«L’Inganno della Sorella»
“Giovanna, ma che stai facendo?” La voce di Sofia tremava d’indignazione. “Come hai potuto farmi questo? Sono tua sorella!”
“E tu cosa volevi?” ribatté Giovanna, senza alzare gli occhi dai documenti sparsi sul tavolo della cucina. “Aspettare che il casale andasse in rovina per colpa tua?”
“In rovina?” Sofia si aggrappò allo schienale della sedia. “Ho tenuto tutto in ordine per trent’anni, dopo che mamma e papà ci hanno lasciato! E tu dov’eri tutto questo tempo?”
“Dov’ero, dov’ero,” la imitò sprezzante Giovanna, alzando finalmente lo sguardo freddo. “Lavoravo, sai? Guadagnavo. Non vivevo sulle spalle dei genitori fino a quarant’anni.”
Sofia sentì il terreno mancarle sotto i piedi. Si sedette lentamente e fissò i documenti.
“È davvero il testamento?” sussurrò.
“Sì,” rispose secca Giovanna. “Mamma ha lasciato il casale a me. Tutto. E tu puoi cercarti un’altra casa.”
“Ma come… Quando ha fatto tutto questo? Era malata, negli ultimi mesi non ragionava neanche bene…”
“Proprio per questo sono tornata. Qualcuno doveva occuparsi delle sue cose, mentre tu correvi tra farmacie e ospedali.”
Sofia la fissò, quasi non la riconosceva. Giovanna era sempre stata pratica, decisa, ma nessuno si aspettava tanta crudeltà. Soprattutto ora, a nemmeno un mese dal funerale.
“Gio, parliamone da persone civili,” cambiò tono Sofia. “Capisco che hai diritto alla tua parte. Ma cacciarmi…”
“Nessuno ti caccia. Puoi affittare una stanza. A un prezzo ragionevole, ovvio.”
“Affittare una stanza nel casale dei miei genitori?” Sofia scoppiò a ridere amara. “Sei seria?”
“Ovvio. La proprietà è proprietà.”
Sofia si alzò e passeggiò per la cucina. Ogni angolo era un ricordo. La pianta di basilico che la mamma curava da anni. Le conserve di pomodoro fatte insieme ogni estate.
“Ricordi che mamma diceva che questo casale doveva restare in famiglia?” chiese piano. “Per i nipoti?”
“Tu non hai figli,” tagliò corto Giovanna. “Io ho Matteo e Aurora. A loro toccherà.”
Sofia si voltò di scatto.
“I tuoi figli non sono nemmeno venuti al funerale! Io ho curato mamma ogni giorno!”
“Curata sì, ma con che risultati? È morta comunque.”
Le parole ferirono Sofia. Si rimproverava già di non aver evitato quell’ictus, di non aver capito in tempo.
“Ho fatto tutto il possibile,” mormorò.
“Ma non è stato abbastanza.”
Bussarono alla porta. Giovanna andò ad aprire, mentre Sofia rimaneva immobile, persa.
“Oh, Sofia, sei qui?” Entrà la vicina, zia Concetta, con un litro di latte. “Come stai, cara?”
“Bene,” mentì Sofia, asciugandosi una lacrima.
“Ho sentito che è arrivata Giovanna,” aggiunse zia Concetta, occhieggiando i documenti. “Affari di eredità?”
“Esatto,” rispose Giovanna, tornando in cucina.
“Tua madre diceva sempre che eri la figlia più devota,” continuò la vicina. “Non te ne sei mai andata. Non come certa gente…”
Giovanna strinse le labbra.
“Concetta, ora abbiamo da parlare in famiglia.”
“Certo, certo,” fece la donna, posando il latte. “Tieni, Sofia, non si spreca.”
Dopo che se ne fu andata, Giovanna tirò fuori altri fogli.
“Ecco il contratto d’affitto. Puoi tenere la stanza grande e la cucina. Mille euro al mese.”
“Mille euro?” esclamò Sofia. “La mia pensione è di milleduecento! Come farò?”
“Trova un lavoretto. O trasferisciti in un posto più economico.”
“Gio, ma che ti è preso?” Sofia la fissò. “Siamo sempre state unite. Dopo l’università sei partita, hai fatto famiglia, ma non abbiamo mai litigato.”
“Non litigavamo perché io tacevo,” disse Giovanna, guardandola. “Tacevo quando vivevi sulle spalle dei genitori. Tacevo quando comprarono a te quel monolocale in città, mentre a me dicevano che non potevano. Tacevo quando sei tornata qui dopo il divorzio, di nuovo a carico loro.”
“Lavoravo! Facevo supplenze, la biblioteca!”
“Per quattro spicci. E loro ti aiutavano lo stesso.”
“E tu? Stavi male? Lorenzo guadagnava bene, i ragazzi…”
“Già. Tutto sulle mie spalle. Mai un aiuto da loro.”
Sofia vide negli occhi della sorella non solo freddezza, ma un rancore vecchio, profondo.
“Se avevi queste lamentele, dovevi parlare prima,” sussurrò.
“Con chi? Con mamma che adorava solo te?”
“Ci amavano entrambe…”
“Fino a quando fui la figlia perfetta. Poi, quando iniziai a vivere per me, diventai un’estranea.”
Si fermò, le mani serrate.
“Tu divorziasti e tornasti. E tornasti la preferita. ‘Sofia è così premurosa, così brava’.”
“È vero. Non fingevo.”
“Lo so. Ma a me non importava.”
Sofia si avvicinò alla finestra. In giardino c’era il vecchio ulivo piantato da nonno. Sotto, la panchina dove da piccole giocavano a fare le mamme.
“Quando mamma ha firmato il testamento?”
“A maggio. Mentre eri in ospedale con la polmonite.”
Sofia ricordò. Due settimane di degenza. E mamma, a casa, con Giovanna.
“Sei venuta apposta?”
“No. Ero in ferie. Sono rimasta con lei.”
“E l’hai convinta a cambiare il testamento.”
“Non ho dovuto convincerla,” rispose Giovanna. “Le ho solo detto che faticavo senza aiuti. Che i ragazzi dovevano studiare. Fu lei a proporlo.”
“Stava male, Gio. Non ricordava neanche i giorni della settimana.”
“Ma al notaio è arrivata, e ha parlato chiaro.”
Sofia la scrutò. Giovanna sembrava calma, ma negli occhi c’era tensione.
“Il notaio non si è fatto domande? Un testamento così improvviso, contro chi la curava?”
“Il notaio fa ciò che chiede il cliente. Mica deve indagare sulle famiglie.”
“E la coscienza?”
Giovanna tacque, poi mise il bollitore sul fuoco.
“Mi tormenta,” ammise. “Ma la giustizia vale di più.”
“Quale giustizia?” esplose Sofia. “Tu hai casa, famiglia, lavoro! Io cosa ho? Una pensione misera, la salute a pezzi, niente affetti. E mi rubi anche il casale!”
“Non rubo. Prendo ciò che è mio.”
Sofia rise amaramente.
“Tu sei vissuta qui fino ai vent’anni. Io ci ho passato quarant’anni! Chi ha più diritto?”
“Chi è scritto nel testamento.”
Il tè fu versato in silenzio.
“Senti,” riprese Giovanna, più calma. “Non voglio farti del male. Ma i nostri genitori hanno fatto tanto per te, niente per me.”
“Sei tu che te ne sei andata.”
“Ma questo non significa rinunciare all’eredità.”
“Non all’eredità. All’onestà. Avresti potuto dividere il casale.”
“E cosa ci faccio con metà di un casale in campagna?”
“Venderlo. O affittarlo.”
Giovanna scosse la testa.
“È meglio venderlo tutto.”
Sofia impallidì.
“Vuoi venderlo?”
“Sto valutando.”Sofia guardò l’ulivo nel giardino, respirò a fondo e disse con voce ferma: “Allora combattiamo, sorella mia, perché questo casale non è solo pietre, ma l’anima dei nostri genitori, e io non permetterò che svanisca per sempre.”