Tutti i vicini sapevano che Giovanni era un asino senza zampe né testa, talvolta un caprone, un cane o un buono a nulla. Gli epiteti variavano in base alla sua colpa, mentre la rabbia di sua moglie oscillava come un pendolo.
Alessia invece, per il marito, era sempre “Coniglietta”, “Volpina”, “Sole” o “Rondinella”. Udendo le sue urla, la gente si chiedeva quando quel caprone avrebbe reagito, ma ricordandosi quanto fosse inerme, sospirava: “Mai”. Giovanni fingeva sordità, ignorando insulti e grida. Quella calma glaciale scatenava crisi furibonde in Alessia. Stremata, fuggiva di casa con un nodo alla gola, viso chiazzato di rosso, mani tremanti, voce roca. Senza lacrime. E Giovanni, all’ombra della porta, sussurrava: “Ma dove vai, Coniglietta?”.
I primi anni matrimoniali furono sereni. Se le avessero detto che quella pace sarebbe sfociata in litigi, Alessia non ci avrebbe creduto. Sposò l’amore della sua vita, non un asino! Giovanni, saldatore, sobrio, pacifico come un orso in tana, trovava tutto perfetto. Le mogli degli ubriaconi lo additavano come esempio: Alessia ne era fiera. Rinviarono i figli per costruire la sauna, il garage, comprare l’auto. La cooperativa agricola donò loro una casa da ristrutturare.
Lui era lento, forse pigro. “I lavori aspettano,” rideva. “Ogni cosa ha il suo tempo. Fare senza voglia è sfruttare sé stessi.” Leader? Mai stato. Alessia invece affrontava ogni lavoro come lui: arare, verniciare, tagliare l’erba, spaccare legna per la stufa. Fortuna che la casa aveva l’acqua corrente: meglio fare lei che sollecitare Giovanni. Una notte, uno schianto in cucina: le piastrelle posate da lui erano franate a terra. “Mani di pasta frolla!” gli urlò. Il
Tutti i vicini sapevano che Giovanni era una bestia senza braccia, senza gambe, col cervello vuoto, senza corna—a volte un montone, una capra, un cane. Ogni soprannome rifletteva le colpe di Gianni. L’entità degli errori variava, così come la furia di sua moglie.
Giulia, invece, per il marito era Coniglietta, Volpicina, Sole e Rondinella. Sentendola urlare, gli altri si chiedevano quando quel montone avrebbe reagito, ma ricordando che era anche un animale senza corna, concludevano: mai. Gianni fingeva sordità, ignorando gli insulti. Quella calma alimentava la rabbia di lei. Stremata, Giulia usciva di casa. Nodi di spasimi le stringevano la gola, il volto si copriva di macchie rosse, le mani tremavano. Voleva piangere, ma non c’erano lacrime. E Gianni, a bassa voce, le chiedeva: “Dove vai, Coniglietta?”.
I primi anni di matrimonio furono tranquilli. Se qualcuno avesse predetto litigi, Giulia non ci avrebbe creduto. Sposava l’uomo amato, nel quale riponeva l’anima, mica una capra! Gianni faceva il saldatore, non beveva, non fumava, placido come un orso in tana. Le mogli degli ubriaconi lo esaltavano, e Giulia ne era fiera. Decisero di rimandare i figli: prima servivano una sauna, un garage, un’auto. La cooperativa assegnò loro una casa, da ristrutturare alla perfezione.
Gianni era lento, forse pigro. Rideva: “I lavori aspettano! Perché correre? Senza voglia è solo sfruttarsi”. Non ambiva a comandare. Giulia invece affrontava tutto: zappava, dipingeva, falciava, spaccava legna. Meglio agire lei che spronare lui. Una notte, un boato: le piastrelle posate da Gianni erano franate. Lei lo chiamò “senza braccia” e chiamò un artigiano.
Un pomeriggio trovò l’aiuola devastata dalle zampe della mucca vicina. Lui aveva dimenticato il cancello. Ogni giorno la sua apatia irritava Giulia.
Accanto sorgeva una casa abbandonata. I vecchi proprietari morti, gli eredi negligenti. Finché non arrivò una berlina di lusso: Luca, nipote di Nonno Pietro, tornato con moglie e figlio. Aveva lavorato a Milano, sposato lì, ma la patria era il posto migliore per vivere. Ricostruì la casa, dimostrando a Giulia che cosa significava non mollare. Mostrò maestria da muratore, saldatore, elettricista. Senza la moglie accanto: Laura badava alla casa e al bambino.
Giulia, osservando, si infuriava con Gianni. Voleva smettere di essere forte, essere fragile. Spingeva il marito ad agire, ma lui non era un capo. La gente la considerava una donna insopportabile, lui un martire. Sognava il divorzio: non ce la faceva più a trainare il carretto da sola. Puntava Luca come esempio, e Gianni sorrideva: “L’erba del vicino è sempre più verde”.
Gianni non afferrava il discorso sul divorzio. Altre soffrivano con mariti alcolizzati, lei amata e protetta… Mai offesa, libera sui soldi. “Sono lento, perché avere fretta? Perché agitarsi? Io non le dico mai cosa fare, lei sa”. Sospirò davanti alla tv: “Perché Coniglietta vuole andarsene?”
Giulia portava latte al figlio dei vicini. Laura la invitò a cena, occasioni per una bottiglia di vino. Luca sedeva da padrone, Laura da serva: “Porta il sale! Questo è freddo! Le tovagliette? Quiete, so io!”. Roba da tutta sera. Marco pianse, Laura uscì. Giulia chiese dei mobili nuovi. Rientrata, Laura accennò un’opinione. Luca sbottò: “Decido io cosa comprare! Spendere è facile, guadagnare no!”. Giulia perse l’allegria. Vedendo l’umiliazione di Laura, pensò cose atroci su Luca, ma tacque. Osservò la “coppia felice” e tornò a casa sconsolata.
“Coniglietta, dov’eri? Un tè? L’ho fatto come piace a te”.
Giulia abbracciò Gianni. Lui sgranò gli occhi, e lei si sentì goffa.
Irene fissò il silenzioso torrente fuori dalla finestra, osservando un gabbiano librarsi senza fretta contro il vento, e finalmente capì che la pace trovata nel loro disordine domestico valeva più di qualsiasi perfezione urlata dai vicini.