**Diario personale – Taccuino segreto**
Era tutta colpa tua…
Il caldo di luglio era soffocante. L’aria pesante, satura di umidità e polvere. Federica respirava a fatica, le narici dilatate. Il cuore batteva con fatica nel petto, implorando riposo e un po’ di fresco.
Sabato sarebbe stato il compleanno della suocera, e lei e il marito sarebbero andati nella casa di campagna. Federica sentiva la mancanza del figlio, ma in campagna stava meglio che in città. Immaginava già il fresco sotto i meli, l’acqua fresca della sorgente, l’aria pulita… Ma prima doveva arrivare a sabato. E il caldo sembrava prendersi gioco di lei, senza tregua. Avevano aspettato l’estate? Sognato il sole? Eccolo servito, senza possibilità di lamentarsi.
I mezzi pubblici nell’ora di punta erano un incubo di corpi sudati e appiccicosi, l’aria così pesante che bastava una scintilla per far esplodere la tensione. Camminare sotto il sole era altrettanto duro, ma almeno poteva rinfrescarsi nei negozi, recuperando energie per l’ultimo tratto verso casa.
Davanti a lei, il centro commerciale. Accelerò il passo, ansiosa di raggiungere l’aria condizionata. Finalmente dentro, respirò a pieni polmoni. Il cuore si calmò, riconoscente.
Passeggiò tra le vetrine, osservando i regali possibili per la suocera. Ogni anno diceva che non serviva nulla, che bastava la presenza. Ma Federica notava sempre quella luce negli occhi quando riceveva qualcosa di insolito.
Dopo aver guardato senza trovare nulla, si avviò verso l’uscita. Un banchetto all’aperto attirò la sua attenzione: ciondoli, penne, collanine… Si fermò, ancora per qualche minuto di fresco. Tra la bigiotteria, una strana vetrina con un vaso lungo e stretto, decorato a mosaico. Non ne aveva mai visto uno simile.
“Posso vedere?” chiese alla giovane commessa.
Il vaso era pesante, in metallo, con inserti di smalto colorato, opachi, come ingrigiti dal tempo. Tra i colori sgargianti del banco, sembrava fuori posto, elegante e prezioso.
“Quanto costa?” chiese.
Il prezzo la fece sobbalzare.
“È fatto a mano. Unico,” disse la ragazza con orgoglio.
“È parte di una collezione?”
“Lo fa un disabile. Sono pezzi bellissimi, ma pochi li comprano. Troppo cari.”
“Lo prendo,” rispose Federica, senza pensarci. Immaginò già una rosa dal gambo lungo al suo interno. La suocera l’avrebbe adorato.
“Si può incartare bene?” chiese.
La commessa annuì e si chinò a cercare sotto il banco.
Mentre aspettava, Federica osservò i piccoli oggetti esposti. Una donna si avvicinò, il viso pallido e stanco, come tanti in quell’afa.
“Ciao, Alessia. Vedo che il vaso è venduto?”
“Sì,” rispose la commessa, lanciando un’occhiata a Federica.
“Ti mando i soldi appena posso,” aggiunse la donna.
“Domani porto altro,” annuì lei, andandosene.
Federica la fissò, il ricordo che sfiorava la memoria. Giulia… Era Giulia!
“Va bene così?” chiese la commessa, porgendole un pacchetto con un fiocco rosso. “Duecento euro in più.”
Federica pagò con la carta, afferrò il regalo e, senza aspettare lo scontrino, corse dietro alla donna.
Giulia camminava a testa bassa, immersa nei pensieri.
“Giulia!” la chiamò.
Si voltò, un attimo di sguardi incrociati.
“Non mi riconosci? Sono Federica.”
“Certo che sì,” rispose Giulia, senza sorridere. “Tu non sei cambiata. Io invece… Hai comprato il vaso?” cennò al pacchetto.
“Sì. È bellissimo. Sabato è il compleanno della suocera. La commessa ha detto che lo fa un disabile.”
“Mio marito,” rispose Giulia.
Camminarono insieme, Federica adeguandosi al suo passo lento.
“Credevo fosse antico. Tuo marito è un artista?”
“Artista, sì. Ma davvero non sai nulla? Sei sempre stata fuori dal mondo, eh? Lo fa Dario.”
“Dario? La ragazza ha detto che è un disabile.”
“Lo è. Dopo l’incidente non cammina più. Almeno guadagna qualcosa. Dobbiamo pur vivere.” Sospirò. “Andiamo da qualche parte? Non ho voglia di uscire.”
Entrarono in un bar vicino all’uscita, l’unico tavolo libero vicino alla porta. L’aria condizionata accolta con sollievo.
“Tè freddo e un gelato alla crema, per favore,” ordinò Giulia all’arrivo della cameriera.
“Strano, stavo proprio pensando a te ultimamente,” disse Giulia, gli occhi persi nel vuoto. “E poi ti vedo comprare un vaso fatto da Dario.”
“Mi hai riconosciuto subito. Perché non mi hai detto nulla?”
“Non so,” scrollò le spalle. “Non parlo con nessuno ormai. Non ho niente di cui vantarmi. Tu invece vivi bene, spendi per cose inutili. Il tuo uomo guadagna bene?” la punse con sarcasmo.
“Non è inutile, è bellissimo.”
“Bello… La casa è piena delle sue cose. Lavora tutto il giorno, modella, dipinge. È insopportabile. Ma almeno non beve. Quando era in ospedale, un uomo gli insegnò. All’inizio faceva schifo, poi migliorò. Soldi pochi, ma meglio di niente.”
“Mi dispiace, non lo sapevo. Deve essere dura.”
“Dura? Sono tutto per lui: badante, cuoca, infermiera. A volte non ho voglia di vivere. E tutto per colpa tua.” La guardò con rabbia.
“Io? Non capisco.”
“Santa ingenuità. Sei sempre la stessa. Dario era circondato da ragazze, e lui scelse te. Ti odiavo. Pensavo: chi è questa sfigata che si becca il più bello? Decisi di togliertelo.”
Afferrò il tè, le dita tremanti.
“Ricordi quel weekend che tornasti dai tuoi? Lui venne in dormitorio. Lo ubriacai, lo misi nel mio letto. Poi rimasi incinta. Ma il bambino nacque morto.”
“Gli ho tagliato la strada, ma non sono felice. Né amore, né figli. Una punizione divina.”
Federica la fissò, il caffè intatto, il gelato che si scioglieva.
“Se avesse sposato te, forse non sarebbe successo niente. Io avrei trovato un uomo normale, avrei avuto figli e sarei felice.”
Federica le coprì la mano, ma Giulia la ritirò di scatto.
“Non voglio la tua pietà. È mio!”
“Posso aiutarti in qualche modo? Mio marito è medico…”
Giulia si alzò di scatto, facendo stridere la sedia. Altri clienti si voltarono.
“Vivi la tua vita e non venirmi a cercare. Anzi, vieni. Guarda cos’è diventato quel ragazzo con la voce che ti faceva tremare. Forse te lo lascio, se vuoi. Saresti una brava badante.”
“Perché dici così?”
“Vaffanculo!” Girò i tacchi e uscì.
Federica rimase immobile, poi pagò e se ne andò, quasi dimenticando il regalo.
A casa, il caldo non la toccò più. I ricordi dell’università, di quando vivevano nella stessa stanza al dormitorio…
***
“Ciao, ancora sui libE quella sera, mentre accarezzava distrattamente il vaso posato sul tavolo, Federica capì che a volte il destino ci lega alle persone in modi che non potremmo mai immaginare, e che il vero perdono è l’unica cosa che può sciogliere anche i nodi più stretti.