Tutti Sanno Sopportare

La scena si apre sulla cucina ingombra di piatti sporchi. Il suono della porta che si apre è seguito dalle parole taglienti della madre.

— Oh, eccoci nel regno del caos! Viola, tu che stai sempre a casa, non potevi almeno lavare i piatti? — rimprovera con un sospiro esasperato.

Viola sta tirando fuori le lenzuola dalla lavatrice. Le braccia le tremano per la fatica, il tessuto umido le gela la pelle. La schiena le scotta, e raddrizzarsi è un’impresa.

Nell’altra stanza, un piagnucolio. Tommaso. Si è svegliato di nuovo.

— Mamma, sul serio pensi solo a questo? — chiede Viola con gli occhi spenti. — Sai che i bambini sono malati.

Ludovica posa il sacchetto delle arance sul tavolo e scruta la cucina con lo sguardo di un ispettore. Sospira, delusa.

— Non capisco come si possa vivere in questo schifo. Hai solo due figli, non dieci. E un marito.

Viola non replica. Appende la federa al termosifone e resta immobile per un attimo, curva. Vorrebbe urlare alla madre che due bambini sono già abbastanza, ma non ha più la forza.

Tutta la sua energia è andata nei capricci di Tommaso, nella febbre di Sofia, nella cucina infinita, nelle corse all’asilo, nelle notti insonni. Un peso che la schiaccia. E come ciliegina sulla torta, ecco sua madre con le sue ossessioni per la pulizia.

Viola si dirige nel corridoio per prendere fiato. Guarda nella camera: Sofia dorme, i riccioli bagnati incollati alla fronte. Tommaso è già seduto nel lettino e si stropiccia gli occhi con i pugnetti.

— Credevo che fossi venuta per aiutarmi, — sibila Viola, tornando in cucina con il figlio tra le braccia. — I piatti possono aspettare, stai un po’ con i bambini.
— Viola, i figli sono tuoi! Io non sono più una ragazzina. Con i piatti mi trovo meglio che con i bambini.
— Mamma! Per una volta potresti dimenticarti delle tue maledette stoviglie e smetterla di cercare la polvere? Una ha la febbre, l’altro è stato in braccio tutto il giorno! Sono tre notti che non dormo. Né le tue arance, né le prediche, né lo straccio bagnato mi servono a qualcosa.

Ludovica serra le labbra. Le narici le si dilatano per l’indignazione.

— Aiuto come posso.
— No. Non aiuti, fai solo pressione. Come sempre.

Viola adagia Tommaso nel box, poi afferra il sacchetto e lo porge alla madre.

— Riprenditi le arance e vai via. Per favore.

Per un attimo, persino Tommaso tace. Ludovica fissa la figlia con sdegno, poi il sacchetto. Lo strappa via come se contenesse una bomba a orologeria e se ne va.

Quando il groppo in gola si scioglie un po’, Viola si siede per terra vicino al box e abbraccia il figlio. Lui le starnutisce sulla spalla. Lei sospira: proprio quello che ci voleva.

Una volta avrebbe resistito in silenzio, digrignando i denti. Perché… beh, è sua madre. Così è sempre stato. Molte delle sue amiche hanno parenti così. Non solo madri. Nonne, suocere. Tutte sopportano.

Viola sperava che un giorno sua madre cambiasse, ma non è mai successo.

Da piccola era uguale. Non dimenticherà mai il giorno in cui, in quinta elementare, arrivò terza alle olimpiadi di italiano. Le diedero un diploma e una tavoletta di cioccolato. Quando la porse alla madre, il cuore le scoppiava di orgoglio. Stava per dire che anche lei aveva contribuito, ma non fece in tempo.

— Hai di nuovo sporcato il piumino! E hai girato in giro così? Sei una ragazzina, dovresti essere più attenta!

Se nei voti finali c’era anche solo un sette, Ludovica la sgridava. Quando Viola lavava il pavimento, controllava con cura dietro i termosifoni, sotto le porte.

Ludovica non ha mai fatto un complimento a sua figlia. Al massimo taceva, al peggio trovava un modo per ferirla. Le lodi sembravano razionate, e quelle poche non erano mai per Viola.

Gianni, suo marito, lo sapeva. Aveva sentito Ludovica dire cose come:

— Perché ai vostri bambini servono tutti questi giocattoli? Ai miei tempi bastavano i cubi di legno.

Viola evitava di invitarla a tavola. Ma quando capitava, era pronta alle critiche.

— La carne è di nuovo secca. L’hai cotta troppo.

Ma che sua madre chiedesse come stava o cosa faceva? Mai successo.

Quella sera, Viola scrisse a Gianni per sfogarsi. Lui sapeva che la figlia era malata. Sapeva che sua moglie era stremata. Conosceva i rapporti con la suocera. Ma non poteva aiutarla: era in trasferta. Almeno poteva ascoltarla.

— L’ho cacciata, — scrisse. — Zero aiuto, solo nervi.
— Bravo, — rispose lui subito. — Era ora.

Viola si sentì più leggera. Era la conferma di aver fatto la cosa giusta.

Un’altra notte insonne. Si svegliò per un colpo di tosse. La stanza era buia, solo la lucina rossa della TV accesa. Prese il telefono: erano le cinque e mezza.

Tommaso si agitava nel lettino. Accanto, Sofia si lamentava nel sonno. Viola si alzò. La testa le pulsava come se avesse preso un martello pneumatico.

In frigo trovò solo latte quasi scaduto, un pezzo di formaggio fuso avanzato, qualche uovo. Pezzi di pane raffermo e una confezione di pasta.

Poteva arrangiarsi per colazione, ma poi? I farmaci di Sofia erano finiti. E a lei serviva qualcosa. Ma come andare in farmacia con i bambini soli?

— Devo uscire, ma non ho con chi lasciarli. Non so che fare, — scrisse a Gianni.
— Proverò a sentire Alice, — rispose lui dopo mezz’ora.

Viola sorrise scettica. Alice viveva attaccata al telefono e al computer con il suo blog, le riprese, i corsi, il lavoro. Non aveva nemmeno il tempo per un cane. Figurarsi per due bambini ammalati.

Ma due ore dopo, qualcuno suonò alla porta. Era Alice, che si aggiustava i capelli arruffati e si stropicciava il collo della camicia.

— Mi dai un po’ d’acqua? Ho sete dopo il traffico. Tu versa, io intanto mi lavo le mani e vado da Tommaso.

Viola rimase senza parole. Alice entrò come se niente fosse, si chinò sul lettino e gli prese le manine.

— E chi è questo piccolo burbero? Mi fai vedere i tuoi giochi? O sei un esperto delle spazzole di mamma? Ho sentito che hai rotto quella che le piaceva tanto.

Parlava come se conoscesse Tommaso da sempre. Come se non li avesse visti solo alle feste. Come se non ci fosse stato quel freddo quando mancò al matrimonio per il lavoro.

Poco dopo, Alice dava la banana a Tommaso, controllando il cellulare.

— E Sofia come sta?
— Nella sua stanza. Ha ancora la febbre. Non beve. E lo sciroppo è quasi finito.
— E allora che aspetti? Fammi la lista! O vai tu, io resto con loro.

La voce di Alice era più preoccupata che arrabbiata.

Quando Viola tornò, Tommaso dormiva nel box. Alice era seduta per terra col laptop.

— Gli ho messo i cartoni. Si è addormentato. Non è l’ideale, maViola guardò Alice, poi i bambini che finalmente riposavano, e per la prima volta sentì che forse, anche senza l’approvazione di sua madre, avrebbe trovato il modo di andare avanti.

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