Troppo a lungo per gli altri… Ora voglio scegliere me stessa.

Troppo a lungo ho vissuto per gli altri Ora voglio scegliere me stessa.

A volte ci si sveglia nel bel mezzo di una vita qualunque e allimprovviso si capisce che le voci degli altri hanno risuonato nella propria testa più forte della propria, e per troppo tempo. È così che è successo a me. Mi chiamo Giulia Moretti, ho quarantacinque anni, vivo a Bologna, e, per quanto banale possa sembrare, solo ora mi rendo conto di aver vissuto quasi mezzo secolo seguendo regole che non erano le mie. E il dolore che ne deriva è pesante, sordo, incessante.

Qualche tempo fa ho incontrato la mia compagna di scuola, Elena. Non ci vedevamo da quasi dieci anni, e quellincontro è stato per me una scossa, un vero e proprio stimolo alla riflessione. Abbiamo parlato a lungodella vita, dei figli, delle delusioni. E in quel momento ho sentito me stessauna donna che non vive come vorrebbe, ma come le è stato imposto. E che ora non lo accetta più.

Tutto è cominciato nellinfanzia. I miei genitoripersone perbene, severe, testardesapevano sempre cosa fosse meglio per me. Decidevano tutto: con chi avrei dovuto fare amicizia, dove studiare, cosa fare, chi ascoltare. Sognavo di diventare avvocato, ma mamma e papà erano convinti che la filologia fosse più adatta a me, e un giorno, senza consultarmi, hanno iscritto i miei documenti alluniversità, al dipartimento di lettere.

Mi sono laureata. E da lì, passo dopo passo, ho camminato su un sentiero che non era il mio. Studiavo senza passione, senza desiderio. Superavo esami senza capire perché lo facessi. Ma i miei genitori erano fieri. Ero “la brava figliola con la laurea”.

Anche il lavoro me lo hanno trovato loroprofessoressa di italiano in una scuola pubblica. Tremavo allidea di passare il resto della vita a spiegare la punteggiatura a ragazzi che non mi guardavano neanche in faccia. Ma ci sono andata. Perché andavo sempre dove mi dicevano.

Poi è arrivato Paolo. Un collega, insegnante di educazione fisica. Mi ha chiesto di sposarlo e io ho detto di sì. Non perché lo amassi, ma perché volevo sfuggire al controllo dei miei genitori. In lui vedevo la libertà. Ma mi sbagliavo. Avevo solo cambiato gabbia.

Con Paolo la vita è stata dura. Era brusco, dispotico, non tollerava obiezioni. Io per lui ero la domestica, la cuoca, la donna a disposizione. Ogni mio tentativo di parlare di sentimenti, rispetto, libertà, veniva deriso. Sopportavo. Perché non sapevo fare altrimenti. Perché fin da piccola mi era stato insegnatotaci, non discutere, adattati.

Lunica luce è stata mia figlia. Era la mia salvezza, il mio respiro. Le ho dato tutto quello che a me era mancato: cura, sostegno, libertà di scelta. Lho cresciuta con una sola idea: non ripetere la mia vita. Quando era ancora in prima media, ho cominciato a mettere da parte soldi, nascondendoli a Paolo, per darle unopportunità.

Dopo la terza media lho mandata a studiare in Inghilterra. Non è stato facile. Ho fatto lavoretti extra, cucito di notte, rinunciato a tutto, ma lei studiava, cresceva, viveva. Ora è studentessa in ununiversità di Londra. È forte, intelligente, indipendente. E io le dico: resta lì, vivi come desideri. Per questo ho sopportato tutto.

Mi aiutava mia zialunica che mi capiva davvero. Non aveva figli, ed è stata per me come un angelo silenzioso.

E ora ora mi guardo allo specchio e per la prima volta in quarantacinque anni mi chiedo: cosa voglio IO? Non i miei genitori. Non mio marito. Non la società. Io.

E so la risposta. Voglio libertà. Vivere in silenzio, leggere i miei libri preferiti, lavorare dove mi sento serena, non dove mi è stato ordinato. Voglio ricominciare a ricamare arazzi, come facevo da giovane. Voglio prendere un appartamento, lasciare Paolo, ricominciare da zero. Non voglio più essere unombra nella vita di qualcun altro.

Ora cerco lavoro. Guardo gli annunci per case in affitto. Lentamente, ma con fermezza, sto costruendo il mio nuovo cammino. Non sarò più una vittima. Non permetterò più a nessuno di dirmi come vivere. Forse è tardi, ma scelgo me stessa. E se qualcuno mi chiedessemi pento? Sì. Ma non di volere andare via. Mi pento solo di non averlo fatto prima.

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