La amo più di quanto tu possa immaginare
Arianna non sentì il fruscio delle ruote del carrello sul linoleum del corridoio dell’ospedale né il rapido scalpiccio dei passi. La sua testa oscillava leggermente da un lato all’altro seguendo il movimento. Non vide l’alternarsi delle luci al neon sopra di lei, non udì le grida di Leonardo: «Arianna! Arianna!» Non notò neppure il medico che gli sbarrò la strada.
«Non può entrare. Aspetti qui.»
Leonardo si sedette sulle sedie accostate vicino alla porta della terapia intensiva, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e nascose il volto tra le mani. Di tutto questo, lei non vide nulla. Volava in un vortice di luce e desiderava solo una cosa: che quel volto finisse e arrivasse la pace.
***
Aveva recitato in una breve scenetta comica alla festa universitaria per l’8 marzo. Interpretava una studentessa che, impreparata per l’esame, cercava di cavarsela con astuzia. La platea rideva e applaudiva con entusiasmo. Poi arrivarono i balli, e Leonardo la invitò.
«Sei stata bravissima, proprio come un’attrice vera», disse Leonardo con sincera ammirazione, fissandola inebriato.
«Non dovevo nemmeno essere io sul palco. Claudia all’ultimo momento ha avuto paura ed è scappata. Ero così nervosa che ho dimenticato le battute, ho improvvisato. Tremavo dalla paura.» Gli occhi di Arianna brillavano ancora per l’emozione.
«Non ho notato nulla di tutto questo. Hai recitato con sicurezza. È stato divertente. Hai scelto la professione sbagliata.»
Dopo il ballo, l’accompagnò alla residenza universitaria e, goffamente, le baciò la guancia. Leonardo viveva ancora con i genitori. Cominciarono a frequentarsi e, un mese dopo, affittarono una piccola stanza da un’anziana signora vicino all’università. Leonardo dovette affrontare una dura battaglia con i suoi. Alla fine, cedettero e accettarono di aiutare i due innamorati.
L’anziana vicina sentiva poco, ma loro, per precauzione, alzavano sempre il volume della musica. Arianna ricordava quel periodo come il più felice della sua vita.
«Ti amo», sussurrava Leonardo accaldato, sdraiato accanto a lei con il respiro affannato.
«No, io ti amo di più», rispondeva lei, premendo la guancia contro il suo petto umido.
«Impossibile! Io ancora di più…»
Si divertivano con quel gioco. Poi sognavano: l’anno successivo avrebbero finito l’università, trovato lavoro, comprato una casa più grande e avuto figli – un maschio e una femmina.
«No, prima una femmina e poi un maschio», precisava Arianna.
«E poi un altro maschio», aggiungeva Leonardo, baciandola.
Credevano che nessuno avesse mai amato come loro.
I compagni di corso li invidiavano, i professori sorridevano con indulgenza, rimpiangendo la giovinezza perduta. Quante coppie così avevano visto? Anche loro erano stati così, e ora, invecchiati, cercavano di insegnare i fondamenti della medicina a teste vuote.
Dopo la laurea, Arianna e Leonardo lavorarono per due anni in una clinica dentistica pubblica, poi passarono a una privata diretta da un amico del padre di lui. Altri due anni e l’amico aprì una seconda clinica, affidando a Leonardo la direzione.
Guadagnavano bene. I genitori contribuirono all’acquisto della casa. Come previsto, Arianna ebbe prima una bambina e, tre anni dopo, senza tornare a lavoro, un maschietto.
I nonni spesso portavano i bambini con loro nel weekend, lasciando ad Arianna e Leonardo la possibilità di dormire e stare soli. Una famiglia felice, bella e benestante. Cosa potevano desiderare di più?
Quando il figlio crebbe, Arianna decise di riprendere a lavorare. Era stanca di stare a casa e temeva di dimenticare tutto della professione.
«Perché? Io guadagno abbastanza. Resta a casa, occupati dei bambini», protestò all’improvviso Leonardo. «Facciamo un altro maschietto. Ce la faremo. I nonni adorano i nipoti, sono ancora in forze e ci aiuteranno.»
Ma questa volta Arianna non riusciva a rimanere incinta. Pensava fosse colpa sua e si preoccupava, consultando medici che non trovavano alcun problema.
«Non angosciarti. Se non avessimo avuto figli, ti capirei. Ma ne abbiamo già due. E che figli! Non c’è motivo di agitarsi. Calmati e vivi», la rassicurava Leonardo.
E lei si calmò, ma insistette per tornare a lavorare.
«Non offenderti, ma non posso assumerti nella mia clinica», disse inaspettatamente Leonardo. «Primo, non è bene che marito e moglie lavorino insieme. Secondo, sono sette anni che non eserciti, hai perso competenze. Nessuna clinica ti prenderebbe.»
E così iniziarono i litigi nella famiglia perfetta. Arianna si occupava dei figli e della casa. Ma quando i bambini andavano dai nonni, si sentiva morire di noia e di tempo libero. Una sera bevve un bicchiere di vino per tirarsi su. Si sentì meglio, l’ansia sparì. Si addormentò sul divano, senza aspettare il ritorno di Leonardo. Al risveglio, capì che lui non era tornato. Rispose solo al terzo squillo.
«Non sei venuto a casa stanotte…», cominciò lei.
«Sono tornato, ma eri ubriaca e non ti sei accorta.» Nella sua voce sentì fastidio e, le parve, disgusto.
«Ho bevuto solo un bicchiere. E cosa dovrei fare? Non mi fai lavorare, i bambini sono dai tuoi…»
«Chiamo i miei e te li riportano. Ora devo lavorare», la interruppe Leonardo, chiudendo la chiamata.
Arianna lanciò il telefono contro il muro, guardandolo in frantumi.
Quando era iniziato tutto? Era stato tutto perfetto. Quando la loro vita si era spezzata, come quel telefono? Camminò per casa, spostando oggetti a caso. Aveva voglia di bere, ma non poteva. I nonni avrebbero riportato Sofia e Matteo. Nessuno doveva vederla ubriaca, specialmente loro. Ma il tempo passò, si fece buio, il telefono era rotto. Bevve ancora e si addormentò in salotto.
Lo sentì rientrare e gli andò incontro. La sua figura curata e riposata la colpì. Al confronto, lei sembrava sciatta e disfatta.
«Sei bellissimo. Non sembra che tu abbia lavorato due giorni di fila o dormito su una brandina in clinica. E la camicia è pulita. Non la ricordo», disse Arianna, osservando la sua reazione.
Lui ignorò il commento. Lei, come spinta da una forza esterna, domandò:
«Mi tradisci? Perché non ci ho pensato prima? Ecco perché non mi lasciavi lavorare. Per non farmi vedere, sapere, capire?»
«Non dire sciocchezze. Sei di nuovo ubriaca?»
«Ho bevuto un bicchiere, e già mi dai dell’alcolizzata…» Arianna si infervorava sempre più.
Parola dopo parola, scoppiò la lite. Quando Leonardo confessò che c’era un’altra donna, che non voleva tornare a casa, vederla, Arianna non resistette e lo schiaffeggiò con tutta la forza. Lui alzò la mano per colpirla.
«Forza, picchiami, uccidimi. Hai tutta l’amministrazione tra i pazienti. Verresti assolto. Potresti sposare la tua amante…»
Non capì neppure cosa accadde. Il colpo la fece sbattere contro il muro. La mandibola le doleva ferocemente. Ma ancora peMa mentre Arianna socchiudeva gli occhi nel sole del mattino, capì che l’amore, seppur ferito, poteva ancora rinascere, come un fiore che ritrova la luce dopo la tempesta.