**Ti stai separando? Io resto con papà**
Paola sentiva da tempo che il suo rapporto con Massimo si stava incrinando. L’amore era svanito, sostituito dall’abitudine, le conversazioni si erano ridotte al minimo e le incomprensioni si accumulavano. C’era una tensione palpabile nell’aria, come prima di un temporale.
Aveva deciso di aspettare, illudendosi che le cose potessero migliorare. Ma sapeva che scavando avrebbe trovato qualcosa di troppo doloroso da ignorare. E poi? C’era la figlia da considerare.
Paola cucinava, teneva la casa in ordine, controllava che la figlia non tornasse troppo tardi e facesse i compiti. Ultimamente la ragazzina aveva i suoi segreti, segno che stava crescendo. E Massimo? Lui portava a casa lo stipendio. Punto.
Negli ultimi tempi non staccava gli occhi dal telefono, fissandolo come un adolescente.
Poi, all’improvviso, Paola si ammalò. La febbre alta, il mal di testa lancinante, tutto il corpo dolorante. Chiese a Massimo di preparare la cena, visto che la figlia era di nuovo fuori con le amiche.
«Dai, ci arrangiamo con tè e panini», rispose lui.
Paola era troppo stanca per discutere. Passò due giorni in uno stato di torpore. Quando si riprese, trovò la cucina sommersa dai piatti sporchi, la spazzatura straripante di scatole di pizza, la lavatrice piena di camicie di Massimo e il frigo vuoto. Si mise a pulire e cucinare fino a crollare esausta.
Dopo cena, un’altra montagna di piatti sporchi. La pazienza di Paola cedette.
«Basta! Non sono la tua domestica. Lavoro come te, e poi devo occuparmi di tutto. Non potresti almeno lavare un piatto?»
«Tanto li lavi tu comunque», rispose Massimo, impassibile.
«Domani butta la spazzatura prima di uscire. Metterò il sacco vicino alla porta.»
«Va bene», disse lui, senza alzare lo sguardo dal telefono.
«Non “va bene”, ma ricordati! Prima mi aiutavi, passavi anche l’aspirapolvere. Non ti chiedo la luna, solo di buttare l’immondizia! Mi stai ascoltando? Stacco quel telefono?»
«Eh? Io faccio già tutto.»
«Cosa tutto?»
«Ma perché ti agiti? Sei una donna, è il tuo ruolo. Io porto i soldi a casa. Che altro vuoi? Ci sono due donne qui, e dovrei lavare anche i piatti?»
«Chiami tua figlia “donna”?»
«A proposito, dov’è? La lasci uscire come vuole, colpa tua. Sei partita per un piatto sporco…»
«Non è il piatto, è il tuo disinteresse!»
«Basta! Non ne posso più.» Massimo sbatté la porta del bagno.
Sul tavolo, il telefono dimenticato si illuminò. Paola intravvide il nome del messaggio: Giorgia.
Ecco la vera crepa che aveva intuito ma ignorato. Massimo rientrò e afferrò il telefono.
«Giorgia… è una collega?» chiese Paola, fingendo indifferenza.
Massimo si bloccò, poi le si rivolse brusco.
«Hai guardato il mio telefono?»
«È bloccato. Hai qualcosa da nascondere?» pensò: «Mentimi, almeno prova a mentire…»
«E se fosse così?» La sfidò con lo sguardo. «Sì, c’è un’altra. Parliamone civilmente.»
«Civilmente come?» Le lacrime le rigarono il viso.
«Eccoci. Se vuoi fare la vittima, fai pure. Restiamo così.»
Il suo mondo crollò. La tempesta era arrivata.
«Allora? Prendi le tue cose e vai.»
«Come? Dove?»
«L’appartamento è mio, dono dei miei genitori. Non ho intenzione di venderlo.»
«E io e Giulia dove andiamo? Scherzi?»
«No. Torna dai tuoi.»
«Io non vado da nessuna parte!» La voce di Giulia risuonò alle spalle di Massimo.
«Eri lì ad origliare?» chiese lui.
«Gridavate, vi sentiva tutto il palazzo. Vi separate? Io resto con papà.»
Massimo la indicò. «Chi è il cattivo qui?» Uscì, probabilmente per scrivere all’amante che la casa sarebbe stata libera.
«Non puoi restare con lui, Giulia. Lui ha…» Paola esitò. «Non sarà solo.»
«E allora? Ho la mia stanza. Dalla nonna non ci vado, è in mezzo al nulla. Qui ci sono la scuola, le amiche. E ho i compiti.» Giulia sparì in camera sua.
Paola sentì il panico. Cosa fare? Una famiglia distrutta, e ora la cacciavano di casa. Come un tornado che l’aveva scaraventata via.
Più tardi, in camera, trovò un cuscino e una coperta sul divano. Massimo era già a letto, chissà con chi chattava.
«Che significa?»
«Non capisci?»
Passò la notte insonne, a cercare una soluzione. Non poteva umiliarsi, né perdonare. La battaglia per la casa era persa. Ma forse c’era ancora speranza per Giulia.
La mattina dopo uscì mentre dormivano. Arrivò al lavoro che l’ufficio era ancora chiuso.
«Non ho più nulla. Né famiglia, né casa. Sono senza niente», disse a una collega, nascondendo il viso tra le mani.
«È così grave?»
«Più di così. Devo trovare un posto.»
«Ho un appartamentino. Piccolo e trasandato, di mio padre. Se vuoi, puoi starci, basta che paghi le bollette.»
Paola accettò subito.
La casa era minuscola, con mobili antiquati. «Puoi buttare quello che vuoi», disse la collega.
Passò la notte a pulire. Tolse le tende ingiallite, starnutendo per la polvere. Meglio che Giulia restasse col padre, qui non le sarebbe piaciuto.
Nessuno la cercò. Ottenne un permesso per recuperare le sue cose mentre Massimo lavorava. La collega e il marito l’aiutarono a traslocare. Quella sera, Paola bevve vino, piangendo la sua vita distrutta.
Chiamava Giulia ogni giorno. Lei rispondeva frettolosamente: tutto bene, Alina (così si chiamava l’amante) si era trasferita, le aveva regalato vestiti e rossetti…
Tutti felici, tranne Paola.
Si presentò a scuola per vederla. Giulia, truccata pesantemente, le chiese di non tornare.
Per non pensare, trovò un secondo lavoro in un negozio di ferramenta. Tornava a mezzanotte, stremata. Ma risparmiava ogni euro. Un anno dopo, comprò un monolocale con un mutuo. Se Giulia avesse cambiato idea, avrebbero potuto viverci insieme.
Traslocò subito. Dormiva su un materasso scontato. Poi comprò un armadio e un divano. Un collega, Vincenzo, le offrì aiuto per montarli. A pranzo, le confessò: anche lui divorziato, la moglie l’aveva lasciato per uno più ricco.
Si confortarono a vicenda. Il divano rimase a metà, finito il giorno dopo. Senza chiederle nulla, Vincenzo la invitò al cinema.
«Mi compatisci?» chiese Paola.
«Perché? Sei giovane, bella, con una casa. Devi solo voltare pagina. Credo che Massimo abbia tenuto Giulia apposta. È più facile cacciare una moglie che una figlia. Ma crescerà, capirà. Nessuna matrigna può sost”E quando, anni dopo, Giulia bussò di nuovo alla sua porta, con gli occhi pieni di lacrime e una valigia in mano, Paola la strinse tra le braccia, perché nessun dolore al mondo poteva spegnere l’amore di una madre.”