**Un tradimento all’ombra dell’anniversario: come un incontro casuale ha cambiato tutto**
Mentre Beatrice si avvicinava alla piccola caffetteria nel cuore di Firenze, riconobbe all’improvviso due voci troppo familiari. Le parole la colpirono come un coltello, gelandole il sangue nelle vene.
— Dimentica quell’anniversario, — sussurrava Lorenzo, avvicinandosi all’orecchio di Chiara, la migliore amica di Beatrice. La sua voce era dolce, complice. — Vieni da me. Tanto Beatrice non tornerà prima di sera, — aggiunse con un ghigno compiaciuto, come se avesse già vinto.
Chiara rispose con una risatina, ma nel suo tono si percepiva un’ombra di esitazione:
— Certo, da te. E quando Beatrice tornerà? Vuoi che salti giù dalla finestra?
— Perché dalla finestra? — Lorenzo le cinse la vita con sicurezza. — Se accetti, a Beatrice mostrerò direttamente la porta.
Beatrice si bloccò, come se il mondo intorno a lei fosse crollato. Conosceva Chiara—i suoi modi disinvolti, la facilità con cui si avvicinava agli uomini. Ma Lorenzo… Tre anni insieme, tre anni di sogni condivisi: una famiglia, una proposta di matrimonio che aspettava da tempo. Un anno di quei tre li avevano passati nel suo appartamento nuovo, nel centro della città, comprato con un mutuo. La ristrutturazione, le bollette, la routine—tutto era ricaduto sulle spalle di Beatrice. Si consolava pensando che il matrimonio fosse solo una formalità, che il loro amore andasse oltre un pezzo di carta.
Ora le bende le cadevano dagli occhi. Era tutta una menzogna. Non ci sarebbe stata nessuna famiglia. Per lui, era solo un appoggio temporaneo, in attesa di trovare qualcuna “più adatta”.
Sei mesi prima era morta la madre di Beatrice. Allora, rimase scioccata dalla freddezza di Lorenzo. Non l’aveva accompagnata al funerale, non l’aveva aiutata con i preparativi. Le aveva solo detto, secco:
— Vendi qualcosa là. Sai, ho il mutuo, la ristrutturazione. Magari i parenti ti faranno un prestito. Quando venderai la casa, salderai tutto.
La parola “salderai” le era rimasta impressa come una lama. Ma lo aveva giustificato: era stanco, aveva parlato senza pensarci, non voleva dire quello. Lorenzo era sempre stato taciturno, chiuso. “Tiene tutto dentro—si vantava con le amiche. —Uno così non tradisce.” Chiara rideva con le altre, annuendo, fingendo di approvare.
Ora, davanti alla caffetteria, Beatrice non aspettò altro. Il cuore le batteva forte, le lacrime le bruciavano gli occhi, ma si costrinse ad agire. Cominciò a chiamare un taxi con tale urgenza che sembrava questione di vita o di morte. L’auto si fermò, lei saltò sul sedile posteriore senza voltarsi, come se qualcuno la inseguisse.
— Più veloce, per favore! — gridò, battendo leggermente sulla spalla del conducente.
Non appena l’auto partì, il telefono vibrò. Era Lorenzo.
— Dove sei? Sono qui da solo, tutti ti cercano! Dovevi già essere arrivata, cosa è successo? — la sua voce era irritata, ma Beatrice, senza rispondere, chiuse la chiamata e gettò il telefono dal finestrino. Le lacrime sgorgarono senza controllo, come quelle di un bambino a cui è stato portato via tutto. Singhiozzava, disperata, piangendo il tradimento, la sua ingenuità, gli anni perduti.
L’auto accelerò. A poco a poco riprendendosi, Beatrice si accorse di non aver detto all’autista dove andare.
— Dove stiamo andando? — chiese, asciugandosi le lacrime.
— A casa, — rispose tranquillo il conducente.
Ma fuori dal finestrino non scorrevano le strade della città, ma una strada di campagna buia.
— A casa? Dove casa? — la voce le tremò di paura.
— Vuoi che ti dica l’indirizzo? — ribatté l’uomo, quasi con sarcasmo.
— Ferma! Fermati subito! — urlò Beatrice, sopraffatta dal panico.
— Qui in mezzo ai campi? — rise lui. — Cosa ci faresti?
— Chiamo la polizia! — sbottò, ma poi ricordò che il telefono non c’era più. Aveva raccontato tutto a uno sconosciuto, e ora lui sapeva che era sola, indifesa. Se l’avesse lasciata lì, nessuno l’avrebbe cercata.
Nel disperato tentativo di aprire la portiera, le mani le tremavano troppo per trovare la maniglia. Le forze la abbandonarono, le lacrime ricominciarono a scendere—silenziose, rassegnate. “Che sia quel che sarà—pensò. — Che questo pazzo faccia ciò che vuole. Almeno non sentirò più il dolore, né i tradimenti.”
L’auto frenò di colpo. Il conducente scese e si avvicinò alla sua portiera.
— Esci, — disse.
— Non esco! — improvviso in Beatrice scattò una scintilla di volontà. Decise di combattere. Di vivere.
— Non fare la sciocca, Bea, — parlò piano il conducente.
Lei alzò lo sguardo e finalmente lo riconobbe.
— Matteo? — sussurrò, incredula.
Davanti a lei c’era un suo vecchio compagno di scuola, Matteo, che non vedeva da anni. Frammenti di ricordi le tornarono alla mente: dopo il diploma, se n’era andato, si era fatto una carriera in un’altra città.
— E tu chi credevi che fossi? — sorrise con una calda espressione conosciuta.
— Tu… fai il tassista? — chiese, ancora diffidente.
Matteo scoppiò a ridere, e quella risata le riportò indietro nel tempo—sincera, familiare.
— Ma che tassista! Stavo tornando a casa, ti ho vista agitare le braccia come se volessi buttarti sotto una macchina.
— Io… — Beatrice esitò, sentendo il rossore salirle alle guance.
— Ho capito tutto, — Matteo le posò una mano sulla spalla con delicatezza. — Un bel giro. Non sei mai stata così schietta.
Beatrice rise tra le lacrime. La tensione si sciolse, il cuore si sentiva leggero, come se un peso enorme fosse caduto. Era davanti a casa sua—quella in cui abitava prima di trasferirsi da Lorenzo.
— Sai, sono tornato proprio per te, — Matteo le prese la mano nella sua, grande e calda. — Che bello che non ti sei sposata.
Beatrice lo guardò, e nel suo cuore brillò una scintilla di speranza, la prima da molto tempo. Non sapeva cosa l’aspettasse, ma in quel momento, sotto le stelle in una strada silenziosa, sentì che la vita stava davvero ricominciando.