò gli occhi con malizia:
“Potrei. Ma dubito che ti lascino scavare. Anche se trovi qualcosa, per legge tutto andrà a loro. La casa è loro. Ma se vuoi provare, c’è un altro modo…”
Andrea accigliato:
“Cosa vuoi dire con ‘un altro modo’?”
“In quella casa è appena arrivata una ragazza, la figlia dei proprietari. Giovane, intelligente… modesta, non viziata. Ecco il vero tesoro.”
“Nonno, non ricominciare! Non sono venuto qui per le ragazze. Sono venuto per il tesoro.”
“E chi dice che non sia un tesoro?” rise il vecchio. “Ognuno ha il suo. Se fai amicizia con lei e le parli della tua idea, potrebbe convincere i genitori a lasciarti perlustrare il terreno. E se trovi qualcosa, magari ti daranno una parte.”
Andrea esitò, ma negli occhi gli brillava ancora la scintilla della sfida:
“Sei sicuro che l’oro sia lì?”
“Sicuro come il mio nome. Mio padre mi raccontò in segreto che cent’anni fa, durante la rivoluzione, un funzionario nascose l’oro mentre fuggiva. Lo cercarono così tanto che misero sottosopra mezza paese, ma non lo trovarono mai. Poi costruirono la casa… e tutto svanì.”
“E tu lo sapevi da una vita e non hai mai cercato?”
“Come potevo? Con la vanga? Non avevo uno strumento come il tuo. Ma ora sei arrivato tu…”
“Va bene. E come faccio a parlare con questa ragazza?”
“Quello non dipende da me, ma dal destino. Andiamo, fingiamo di passarci per caso. Io comincerò a parlare degli afidi—guarda come hanno rovinato i meli. Tu salta dentro, presentati, conoscila. Su, fai l’uomo!”
Andrea esitò ancora un attimo, ma accettò. Dieci minuti dopo, erano davanti al cancello di quella vecchia casa. Il nonno iniziò una chiacchierata tranquilla con il proprietario, mentre Andrea incrociò lo sguardo della ragazza uscita in cortile. Chiara. Capelli scuri, occhi castani e un sorriso leggero, sincero. Dimenticò perché era lì.
Parlarono. Poi andarono insieme al lago, poi lei lo invitò ad aiutarla a montare la nuova pergola per l’uva. Il metal detector rimase nella scatola. Ogni sera, Andrea tornava dal nonno solo per dormire. Non parlava più d’oro né del congegno. Aveva altro a cui pensare.
Dopo una settimana, era ora di partire. Il nonno, seduto sulla panchina con la pipa, sogghignò:
“Allora, hai trovato il tesoro?”
Andrea guardò il cielo, dove si addensavano i crepuscoli, e sorrise:
“L’ho trovato, nonno. Ma non quello che cercavo.”
“Te l’avevo detto… L’oro vero non è sotto terra. È nelle persone.”
Il metal detector rimase in campagna, nel ripostiglio, sotto un telo. E Chiara rimase nel cuore di Andrea.