**Troppo Tardi per Perdonare**
Valentina Rossi era affacciata alla finestra, osservando l’inserviente che raccoglieva gli ultimi rami dorati di un autunno piovoso. Le foglie si attaccavano all’asfalto bagnato come se non volessero abbandonare la terra. Tra le dita stringeva un biglietto sgualcito, portato un’ora prima dalla vicina, la signora Bianchi.
“Valentina, è passata una signora per te,” aveva detto, porgendole il foglietto. “Diceva che era urgente. Non ha aspettato, è corsa via.”
Sulla carta, una scrittura disordinata: «Mamma ti aspetta. Vieni subito. Sta molto male. Nadia».
Il cuore di Valentina si strinse. Nadia, la sorella minore, aveva sempre avuto una calligrafia da gallina ubriaca. A scuola le insegnanti la sgridavano, ma lei alzava le spalle: “Mica voglio fare la scrittrice!”
“Che succede, Vale? Sei pallida,” si preoccupò la signora Bianchi.
“Niente di grave,” rispose secca, chiudendo la porta.
Ora quel biglietto le bruciava le mani. La madre… quanti anni erano passati dall’ultima volta? Otto? Dieci? Dopo quel litigio, aveva tagliato ogni contatto. Aveva proibito persino a Nadia di nominarla quando andava a trovarla.
“Che pensi di avere un’unica figlia? Ebbene, così sia.”
Tutto era iniziato per un nulla. La madre voleva vendere la casa in campagna, quella della loro infanzia, ereditata dalla nonna. Valentina si era opposta con tutte le forze.
“Mamma, capisci cosa stai facendo? È la nostra storia! Lì papà zappava l’orto, lì giocavamo a nascondino con Nadia!”
“Valentina, non esagerare,” rispose la madre, stanca. “La casa cade a pezzi, il tetto perde. Non ho soldi per ripararla, e le tasse pesano. Meglio venderla ora che vale ancora qualcosa.”
“Non mi importa dei soldi!” Valentina sbatté un pugno sul tavolo. “Se vendi quella casa, per me sei morta!”
La madre la guardò a lungo, con uno sguardo che le trapassò l’anima, poi sussurrò:
“Va bene, Valentina. È il tuo diritto.”
E vendette. Senza il consenso di Valentina, affidando tutto a Nadia. I soldi li diede alla minore: “Che li metta da parte per un appartamento. Non può vivere sempre in affitto.”
Valentina lo scoprì per caso, incontrando la vicina di campagna al mercato.
“Oh, Valentina, hanno già demolito la vostra casa!” esclamò la signora Pina. “I nuovi proprietari ci piantano patate. Dicono che faranno una villetta.”
Quella sera, Valentina andò dalla madre e le urlò tutto l’odio accumulato. Parole durissime. La madre piangeva in silenzio mentre lei vomitava rabbia.
“Mi hai tradita! Hai tradito la memoria di papà! Tutto per i soldi! Per Nadia, che non sa far altro che chiedere!”
“Valentina, fermati,” supplicò la madre.
“Non voglio più vederti! Hai capito? Per me sei morta!”
Se ne andò sbattendo la porta, lasciando dietro solo silenzio.
Passarono mesi, anni. Nadia provò a fare da paciera: telefonate, visite, suppliche.
“Valentina, ma quanto puoi essere infantile? Mamma piange tutti i giorni. L’ha fatto per noi, per darci un futuro.”
“Che pianga pure,” rispondeva gelida Valentina. “Doveva pensarci prima.”
“Ma insomma! Una casa è solo una casa! La mamma è una sola!”
“Non aveva il diritto!” urlava Valentina. “Non aveva il diritto di decidere senza di me!”
Nadia se ne andava offesa. E Valentina restava sola, con la sua rabbia e la sua presunzione.
Gli anni passarono. Valentina sposò Luca, ebbe un figlio, Matteo. A volte il marito accennava ai suoi parenti.
“Non ne ho,” tagliava corto lei. “Sono orfana.”
Luca non insisteva. Anche lui aveva avuto una famiglia complicata.
Matteo crebbe senza nonna e zia. Quando chiedeva perché non li vedeva, Valentina rispondeva: “La nonna vive lontano e non può venire.”
“E noi perché non andiamo da lei?”
“Perché non vuole vederci,” mentiva, cambiando argomento.
Nadia provò più volte a incontrare il nipote. Lo aspettava all’uscita di scuola, gli regalava dolci. Ma Valentina le proibì di avvicinarsi.
“Mamma, ma è simpatica,” disse una volta Matteo. “Mi ha comprato il gelato e mi ha fatto ridere.”
“Non parlarci più,” ordinò Valentina. “È una cattiva persona.”
“Perché?”
“Perché lo dico io.”
Matteo non capiva, ma obbediva. E Valentina chiamava Nadia per gridarle contro:
“Come osi avvicinarti a mio figlio? Non hai figli tuoi e vieni a corrompere i miei?”
“Valentina, è mio nipote!” piangeva Nadia al telefono.
“Per noi non esisti! Sparisci!”
E Nadia sparì.
Ora quel biglietto le pesava come un macigno. “Sta molto male.” Cosa significava? Era malata? O addirittura…
Chiamò Nadia. La sorella rispose dopo qualche squillo, la voce spenta.
“Nadia, sono io.”
Silenzio. Poi un sospiro.
“Valentina? Hai ricevuto il messaggio?”
“Cosa succede a mamma?”
“Ictus. È in terapia intensiva da tre giorni. I dottori dicono che…” la voce le tremò. “Dicono che le speranze sono poche.”
A Valentina mancarono le gambe. S’abbandonò su una sedia.
“Quando è successo?”
“L’altro ieri mattina. L’ha trovata la vicina. Per fortuna avevo le chiavi. Valentina, ripeteva sempre il tuo nome. Anche quando era incosciente.”
“Non… non so cosa…”
“Vieni. Ti prego. Forse sentirà che ci sei.”
Valentina riagganciò e rimase immobile. I ricordi affollavano la mente: la mamma che le cantava la ninna nanna, la mamma che le curava i ginocchi sbucciati, la mamma che piangeva leggendo le lettere di papà dal fronte, la mamma che rideva alle loro recite improvvisate.
“Mamma, sono a casa!” Matteo irruppe in cucina, allegro e scalmanato. “Ma perché sei così triste?”
Valentina lo guardò. Quindici anni, ma a volte le sembrava ancora il bimbo da proteggere.
“Matteo, siediti. Devo parlarti.”
Il ragazzo si irrigidì. Quel tono non prometteva nulla di buono.
“Che c’è?”
“Hai una nonna.”
Matteo sgranò gli occhi.
“Cosa? Ma non hai mai…”
“Ti ho mentito. Hai una nonna e una zia. Non ci vediamo da anni. Per colpa mia.”
“Non capisco.”
Gli raccontò tutto. La casa, il litigio, il silenzio. Matteo ascoltava, e lo sguardo gli si faceva sempre più incredulo.
“Mamma, la nonna è buona?”
“Buonissima,” sussurrò Valentina. “La migliore del mondo.”
“Allora perché non la vedi più?”
“Perché sono un’idiota, Matteo. Testarda e rancorosa.”
Lui ci pensò su, poi:
“E adesso possiamo andare da lei?”
“È in ospedale. Sta molto male.”
“Allora andiamo subito!”
Valentina lo guardò e capì che non poteva più aspettare. In mezzE mentre stringeva la mano di sua madre per l’ultima volta, capì che il perdono, quando arriva in ritardo, è solo un addio pieno di rimpianti.






