Tradimento nell’ombra dell’anniversario: un incontro casuale che ha cambiato tutto

**Tradimento all’ombra dell’anniversario: come un incontro casuale ha cambiato tutto**

Arianna stava raggiungendo il caffè accogliente nel centro di Firenze quando all’improvviso udì delle voci familiari, affilate come lame che le trafiggevano il cuore. Rallentò il passo, sentendo il sangue gelarsi nelle vene.

— Lascia perdere questo anniversario — sussurrava Massimo, avvicinandosi all’orecchio di Ilaria, la migliore amica di Arianna. La sua voce era dolce, quasi complice. — Vieni da me. Tanto Arianna non tornerà prima di notte — ridacchiò compiaciuto, come se avesse già vinto.

Ilaria rispose con una punta di sarcasmo, ma nel suo tono si percepiva un’ombra di esitazione:

— Certo, da te. E quando Arianna tornerà? Dovrà saltare dalla finestra?

— Perché dalla finestra? — Massimo la strinse con sicurezza alla vita. — Se accetti, le indicherò semplicemente la porta.

Arianna si immobilizzò, come se il mondo attorno a lei fosse crollato. Conosceva Ilaria—i suoi modi spensierati, la sua facilità con gli uomini. Ma Massimo… Tre anni insieme, tre anni di speranze per una famiglia, per una proposta che aveva sempre atteso. Da un anno vivevano nel suo nuovo appartamento nel centro, comprato con un mutuo. La ristrutturazione, le bollette, la routine quotidiana—tutto sulle spalle di Arianna. Si consolava pensando che il matrimonio fosse una formalità, che il loro amore fosse più forte dei pezzi di carta.

Ora il velo era caduto. Tutto era una menzogna. Non ci sarebbe stata alcuna famiglia. Per lui era solo un appoggio temporaneo, finché non avesse trovato qualcuna “più adatta”.

Sei mesi prima era morta la madre di Arianna. Allora aveva notato la freddezza di Massimo. Non era andato con lei al funerale, non l’aveva aiutata con gli arrangiamenti. Aveva solo sbottato:

— Vendici qualcosa laggiù. Sai, ho il mutuo, i lavori in casa. Magari i parenti ti prestano qualcosa. E quando venderai la casa, ci salderemo.

La parola “salderemo” l’aveva ferita come una lama. Ma lo aveva giustificato: stanco, un lapsus, non voleva dire quello. Massimo era sempre stato taciturno, chiuso. “Tiene tutto dentro,” vantava con le amiche. “Uno così non tradisce.” Ilaria rideva con le altre, annuendo come se fosse d’accordo.

Ora, davanti al caffè, Arianna non aspettò di sentire altro. Il cuore le martellava, le lacrime le bruciavano gli occhi, ma si costrinse ad agire. Fece cenno a un taxi con tanta veemenza che sembrava una questione di vita o di morte. L’auto si fermò, Arianna saltò sul sedile posteriore, evitando di voltarsi, come se qualcuno la inseguisse.

— Più veloce, più veloce! — gridò, battendo una mano sulla spalla del tassista.

Prima che l’auto ripartisse, il telefono si illuminò con una chiamata. Massimo.

— Dove sei? Sono qui come un idiota, tutti ti cercano! Dovevi già essere arrivata, che è successo? — la sua voce era irritata, ma Arianna, senza rispondere, chiuse la chiamata e gettò il telefono dal finestrino. Le lacrime sgorgarono incontrollabili, come quelle di un bambino a cui è stato portato via tutto. Singhiozzava, soffocata dal dolore, piangendo il tradimento, la sua ingenuità, gli anni perduti.

L’auto correva. Arianna, riprendendosi poco a poco, realizzò all’improvviso di non aver detto al tassista nessun indirizzo.

— Dove stiamo andando? — chiese, asciugandosi le lacrime.

— A casa — rispose pacato il guidatore.

Ma oltre il finestrino non c’erano strade cittadine, ma una buia strada di campagna.

— A casa? Quale casa? — la sua voce tremò di paura.

— Vuoi che ti dica l’indirizzo? — ribatté il tassista, quasi con sarcasmo.

— Fermati! Fermati subito! — urlò Arianna, sopraffatta dal panico.

— Qui in mezzo al nulla? — rise lui. — Cosa potresti fare?

— Chiamo la polizia! — sbottò, ma ricordò all’istante di non avere più il telefono. Aveva raccontato tutto a quell’estraneo, e ora lui sapeva che era sola, indifesa. Se l’avesse lasciata nel bosco, nessuno l’avrebbe cercata.

Disperata, Arianna tirò la maniglia della porta, ma nel buio, con le mani che le tremavano, non riuscì ad aprirla. La forza la abbandonò, le lacrime ricominciarono a scendere—ora silenziose, rassegnate. “Che sia quel che sarà,” pensò. “Che questo pazzo faccia quel che vuole. Niente più dolore, niente più tradimenti.”

L’auto frenò di colpo. Il guidatore si avvicinò in silenzio alla sua portiera.

— Scendi — disse.

— Non scendo! — improvviso, in Arianna si accese una scintilla di resistenza. Avrebbe lottato. Avrebbe vissuto.

— Non fare la sciocca, Ari — commentò lui con calma.

Lei sollevò lo sguardo e per la prima volta lo guardò davvero.

— Paolo? — sussurrò, incredula.

Dinanzi a lei c’era il suo compagno di scuola, Paolo, che non vedeva da anni. Frammenti di ricordi affiorarono: era partito dopo il diploma, aveva fatto carriera chissà dove.

— E tu chi credevi? — sorrise con una calda, familiare espressione.

— Tu… sei un tassista? — chiese, sospettosa.

Paolo rise, e quella risata le ricordò l’infanzia—genuina, autentica.

— Quale tassista? Stavo tornando a casa, ti ho vista agitare le braccia come se volessi buttarti sotto una macchina.

— Io… — Arianna esitò, sentendo le guance bruciare dalla vergogna.

— Lo so tutto — Paolo le cinse le spalle con dolcezza. — Un viaggio utile. Non sei mai stata così sincera.

Arianna rise tra le lacrime. La tensione svanì, e nel cuore sentì un sollievo, come se un peso enorme le fosse stato tolto. Era davanti a casa sua—quella in cui viveva prima di trasferirsi da Massimo.

— Sai, sono tornato per te — sussurrò Paolo, stringendole le dita tra le sue mani grandi e calde. — Che bello che non ti sei sposata.

Arianna lo fissò, e per la prima volta dopo tanto tempo sentì una fiammella di speranza dentro di sé. Non sapeva cosa l’aspettasse, ma in quel momento, sotto le stelle in una strada silenziosa, percepì che la vita stava davvero ricominciando.

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