«Trovato, figliolo»: come una bugia di sette anni ha quasi distrutto una famiglia

La chiamata che squarciò il silenzio del mattino trafisse l’aria come un coltello. Anna Maria Rossi, seduta vicino alla finestra con il suo ricamo, trasalì e sollevò lentamente il ricevitore. La voce dall’altra parte era agitata e frettolosa:

— Anna Maria Rossi?
— Sì, mi dica.
— Mi scusi il disturbo… ma chiamo per suo figlio.
— C’è qualcosa che non va con Dario? È successo qualcosa all’asilo?
— No, no! Non parlo di Dario, ma di Paolo.
— Mi scusi, ma ho un solo figlio.
— Paolo Rossi, nato il 12 luglio 1998. Nei suoi documenti ci sono i vostri dati.

Anna sentì un colpo al petto. Quella data era una ferita mai rimarginata. Inspirò profondamente:

— Sì… allora ebbi un figlio. Ma morì dopo due giorni. Era prematuro. Se è uno scherzo, è molto crudele.
— No! È vivo! È in un orfanotrofio! Io sono un’educatrice lì, e… lui crede che sua madre lo troverà. Per favore, incontriamoci… non potevo più tacere.

La mano con il telefono tremava. Anna accettò in silenzio, fissando l’appuntamento davanti al monumento di Garibaldi. Cercava ancora di convincersi che fosse tutto un errore, una truffa. Ma il cuore le diceva la verità. Doveva vedere con i suoi occhi.

Un’ora dopo era di fronte a una donna anziana dagli occhi buoni e stanchi. Si presentò come Speranza De Luca, educatrice dell’orfanotrofio in via della Libertà.

— Ho passato la vita tra i bambini. Ma non ne ho avuti miei. Paulino è speciale. Dolce, intelligente, sensibile. Non potevo non cercare la sua famiglia. Nei documenti c’è il vostro rifiuto.
— Io non ho mai firmato nessun rifiuto!
— Allora qualcuno l’ha fatto per voi. Qualcuno che ha deciso per la vostra famiglia…

Come conferma alle sue peggiori paure, la donna le porse una foto. Un ragazzino che sembrava la copia di suo figlio Dario, ma con gli occhiali. Stesso mento, stessa bocca, stesso sguardo. Solo più triste, come se venisse da un’infanzia rubata.

Anna respirava a fatica.
— Cosa ha agli occhi?
— Astigmatismo. Niente di grave. Ma ha un cuore d’oro. Ogni giorno dice che sua madre lo troverà.

Anna strinse la foto. Ormai non dubitava più. Era suo figlio. Il suo bambino. Il suo sangue.

— Non immagini cosa hanno fatto quelli che me l’hanno portato via. Io ho sofferto. Ho pianto per il dolore. E lui… era vivo!

Senza salutare, Anna corse all’orfanotrofio. Dietro il cancello lo vide seduto sulla sabbia con un libro. Paolo. Lui. Suo figlio.

L’educatrice lo chiamò per cognome — Rossi. Bastò. Anna si diresse verso l’ufficio del direttore.

— Ho sentito il mio cognome e… ho pensato che potessimo essere parenti. Quel bambino mi sembrava così familiare.
— Lei è la Rossi? Un caso? Strano. Sta per essere adottato da un’altra famiglia…
— Non capisce. È mio figlio.

Il direttore — Marina Conti — dubitò, ma controllò i documenti. C’era il rifiuto firmato da Anna. La firma era falsa. Anna riconobbe la calligrafia della suocera — Veronica Bianchi. Solo lei poteva essere caduta così in basso.

Con voce tremante, Anna spiegò come sette anni prima avesse partorito prematuramente e le avessero detto che il bambino era morto. Ma ora, vedendo la foto e sentendo il nome, tutto aveva senso.

Il direttore la guardò con comprensione:

— Non darò Paolo a un’altra famiglia. Sistemate tutto, tornate con vostro marito. Faremo i documenti.

Tornando a casa, Anna sentiva la rabbia crescere. Chi aveva osato farlo? Alessandro, suo marito, era distrutto allora. Aveva sofferto con lei. Rimaneva solo un sospetto: sua madre.

Anna prese Dario all’asilo, cercando di restare calma. Ma tornata a casa e vedendo Veronica Bianchi ai fornelli, non riuscì a trattenersi:

— Qualcuno è scomparso per sette anni. E ora tutto verrà fuori.

Quella sera mise la foto davanti al marito.
— Questo è Paolo. Nostro figlio.
Alessandro aggrottò le sopracciglia:
— È Dario con gli occhiali?
— No. È quello che hai pianto.

La reazione della suocera non si fece attendere: impallidì, ma, come al solito, si ritirò con arroganza in camera sua. Anna, spezzata dal dolore, raccontò tutto al marito.

Il giorno dopo erano all’orfanotrofio. Quando Paolo entrò nell’ufficio, tutto fu chiaro. Il bambino non fece domande. Semplicemente capì.

— Finalmente ti abbiamo trovato, figliolo, — disse Alessandro.
— Lo sapevo! Aspettavo! — rispose Paolo.

Anna lo abbracciò, accarezzandogli i capelli, trattenendo le lacrime che ormai non poteva più fermare.

Sulla strada di casa fecero tappa in un negozio. Paolo non capiva che ora poteva scegliere le coseE quella sera, mentre i due fratelli dormivano finalmente nella stessa stanza, Anna chiuse gli occhi, sapendo che il suo cuore poteva finalmente riposare in pace.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

twenty − 19 =

«Trovato, figliolo»: come una bugia di sette anni ha quasi distrutto una famiglia