“Tornerò presto…”
All’uscita della metropolitana si era formato un ingorgo. Fuori cadeva una pioggia insistente. Chi aveva l’ombrello indugiava sulla soglia, frugando nelle borse per tirarlo fuori. Gli altri, senza protezione, esitavano a uscire al riparo. Ma la folla dietro di loro li spingeva in avanti, costringendoli a uscire sotto l’acqua.
“Prendi l’ombrello,” disse Enzo, già bagnato, mentre si voltava a guardare con malinconia le porte della metropolitana.
“Non ce l’ho,” rispose disorientata Ginevra, incapace di resistere alla spinta.
“Ti avevo avvertito stamattina che avrebbe piovuto,” ribatté lui, irritato.
“Ero in ritardo, mi sono distratta… Potevi prenderlo tu. E poi, il tuo ombrello è più grande, ci stavamo entrambi!” replicò lei.
“Va bene, non siamo di zucchero, non ci sciogliamo,” concluse Enzo, allontanandosi deciso mentre Ginevra faticava a stargli dietro.
“Appunto, è grande. Ieri l’ho portato in giro tutto il giorno e non è piovuto. Il tuo è pieghevole, perché l’hai tirato fuori dalla borsa?” borbottò lungo la strada.
“L’avevo appena steso ad asciugare…”
Camminavano litigando, cercando di sovrastare il rumore della pioggia.
“Trovi sempre scuse per te, ma per me solo colpe,” sbottò Ginevra, stanca dei rimproveri.
“Non ti sto dando la colpa, ho solo detto…”
“L’hai detto in modo che mi sentissi in colpa. Potevi farlo senza rimproveri? O tacere, almeno. Sono stanca delle tue critiche. Sai trasformare ogni stupidaggine in un dramma,” rispose offesa.
“Chiami la pioggia una stupidaggine?” chiese lui, senza voltarsi.
“Oh, non ricominciare. Basta!” lo interruppe lei, il respiro affannoso per la camminata veloce.
Enzo continuò a brontolare, ma lei non rispose più, e presto anche lui tacque. Ginevra sapeva di aver torto, e poi quella pioggia… I vestiti erano già zuppi, i capelli grondavano.
Quando era iniziato tutto questo? Le piccole liti, le incomprensioni. O era sempre stato così? Forse. Prima cercava di cedere, spegnere le scintille prima che divampassero.
Un uomo veniva loro incontro. Anche lui senza ombrello, ma camminava come se godesse della pioggia, le mani in tasca, senza fretta. Il cuore di Ginevra accelerò, superando occhi e ragione. Lorenzo!
Non riusciva a staccare gli occhi dal suo volto. Anche lui la fissava, ma passandole accanto, distolse lo sguardo. Cosa voleva dire? Era lui, ne era certa. Ma era passato oltre senza salutare. Forse si era sbagliata? Ginevra inspirò a scatti. Si rese conto di aver trattenuto il fiato tutto quel tempo. Le lacrime le bruciarono gli occhi, ma il viso era già bagnato dalla pioggia.
“Lo conosci? Perché ti fissava?” Enzo si chinò per guardarla meglio.
“No. Si sarà sbagliato,” mentì dopo una pausa.
“Ma perché ha fatto finta di non riconoscermi?” La domanda le lacerava l’anima.
“Menti. Vi siete guardati in un modo… Sembravi aver visto un fantasma.”
“È proprio così,” pensò Ginevra, ma disse:
“Somiglia a un mio compagno di università. Mi sono confusa. Hai visto, non mi ha neanche salutato.” Cercava di apparire calma, ma dentro ribolliva. “Sei geloso?” Tentò di ridere.
“Sei turbata,” insisté lui.
“Smettila di interrogarmi. Non. Lo. Conosco!” esplose.
“Ha ragione, ho visto un fantasma. Ho provato a dimenticarlo! Ma se ha fatto finta di non conoscermi, farò lo stesso. Mi ha tradito…”
“Confessa che c’è stato qualcosa tra voi, visto come reagisci,” disse Enzo, fingendo indifferenza.
“Che vuoi da me? Basta!” supplicò.
Finalmente arrivarono a casa.
“Io prima sotto la doccia,” annunciò Ginevra, scomparendo in bagno.
Enzo borbottò qualcosa, ma lei aprì l’acqua per non sentirlo. “Che aspetto! E lui mi ha vista così. Non stupisce che sia passato oltre. Tutta colpa di questa pioggia…” Si osservò allo specchio, poi si liberò dei vestiti bagnati e li gettò nella lavatrice.
La figura era ancora slanciata, il seno piccolo ma fermo, il viso senza rughe. Si rallegrò delle ciglia folte e scure che la natura le aveva donato. “Non mi serve trucco. Sembro ancora bene.” Poi il pensiero tornò a lui. “È cambiato, più maturo, i lineamenti più duri…”
Entrò nella doccia, lasciando che l’acqua calda la scaldasse, sciogliendo la tensione. Ma i ricordi tornavano implacabili…
***
Ginevra si avvicinò alla linea degli annunci. Davanti alla bacheca, una folla di aspiranti studenti la bloccava.
“Fatemi passare!” esasperata, cominciò a farsi strada a gomitate.
“Prego,” un ragazzo le cedette il posto.
Trovò il suo nome, ma la spinta della folla la costrinse a ricontrollare più volte. Non c’era errore: era stata ammessa.
“Congratulazioni,” una voce vicino a lei. Lorenzo la guardava.
“Grazie. Sei stato ammesso anche tu?” chiese felice.
“Sì. Studieremo insieme.”
“Fantastico,” sorrise.
Si ritrovarono a settembre come vecchi amici. Frequentavano corsi diversi, ma si incrociavano a lezione e in mensa. Lorenzo la guardava, sorrideva, ma non faceva mai il primo passo. “Ciao. Come va? Ci vediamo.” E basta.
Alla fine del primo anno, durante la sessione estiva, Ginevra uscì dall’università incerta. Una nube minacciosa copriva il cielo. “Aspettare? O posso arrivare a casa prima che scoppi?”
“Ehi!” Lorenzo uscì dietro di lei.
“Hai l’ombrello?” chiese.
“No. Ma facciamo in fretta.”
Dopo pochi metri, però, le prime gocce pesanti caddero.
“Corri! È casa mia.” Le prese la mano e si misero a correre, mentre la pioggia si infittiva.
Quando raggiunsero il portone, erano fradici.
“C’è qualcuno a casa tua?” chiese ansimando, salendo le scale.
“Mia madre,” rispose, ma vedendo la sua espressione, rise. “Sto scherzando. È al lavoro. Entra, ti do qualcosa di asciutto.”
Le passò una maglietta e un asciugamano. Quando uscì dal bagno, lui aveva già preparato tè caldo e panini.
“Ti sta bene,” commentò vedendola nella sua maglia oversize.
Chiacchierarono per ore. Lorenzo le raccontò di suo padre, morto tre anni prima, e di come viveva con la madre.
“Avete molti libri. Leggi?”
“Leggiamo tutti. Mio padre li collezionava.”
Poi si baciarono, fino a perdere il respiro.
“Mi piaci tanto,” sussurrò lui. “I tuoi capelli profumano di pioggia…”
“Devo andare, prima che torni tua madre…”
“Gli abiti sono ancora bagnati…”
Ma lei si infilò i jeans umidi e uscì, anche se non voleva. Lo desiderava, ma aveva paura di dove quei baci potessero portare.
L’est