Ti dispiace se indosso il tuo abito da sposa? Ormai non ti serve più!

“Ma non ti dispiace se mi metto il tuo vestito da sposa? Tanto ormai a te non serve più,” ridacchiò l’amica.

“Secondo me è perfetto. La scelta migliore tra tutte quelle che hai provato,” disse Giulia, osservando l’amica con occhio critico.

“La tua amica ha ragione. Il vestito ti sta benissimo. Basta accorciare l’orlo e stringere un po’ la vita,” disse la commessa del negozio di abiti da sposa. “Porto anche il velo?”

“Io volevo senza,” si confuse Dalila.

“Portalo, ma non troppo lungo,” intervenne Giulia, fissando l’amica che si girava davanti allo specchio.

La gonna a campana ondeggiava elegante attorno alle sue gambe. Dalila già immaginava lo sguardo entusiasta di Matteo quando l’avrebbe vista in quel vestito.

La commessa tornò con un velo di tulle, tenendolo con reverenza tra le mani. Con un gesto rapido, lo fissò tra i capelli di Dalila.

“Sembri pronta per il municipio,” sorrise la commessa riflessa nello specchio. “Allora? Lo prendi?”

“Che ne pensi?” Dalila si girò verso Giulia.

“Sei tu che ti sposi, decidi tu,” rispose l’amica, senza riuscire a nascondere una scintilla d’invidia negli occhi.

“Sì, lo prendiamo,” annuì Dalila, sollevando leggermente la gonna per scendere dal predellino, ma la commessa la fermò.

“Aspetti, chiamo la sarta.”

Dalila sospirò teatralmente, ma in realtà era contenta di restare ancora un po’ in quel vestito.

Uscite dal negozio, le due ragazze attraversarono il parco.

Erano amiche fin dalle superiori. Giulia era alta, spigolosa, con un naso lungo e lineamenti marcati. Da sempre invidiava la bellezza di Dalila: quel nasino all’insù, le fossette sulle guance paffute. E soprattutto le invidiava la famiglia normale, senza litigi e bottiglie vuote. Il padre di Giulia era morto due anni prima per del liquore adulterato. Aveva sperato che finalmente sarebbero vissute in pace, ma invece sua madre era diventata nervosa, sempre sull’orlo di una crisi.

Dalila si era laureata in lingue e lavorava come traduttrice per un’azienda importante. Giulia, dopo la triennale in biologia, era finita in un laboratorio ambientale, odiando ogni minuto passato lì. Un altro motivo per invidiare l’amica.

E ora, come se non bastasse, quella “topolino” si sposava. Matteo era un tipo qualsiasi, ma il fatto che Dalila avesse trovato l’amore la faceva ribollire. Lei aveva avuto storie, ma mai seriamente. Eppure sognava un abito bianco e soprattutto di scappare da sua madre. Perché Dalila sì e lei no?

“Non mi stai nemmeno ascoltando,” Dalila la strattonò.

“Eh? Che hai detto?” Giulia era persa nei suoi pensieri.

“Ho detto che al matrimonio ti lancio il bouquet, così anche tu ti sposerai presto. Guarda, quella signora vende gioielli. Ieri l’avevo notata, ma ero di fretta. Andiamo a vedere.” La trascinò verso la panchina.

“A cosa ti servono questi gingilli?” borbottò Giulia, guardando con scetticismo la donna anziana che aveva esposto su un vassoio bigiotteria luccicante ma economica. La gente passava oltre, ignorandola.

“Guarda che anellino,” disse Dalila, esaminando un piccolo anello con una pietra bianca. “Posso provarlo?”

“Provalo pure, ma non te lo vendo,” rispose la donna all’improvviso.

“Perché?” Dalila strinse tra le dita l’anello che le piaceva tanto.

“Presto indosserai la fede. E mischiare metalli porta sfortuna,” disse con tono severo. “Meglio questo…” Cercò qualcosa sul vassoio e le porse un ciondolo lucido, una piastra metallica appesa a una catenina sottile. Rifletteva la luce, scintillando.

“Dalila, ma che ti serve sta robaccia?” fece una smorfia Giulia.

“È originale! Quanto costa?” chiese Dalila, ignorando il commento.

“Quanto vuoi. Prendilo, ti porterà fortuna.”

“Lei è già fortunata,” intervenne Giulia.

“E tu sei invidiosa,” la rimbeccò la donna, fissandola con severità.

Dalila frugò nella borsetta e le diede qualche euro.

“Non ne ho altri, mi dispiace.”

“Non serve. Portalo con gioia,” sorrise la signora.

Appena si allontanarono, Dalila si infilò la catenina al collo.

“Che ne dici?”

“Carino,” rispose Giulia, seccata. Ma in realtà anche a lei piaceva.

Passò una settimana. Durante la pausa pranzo, Dalila tornò in negozio per ritirare l’abito. Lo provò, era perfetto. Mentre si cambiava, la commessa lo mise in una grande scatola insieme al velo.

“È enorme! Come faccio a portarla in ufficio?” si preoccupò Dalila.

“Prendi un taxi o lasciala qui fino a stasera.”

Decise di lasciarla lì e corse al lavoro. Chiamò Matteo più volte, ma lui non rispondeva. Era programmatore e lavorava spesso da casa, ma teneva sempre il telefono acceso per i clienti.

Preoccupata, Dalila uscì prima e andò da lui. Premette il citofono con impazienza. Ma ad aprire non fu Matteo, bensì Giulia, con indosso la sua camicia e quel ciondolo luccicante sul petto.

“Che ci fai qui?” chiese Dalila, sconvolta. “Dov’è Matteo?”

“Stanco, dorme,” sorrise Giulia.

Dalila la spinse via ed entrò di forza. Matteo era sul divano, addormentato, il torso scoperto e le gambe coperte da una coperta.

“Matteo!” lo chiamò a gran voce.

Le sue palpebre ebbero un sussulto, ma non si svegliò.

“ContentDalila lo fissò un attimo, poi voltò le spalle e uscì senza dire una parola, lasciandosi alle spalle la casa, l’amica e quello che credeva fosse l’amore della sua vita.

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