Tre giorni senza ascolto

Tre giorni senza telefonata

Valentina Rossi per la quarta volta quella mattina si avvicinò al telefono, sollevò la cornetta, ascoltò il segnale e la riappese. L’apparecchio funzionava bene, quindi il problema non era tecnico. Guardò l’orologio: le dieci e mezza. Di solito Gianluca chiamava alle nove, appena arrivava al lavoro, ma quel giorno era il terzo di fila che taceva.

«Forse si è ammalato?» borbottò, passando un panno sul tavolino del telefono. «O magari è stato mandato in trasferta all’improvviso?»

Ma suo figlio la avvertiva sempre prima dei viaggi, era una loro regola non detta. Valentina si versò un tè, ma le sembrò amaro, anche se aveva messo lo zucchero come al solito. Si sedette alla finestra, osservando il cortile. La vicina Luciana stendeva il bucato, canticchiando allegramente. I suoi figli la chiamavano ogni giorno, i nipoti venivano il weekend. E Gianluca invece…

Il telefono squillò all’improvviso, acuto. Valentina corse a rispondere, quasi rovesciando la sedia.

«Pronto? Gianluca?»

«Mi scusi, ha sbagliato numero» rispose una voce femminile sconosciuta.

«Ah, perdoni…»

Riappese lentamente. Il cuore le batteva in gola. Che sciocca, agitarsi per un errore. Tornò alla finestra, ma non riusciva più a concentrarsi su ciò che accadeva fuori. I pensieri si accavallavano, uno peggiore dell’altro.

Gianluca lavorava come autista per una società di trasporti, viaggiava per la regione, a volte più lontano. E se ci fosse stato un incidente? Al telegiornale parlavano sempre di sinistri. Valentina si alzò di scatto e cominciò a camminare su e giù per la stanza. Le mani le tremavano quando riprese la cornetta e compose il numero di suo figlio.

«Il numero chiamato non è al momento raggiungibile» rispose la segreteria automatica.

«Mio Dio, cosa è successo?» sussurrò.

Ricordò che una settimana prima avevano litigato. Una stupidaggine. Gianluca era venuto a trovarla e lei aveva cominciato a chiedergli della sua vita sentimentale, quando si sarebbe sposato, perché continuava a rimandare. Lui aveva fatto una faccia scura, dicendo che non era il momento, che doveva sistemarsi meglio. Lei aveva insistito: a trentacinque anni era ora di mettere su famiglia.

«Mamma, lasciami stare, per favore» aveva detto Gianluca stanco. «Ho già abbastanza problemi.»

«Quali problemi? Il lavoro va bene, hai la casa, la macchina… Cosa ti manca?»

«Mi manca che tu mi capisca» aveva borbottato, andandosene prima del solito.

Valentina si era offesa ed era rimasta imbronciata tutta la sera. Ora rimpiangeva ogni parola. Forse Gianluca era ancora risentito e non chiamava apposta? Ma no, suo figlio non era rancoroso, quello lo sapeva bene.

A pranzo l’ansia divenne insopportabile. Valentina si vestì e andò da Luciana, che abitava nel palazzo accanto. La vicina la accolse con sorpresa.

«Valentina! Che succede? Hai una faccia strana…»

«Luciana, posso entrare? Sono distrutta.»

«Certo, accomodati. Vuoi un caffè?»

Si sedettero in cucina. Valentina raccontò delle sue preoccupazioni mentre Luciana ascoltava, scuotendo di tanto in tanto la testa.

«Ascolta, e se andassi a casa sua?» domandò alla fine.

«Come faccio? Non ho le chiavi. E poi non sta bene presentarsi senza essere invitati…»

«Ma che dici? Sei sua madre! Vai, bussa. Magari è a casa malato, ha la febbre e per questo non chiama.»

«E se non c’è?»

«Allora chiedi ai vicini. Sono persone comprensive, sanno cosa vuol dire il cuore di una madre.»

Valentina ci pensò. L’idea era sensata, anche se la spaventava. E se Gianluca non fosse solo? Se avesse qualcuno e non glielo avesse detto? Sarebbe stata una situazione imbarazzante.

«Luciana, forse è meglio aspettare… magari domani chiama?»

«Valentina, hai detto che sono tre giorni che non si fa sentire. Non è da lui. Meglio assicurarsi che stia bene invece di tormentarsi.»

Quella sera Valentina non trovò il coraggio di andare da suo figlio. Andò a letto, ma non riuscì a dormire. Si rigirò fino all’alba, tendendo l’orecchio a ogni rumore. E se avesse chiamato? Ma il telefono rimase muto.

La mattina del quarto giorno non resistette più. Si preparò e si diresse all’indirizzo che conosceva a memoria. Gianluca abitava in un nuovo quartiere, in un condominio di nove piani. Valentina salì al quinto, si fermò davanti alla porta e cercò di calmare il respiro.

Premette il campanello. Silenzio. Attese e lo suonò di nuovo. Dall’interno si udì un fruscio, poi dei passi.

«Chi è?» la voce di Gianluca era roca, stanca.

«Gianluca, sono io, tua madre.»

Una lunga pausa. Poi il clic delle serrature e la porta si aprì di un varco. Gianluca era in pantofole e una maglietta stropicciata, sbarbato, il viso scavato.

«Mamma? C’è qualcosa che non va?»

«Gianlucà!» Valentina fece per abbracciarlo, ma lui si tirò indietro.

«Entra» borbottò, tornando in salotto.

L’appartamento era in disordine. Piatti sporchi, lattine di birra vuote, un posacenere colmo di sigarette. Gianluca non fumava, ma evidentemente aveva avuto ospiti. Sul divano c’era un lenzuolo ammucchiato.

«Figlio mio, cosa ti è successo? Mi preoccupavo, non chiamavi da tre giorni…»

Gianluca si lasciò cadere su una poltrona, passandosi una mano sul viso.

«Mamma, non è il momento per parlare.»

«Come non è il momento? Sei ammalato? Hai la febbre?» Valentina cercò di toccargli la fronte, ma lui la scansò.

«Non sto male. Solo…» tacque, fissando il vuoto.

«Solo cosa? Gianluca, mi fai paura!»

Rimase a lungo in silenzio, poi parlò senza guardarla:

«Mi hanno licenziato.»

«Licenziato? Perché?»

«Ho fatto un incidente. Colpa mia. Ora dovrò anche risarcire i danni.»

Valentina si sedette sul bordo del divano. Adesso tutto aveva un senso: il silenzio, il disordine, lo sguardo perso di suo figlio.

«Gianlucà, perché non me l’hai detto subito? Pensavi che ti avrei sgridato?»

«Cosa dovevo dire? Ho rovinato tutto. Lavoro, reputazione… Non ho più soldi, non posso pagare il mutuo.» La voce gli si ruppe.

Valentina si alzò, gli si sedette accanto. Questa volta lui non si tirò indietro quando lei gli prese la mano.

«Gianluca, è davvero una tragedia? Troverai un altro lavoro, tutto si sistema. L’importante è che tu sia sano e salvo.»

«Mamma, non capisci. Ho trentacinque anni e sono ancora un ragazzino: niente famiglia, niente soldi, nessun vero mestiere. Solo debiti.»

«Ma hai una madre che ti vuole bene. E hai le mani d’E quella sera, mentre cenavano insieme, Valentina sorrise pensando che, nonostante tutto, il legame tra madre e figlio era più forte di qualsiasi difficoltà.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

three × one =

Tre giorni senza ascolto