***Diario***
La fine di settembre era tiepida e secca. Presto sarebbe arrivato il freddo, seguito da piogge gelide. Il tempo autunnale è sempre imprevedibile. «Devo assolutamente andare alla casa di campagna, altrimenti con la pioggia la strada diventerà impraticabile e si potrà arrivare solo con il gelo», sospirò Vera e compose per l’ennesima volta il numero del marito.
«Signora Veruccia, posso uscire un’ora prima? Mia mamma mi ha chiesto di accompagnarla alla casa in campagna.» La contabile Luisa sollevò le sopracciglia a punta e guardò la capa con occhi imploranti.
«Anche io vorrei andarmene. Va bene, ma lunedì devi essere puntuale. E niente certificati medici, capito? Altrimenti non te lo concederò più», disse Vera con finto rigore.
«Grazie mille, signora Vera. Sarò puntuale, prometto.» Le sopracciglia di Luisa si distesero all’istante, gli occhi le brillarono, afferrò la giacca dall’armadio e scomparve dall’ufficio.
«Bella furba, si è già chiusa il computer e ha preso la borsa. Sapeva che l’avrei lasciata andare. Ma dov’è Giovanni?» Vera ripeté la chiamata, ma ancora una volta una voce monotona rispose che «il telefono è spento o fuori copertura». «Niente, domani non si sfilerà. Verrà con me in campagna. Fra poco è il compleanno di mamma, dobbiamo portare patate e conserve…»
Lasciò il telefono, scosse il mouse per svegliare il computer e si immerse nei numeri sullo schermo.
Quando il telefono squillò, rispose subito, senza nemmeno guardare il display.
«Gianni, perché hai spento il telefono? Ti ho cercato tutto il giorno…»
«Mi scusi, sono l’ispettore… Romano», la interruppe una voce maschile sconosciuta.
Fu così improvviso, e quel cognome la confuse al punto che pensò di aver capito male.
«Gianni, dove sei?» chiese, sospettosa.
«Lei è la moglie di Giovanni Battista Rinaldi? Come posso chiamarla?»
«Vera…» Si strozzò e tossicchiò. «Mi chiami pure Vera. Dov’è Giovanni?» Il cuore già batteva forte, presagendo qualcosa di brutto.
«Potrebbe venire all’Ospedale Civico? La aspetto al pronto soccorso.»
«Perché all’ospedale? Cosa è successo a Giovanni?» gridò nel telefono.
«La aspetto», disse l’uomo, e la chiamata si interruppe.
Vera riprovò il numero, ma era occupato. Le mani le tremavano mentre cercava di chiudere il file, sbagliando più volte. Alla fine spense il computer, afferrò la borsa, strappò il cappotto dall’attaccapanni e corse fuori.
Nella mente le si affollavano immagini sempre più tremende: un incidente, una coma, o peggio… «No, è vivo, altrimenti mi avrebbero chiamato all’obitorio. Certo che è vivo», si ripeteva.
Non riusciva a ricordare quale autobus prendere, così si fermò sul marciapiede e alzò la mano. Un privato si fermò, e dieci minuti dopo correva nel cortile dell’ospedale, il cuore in gola.
«Sono la moglie di Giovanni Rinaldi!» gridò, entrando ansimante nel pronto soccorso.
Da dietro il bancone si alzò un uomo alto, sui quarant’anni, e si avvicinò. Si presentò di nuovo, ma Vera non lo ascoltava. Perché tergiversava? A lei interessava solo vedere il marito, assicurarsi che fosse vivo.
«Venga», disse finalmente, indicando l’uscita.
Vera uscì, confusa. Non si passava dal pronto soccorso per ogni reparto? L’uomo però costeggiò l’edificio, dirigendosi verso un basso fabbricato di mattoni. Si fermò davanti alla porta e la guardò.
«Perdonatemi per non avervelo detto subito. Le reazioni sono imprevedibili…»
Vera allora lesse l’insegna blu accanto all’ingresso: **«Obitorio di Medicina Legale»**. Barcollò, ma una mano forte la sostenne per il gomito.
«È morto?» chiese con voce rotta. «Lo chiamavo tutto il giorno, volevo andare in campagna, e il telefono era spento…»
«Sì, dal suo telefono l’abbiamo trovata. Si sieda.» Romano la guidò a una panchina di legno, dove crollò. Le gambe non la reggevano.
«Lo chiamavo, e intanto era già…»
«Vede, suo marito oggi non era al lavoro», disse gentilmente l’ispettore.
«Impossibile. C’era un controllo, me l’ha detto lui stesso.» Vera non stava facendo domande, rifletteva ad alta voce.
«Il vostro vicino di casa ha notato l’auto nel vostro terreno stamattina. Si è stupito del viaggio infrasettimanale. A pranzo è venuto a bussare, ma nessuno ha aperto. Non ha risposto neanche al citofono. Non aveva il suo numero. Ha aspettato un po’, poi ha chiamato i carabinieri. Sapete com’è, a volte i senzatetto si intrufolano nelle case…»
«L’hanno ucciso?» Vera non capiva più nulla.
«No, nessun segno di violenza. Secondo l’autopsia preliminare, è morto per intossicazione da monossido di carbonio.»
«Aspetti… Zio Enzo credeva che fossimo andati in campagna insieme. Allora ha visto una donna con mio marito?» Guardò l’ispettore, smarrita.
«Sì. Era con lui. Isabella Conti. Le dice nulla?»
Vera chiuse gli occhi e scosse la testa.
«Non è possibile.»
Era peggio di quanto credesse. Ventuno anni insieme. A novembre sarebbe stato il loro anniversario. Mentre le amiche piangevano tradimenti, a lei invidiavano Giovanni, marito e padre esemplare. Anche lei ci aveva creduto. Che vergogna. Si coprì il viso, dondolando avanti e indietro.
«Non c’è nulla di cui vergognarsi. Cercheremo di evitare pettegolezzi. Ma qualcuno al suo lavoro… forse sapeva con chi e dove andava.»
Vera scoprì il viso e lo fissò, stupita.
«Scusate, parlavo tra me e me. Dobbiamo accertare che sia davvero vostro marito. Ogni conferma è necessaria. Diteci quando siete pronta.»
Le sue parole le diedero una flebile speranza. «Forse non è Giovanni? Magari qualcuno gli ha rubato l’auto, o l’ha prestata per un appuntamento…»
«Sono pronta.» Si alzò, respingendo a fondo come prima di un tuffo.
Ma quando entrarono nella stanza, sotto i lenzuoli bianchi si intravedevano sagome umane, e le forze la abbandonarono. Non voleva vederlo, non poteva…
«È lui?» le chiese Romano, e Vera abbassò lo sguardo…
Sedettero ancora sulla panchina. Vera non sapeva se avesse davvero visto il volto grigio di Giovanni o se fosse stato solo un incubo. Romano le avvicinò un batuffolo d’ammoniaca, e lei si ritrasse.
«Vi siete ripresa? Potete camminare? Vi accompagno a casa.»
La aiutò ad alzarsi. Tremava tutta, le gambe molli. Si lasciò mettere in macchina. Catturò frammenti di discorso:
«Dobbiamo completare le verifiche… Vi diremo quando potrete riavere il corpo…»
«Non è più mio marito, è un corpo», sussurrò, appoggiando la testa al finestrino.
A casa,Era la prima volta, dopo mesi di buio, che sentiva il calore di una nuova possibilità, e mentre i fiocchi di neve cadevano silenziosi, capì che la vita, nonostante tutto, poteva ancora riservarle sorprese.