**3 Agosto 2024**
Fin dal primo giorno all’università, due ragazze si notarono a vicenda. Entrambe carine, simili in qualche modo. Da allora, furono sempre viste insieme.
Livia pensava di meritare di meglio che passare la vita in un paesino di provincia, come i suoi genitori. La madre faceva la commessa, il padre era muratore e, ovviamente, beveva. Dopo il diploma, annunciò che partiva per Milano per studiare.
I genitori sospirarono, ma non la ostacolarono. Pensarono che forse a lei sarebbe andata meglio che alla sorella maggiore, sposata male e ora sola con due figli. Non potevano mandarle molti soldi, ma le avrebbero fatto arrivare verdura dall’orto e conserve quando possibile. Una vicina faceva la controllrice sui treni proprio per Milano.
Arrivata in città, Livia decise che avrebbe fatto di tutto per non tornare indietro. Si legò a Chiara perché era milanese doc: il padre medico, la madre economista. Una famiglia perbene, colta.
Chiara si affezionò a Livia, che ne approfittò. “Gli stivali sono rovinati, non ho soldi per nuovi” – e Chiara le prestava un paio dei suoi. “Non ho niente da mettere per la serata?” – e Chiara le regalava un vestito nuovo, tanto avevano la stessa taglia. Livia dormiva spesso da lei, soprattutto durante le sessioni d’esame. In studentato non si studiava bene.
Livia odiava studiare, ma si applicava, anche se avrebbe preferito divertirsi in discoteca. Pazienza, una volta laureata, sarebbe rimasta a Milano e poi si sarebbe goduta la vita.
A Chiara, invece, tutto veniva facile. Livia ne era invidiosa, anche se non lo mostrava. Come spesso accade, si innamorarono dello stesso ragazzo, bello e sportivo. Marco veniva da una cittadina di militari, dove suo padre prestava servizio. Presto formarono un trio inseparabile.
“Marco, ma con loro come fai, a turno o insieme? Cedimene una,” scherzavano gli amici.
Persino i professori ridevano e chiedevano chi amasse davvero. Marco ignorava le battute. Gli piaceva Chiara, tranquilla e dolce, ma temeva che sembrasse interessato solo alla sua residenza milanese.
A lezione, sfiorava il suo ginocchio, si chinava come per sussurrarle qualcosa. Quello che nessuno notava, Livia lo leggeva nei volti tesi in quei momenti. E la rabbia per l’ingiustizia la travolgeva. Non bastava che Chiara fosse nata a Milano, in una buona famiglia? Doveva pure conquistare il ragazzo migliore?
Marco, stufo di nascondersi, confessò il suo amore a Chiara. A Livia fece capire che era di troppo. Il trio si sciolse. Ma Livia non voleva perdere Chiara, né cederle Marco.
Pensò a come ripristinare la giustizia, sabotare la loro relazione. Non direttamente: doveva farli litigare. La sessione stava per finire, e se si fossero sposati?
«Magari si rompesse una gamba. No, Marco la porterebbe in braccio. Meglio se le uscisse l’acne…»
Il destino protesse Chiara. Non si ruppe niente, e furono le guance di Livia a riempirsi di brufoli.
Poco prima degli esami, la madre di Marco si ammalò gravemente. Lui rimandò la sessione e partì. Era una rara estate calda a Milano. Dopo il primo esame, le amiche passeggiavano. Livia si fermò davanti a una vetrina di abiti da sposa.
“Quale sceglieresti per il tuo matrimonio?” chiese a Chiara.
“Non ci ho mai pensato.”
“Ma dai, tutte le ragazze sognano il vestito bianco. Io vorrei questo,” indicò un modello vaporoso. “Che ne dici? Entriamo a provarlo? Tanto è gratis.”
“Fa troppo caldo. Prendiamo un gelato,” la trascinò via Chiara.
“Dai, facciamo finta che io sia la sposa e tu la damigella,” insistette Livia.
“Provare il vestito senza essere fidanzate porta sfortuna,” avvertì Chiara.
“Sono superstizioni da vecchie. Tutte lo fanno! Solo uno, per favore.”
“Va bene,” cedette Chiara.
In negozio, una commessa annoiata le accolse. Livia recitò la parte della sposa esigente. Provò un vestito, e Chiara ammise che le stava benissimo.
“Ne abbiamo uno perfetto per te, slim,” disse la commessa a Chiara. “Scontato.”
“Ma non sono io che mi sposo!”
“Be’, provalo comunque.”
Chiara entrò nel camerino. Quando uscì, a Livia mancò il fiato. Il vestito le calzava a pennello, semplice ed elegante.
“Manca il velo,” commentò Livia, irritata.
“Meglio un diadema,” suggerì la commessa.
“Portacelo,” disse Livia, nascondendo l’invidia.
Tutto a Chiara stava bene. Il suo vestito, al confronto, sembrava pacchiano. La commessa fissò una decorazione tra i capelli di Chiara.
“Posso fotografarvi? Sei bellissima,” chiese.
“Anch’io,” estrasse il telefono Livia. “Sorridi. GiralL’ultima cosa che Livia sentì prima di scoppiare in lacrime fu Marco che sussurrava a Chiara: “Per tutta la vita ho aspettato questo momento, e alla fine ti ho scelta.”