Trasferimento temporaneo per aiutare in famiglia si trasforma in una settimana di pulizie inattese.

La figlia mi ha chiesto di trasferirmi da loro per una settimana per badare al nipotino, ma si è rivelato che non servivo solo per il bambino, ma anche per pulire tutta la casa.

Ginevra sedeva nel suo appartamentino accogliente a Firenze, fissando la valigia che aveva appena finito di preparare. Sua figlia, Beatrice, l’aveva chiamata il giorno prima con una richiesta a cui era impossibile dire di no: «Mamma, vieni da noi per una settimana, stai un po’ con Tommasino, io e Riccardo abbiamo delle faccende da sistemare». Ginevra, che adorava il suo nipotino di cinque anni, aveva accettato subito. Si immaginava già a giocare con Tommaso, a leggergli le favole, a portarlo a spasso. Ma, varcata la soglia di casa di Beatrice, capì subito: non l’aspettava una settimana di gioia col nipotino, ma una faticaccia di cui nessuno l’aveva avvertita. Il cuore di Ginevra si strinse per la delusione, ma ormai non poteva più tirarsi indietro.

Beatrice e suo marito, Riccardo, vivevano in un ampio appartamento nel centro di Firenze. Ginevra aveva sempre ammirato come sua figlia riuscisse a conciliare lavoro, famiglia e una casa impeccabile. Ma, appena entrata, rimase senza parole: la cucina era sommersa dai piatti sporchi, in salotto c’erano giocattoli ovunque e sul pavimento macchie che nessuno si era preoccupato di pulire. Beatrice, abbracciandola, le sussurrò in fretta: «Mamma, domani mattina partiamo, Tommasino sta con te, ce la farai, vero? Ah, e se hai tempo, magari dai una sistemata?». Ginevra annuì, ma dentro di sé iniziò a serpeggiare un brutto presentimento. Quella parola, “sistemata”, si rivelò ben più impegnativa di quanto avesse immaginato.

Il giorno dopo, salutata Beatrice e Riccardo, Ginevra rimase sola con Tommaso. Era pronta ai capricci, alle infinite domande sul perché delle cose e persino al rifiuto di mangiare la pastina. Ma non era preparata al fatto che la casa sarebbe diventata il suo incubo personale. Tommaso, come ogni bimbo di cinque anni, correva per l’appartamento seminando giocattoli ovunque. Ginevra gli correva dietro cercando di mettere un po’ d’ordine, ma era come svuotare il mare con un cucchiaino. La sera trovò un biglietto attaccato al frigorifero: «Mamma, per favore, lava i panni, passa lo straccio, sistema l’armadio, fai la spesa». Ginevra rimase immobile, sentendo il sangue salirle alle tempie. Non era una richiesta di badare al nipotino, era una candidatura a donna delle pulizie a tempo pieno.

Ogni giorno diventò una maratona. La mattina Ginevra preparava la colazione a Tommaso, poi lo portava al parco per farlo divertire. Tornata a casa, gli preparava il pranzo, lavava i piatti, stendeva il bucato, puliva. L’armadio che Beatrice le aveva chiesto di “sistemare” era un caos di vestiti stropicciati, che dovette piegare tutto da capo. La spesa? Ginevra si trascinava con le borse della spesa pesanti mentre Tommaso la strattonava chiedendo il gelato. La sera crollava a letto, ma invece di riposarsi si sedeva a leggergli le favole perché altrimenti non dormiva. Ginevra adorava Tommaso, ma giorno dopo giorno le forze le venivano meno e la rabbia cresceva. «Sono venuta per il nipotino, non per fare la loro domestica», pensava guardandosi allo specchio, dove nuove rughe erano comparse.

A metà settimana, Ginevra non ne poté più. Chiamò Beatrice e, cercando di mantenere la voce calma, le chiese: «Bea, tu mi hai chiesto di aiutarti con Tommaso, ma perché devo fare anche tutto il resto?». La figlia parve sorpresa: «Mamma, ma sei a casa, pensavo non ti pesasse. Io e Riccardo siamo stanchi morti, non abbiamo tempo». Ginevra ingoiò un nodo in gola. Avrebbe voluto urlarle che non era più una ragazzina, che aveva la schiena a pezzi, che anche lei meritava di riposarsi. Ma si limitò a dire: «Sono venuta per Tommaso, non per la tua casa». Beatrice borbottò qualcosa sul fatto che «non ci aveva pensato» e promise di rimediare, ma Ginevra ormai non ci credeva più.

Alla fine della settimana, quando Beatrice e Riccardo tornarono, la casa brillava, Tommaso era felice e Ginevra si sentiva strizzata come uno straccio. Beatrice la abbracciò dicendo: «Mamma, sei la migliore, senza di te non ce l’avremmo fatta!». Ma in quelle parole Ginevra non sentì gratitudine, solo la conferma di essere stata sfruttata. Sorrise, baciò Tommaso e tornò a casa, promettendosi che non avrebbe più accettato simili “favori” senza condizioni chiare. Nel suo cuore combattevano l’amore per la figlia e il nipotino e l’amaro sapore di essere stata solo approfittata.

Ora, seduta nel suo appartamento, Ginevra pensa a come dire la verità a Beatrice. Ama Tommaso ed è felice di passare del tempo con lui, ma non a costo della sua salute e della sua dignità. Non vuole più essere l’aiutante invisibile, i cui sacrifici vengono dati per scontati. Ginevra lo sa: la prossima conversazione con la figlia non sarà facile, ma è pronta a farsi valere. Per Tommaso, per la loro famiglia, ma soprattutto per sé stessa.

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