Ti supplico, figliola, abbi pietà di me, sono tre giorni che non mangio neanche un pezzetto di pane e non ho più un soldo” — implorava la vecchietta alla commessa.

**Diario Personale**

“Ti prego, piccola, abbi pietà di me, sono tre giorni che non mangio neanche un pezzetto di pane, e non ho più un soldo.” La voce tremolante della vecchia donna risuonava nel freddo pungente di gennaio, mentre il vento tagliente attraversava le strade antiche di Firenze, come se volesse ricordare i tempi in cui qui vivevano persone con cuori caldi e sguardi sinceri.

Tra i muri grigi e le insegne scrostate, lei era lì, il viso segnato da rughe profonde, ognuna una storia di fatica e speranze perdute. Stringeva una borsa logora piena di bottiglie vuote, ultimi frammenti di una vita passata. Le lacrime le scendevano lente sulle guance, senza fretta di asciugarsi nell’aria gelida.

“Ti supplico, figlia mia” sussurrò con voce sottile come una foglia al vento. “Tre giorni senza pane. Non ho un euro neanche un centesimo per comprare un tozzo.”

Le sue parole rimasero sospese, ma dietro il vetro della panetteria, la commessa scrollò la testa con indifferenza. Lo sguardo era freddo, scolpito nel ghiaccio.

“E allora?” rispose irritata. “Qui si vende pane, non si raccolgono bottiglie. Non sai leggere? Sul cartello cè scritto chiaro: le bottiglie si portano al centro di raccolta, lì ti danno i soldi per il pane, per mangiare, per vivere. Cosa vuoi che faccia io?”

La vecchia si confuse. Non sapeva che il centro chiudeva a mezzogiorno. Era arrivata tardi. Troppo tardi per quellunica possibilità che avrebbe potuto salvarla dalla fame. Una volta, non avrebbe mai immaginato di raccogliere bottiglie. Era stata maestra, una donna colta, con dignità e orgoglio che nemmeno i giorni più duri le avevano portato via. Ma ora ora era lì, davanti a un banco, come una mendicante, con lamaro sapore della vergogna nellanima.

“Be” disse la commessa, ammorbidendo appena il tono, “dovresti dormire meno. Domani, se porti le bottiglie presto, vieni, e ti darò da mangiare.”

“Piccola” implorò la donna, “dammi anche solo un quarto di filone Te lo pagherò domani. Mi sento svenire Non ce la faccio più.”

Ma negli occhi della commessa non cera pietà.

“No,” tagliò corto. “Non faccio carità. Io stessa arrivo a malapena a fine mese. Ogni giorno viene gente a chiedere, e non posso sfamare tutti. Non perdermi tempo, cè la fila.”

Accanto a loro, un uomo con un cappotto scuro era assorto nei suoi pensieri. Sembrava lontano, come se vivesse in un altro mondo: quello delle preoccupazioni, delle decisioni, del futuro. La commessa cambiò espressione allistante, come se davanti a lei fosse apparso non un cliente qualunque, ma un ospite importante.

“Buongiorno, Paolo Antonelli!” esclamò cordiale. “Oggi è arrivato il suo pane preferito, con noci e frutta secca. E i biscottifreschi, con albicocche. Quelli alla ciliegia sono di ieri, ma sono ancora buoni.”

“Buongiorno,” rispose lui distratto. “Mi dia il pane con noci e sei biscotti alla ciliegia.”

“Con albicocche?” chiese lei sorridendo.

“Non importa,” mormorò. “Con albicocche, se preferisce.”

Tirò fuori un portafoglio spesso, prese una banconota e gliela porse in silenzio. In quel momento, il suo sguardo cadde per caso sulla vecchia, nellombra del bancone. Quel volto gli sembrava familiare. Molto familiare. Ma la memoria si rifiutava di restituirgli i ricordi. Solo un dettaglio brillò nella sua mente: una spilla antica a forma di fiore, appuntata sul suo cappotto logoro. Cera qualcosa in quel gioiello qualcosa di vicino.

Salì in macchina, posò la borsa con il pane sul sedile e ripartì. Il suo ufficio era vicino, in un edificio moderno ma sobrio. Non amava gli eccessi. Paolo Sartori, proprietario di unazienda di elettrodomestici, aveva iniziato dal nulla, negli anni 90, quando lItalia era in crisi e ogni lira si guadagnava col sudore. Con volontà e lavoro, aveva costruito un impero senza aiuti.

La sua casauna villetta in periferiaera piena di vita. Lì cerano sua moglie Giulia, i figli Matteo e Luca, e presto sarebbe nata la tanto attesa bambina. Fu proprio la chiamata di Giulia a riportarlo alla realtà.

“Paolo,” disse lei con voce preoccupata, “hanno chiamato dalla scuola. Matteo ha litigato di nuovo.”

“Amore, non so se posso” sospirò. “Ho una trattativa importante. Senza quel contratto, perdiamo milioni.”

“Ma non posso andarci da sola,” sussurrò. “Sono stanca, sono incinta. Non voglio affrontarli da sola.”

“Non andare,” disse subito. “Troverò un momento. E Matteo se non cambia, lo farà davvero.”

“Non sei mai a casa,” mormorò lei. “Sei via prima che i bambini si sveglino, torni quando dormono. Mi preoccupo. Non riposi mai.”

“È il lavoro,” rispose, con un pizzico di colpa. “Ma lo faccio per voi. Per te, per i bambini, per la nostra piccola che sta per arrivare.”

“Scusami,” sussurrò. “Ho solo bisogno di te.”

Paolo passò tutta la giornata in ufficio, poi anche la sera. Quando tornò, i bambini dormivano e Giulia lo aspettava in salotto. Si scusò per le sue parole, ma lui scosse la testa.

“Hai ragione,” disse piano. “Lavoro troppo.”

Le propose di scaldare la cena, ma lui rifiutò.

“Ho già mangiato. Ho portato i biscotti allalbicocca, proprio da quel posto. Sono squisiti. E anche il pane con le noci”

“A noi non è piaciuto,” commentò Giulia. “I bambini non lhanno nemmeno finito.”

Paolo rimase pensieroso. Nella sua mente riaffiorò limmagine della vecchia. Cera qualcosa in lei qualcosa che lo toccava profondamente. Non solo il volto, ma il portamento, lo sguardo, la spilla E allimprovviso, come un lampo, ricordò.

“Possibile che sia lei?” sussurrò. “Teresa Marini?”

Il cuore gli si strinse. Ricordò tutto. La scuola, laula, i suoi occhi severi ma gentili. Ricordò come gli insegnava matematica, con pazienza. Ricordò quando lui, bambino di una famiglia umile, viveva con la nonna in un appartamento dove a volte mancava il pane. E lei lei lo aveva notato. Gli aveva trovato un “lavoro”: aiutare in casa, piantare fiori, riparare la staccionata. E poi, senza fallo, arrivava il cibo. E il pane il suo pane, croccante, profumato di ricordi.

“Devo trovarla,” decise.

Il giorno dopo, contattò un vecchio compagno che lavorava in polizia. In unora ebbe lindirizzo.

Ma solo la domenica, quando gli affari si calmarono, Paolo riuscì ad andare da lei. Comprò un mazzo di tulipani, garofani e un rametto di mimosa, e si diresse verso il quartiere vecchio, ormai pieno di palazzi anonimi.

Lei aprì la porta. Il volto era scavato, gli occhi spenti, ma la post

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