**Tutto Andrà Bene…**
L’auto sfrecciava per le strade deserte della città di notte. Dentro c’erano due persone, un uomo e una donna. A vederli, sembravano una coppia come tante, ansiosa di tornare a casa dai figli.
“Puoi andare più veloce?” chiese lei, nervosa.
“È pericoloso, anche se sembra che la città sia vuota. Quando glielo dirai, alla fine? Quanto ancora dovremo incontrarci di nascosto, vivendo nella paura di essere scoperti? Perché tiri sempre in lungo? Diglielo, sarebbe più facile per tutti,” disse lui, con voce tesa.
“Più facile? Per chi? Per noi, forse. Ma Giulia? Adora suo padre. E lui adora lei. Cosa le succederà, quando lo scopriranno? Sarebbe troppo crudele,” cercò di giustificarsi la donna.
“E mentire, ingannare per mesi, questo non è crudele? Credi davvero che non sospetti nulla? Sono stanco di dividerti con lui. Se vuoi, glielo dico io, da uomo a uomo.”
“No, per favore, non farlo. Lo farò io. Dammi solo un po’ di tempo.” Lei afferrò la mano di lui al volante e la strinse forte. “Ti amo tanto. Ma non farmi fretta. Prometto che presto parlerò con mio marito.”
L’uomo le rivolse lo sguardo, i loro occhi si incontrarono, e si avvicinò per baciarla.
Ma all’improvviso, da una curva, un SUV nero piombò sulla loro auto. Un urlo si perse nel frastuono di lamiere contorte…
***
Il suoneria del cellulare lo strappò da un sonno agitato. Per un istante, Matteo rimase sospeso tra sogno e realtà, poi aprì gli occhi di colpo.
Lucia aveva chiamato alle otto di sera, dicendo che sarebbe tornata tardi. Un’amica aveva un problema, non poteva lasciarla sola in quello stato. Avrebbe spiegato dopo. Lui non fece in tempo a chiederle quale amica, che problema. Certo, avrebbe potuto chiamare tutte le amiche di cui aveva i numeri. Ma lo trovò umiliante, per sé e per sua moglie.
I dubbi erano iniziati due mesi prima. Lucia era sempre più spesso in ritardo, a volte persino nei weekend. Troppe amiche con “emergenze” che richiedevano il suo intervento.
Afferrò il telefono sul comodino. Numero sconosciuto. Il cuore gli si strinse in un brutto presentimento.
“Pronto,” rispose con voce roca dal sonno.
“Sono il capitano Ferraro. È il marito di Lucia Petrovich?”
“Sì.”
“Sua moglie è stata coinvolta in un incidente… È stata portata d’urgenza all’ospedale Sant’Anna in condizioni critiche.”
“È viva?” chiese Matteo, la voce spezzata.
“Sì, ma…”
“Papà, è la mamma?” Sulla soglia della camera comparve Giulia, dieci anni, lo sguardo spaventato.
Matteo deglutì il nodo in gola.
“No. È che… la mamma è in ospedale. Ha avuto un incidente.”
“È morta?”
“No, no, è viva,” si affrettò a dire.
“Ma tu hai chiesto…” Giulia gli si avvinghiò al collo, stringendo così forte da togliergli il fiato. “Andiamo da lei. Ho paura.”
Lui la staccò delicatamente, la fece sedere accanto a sé.
“Non ora, l’ospedale non fa entrare di notte. Andiamo domattina. Ora torna a dormire. Se no torniamo stanchi, e cosa dirà la mamma?” Forzò un sorriso.
Giulia annuì e tornò in camera sua. Anche lui si rimise a letto. L’alba già filtrava dalla finestra. Prima di rispondere alla chiamata, aveva visto l’ora sul telefono. L’una e mezza.
Doveva calmarsi. Appoggiò una mano sul petto. Il cuore batteva furioso.
La mattina, arrivarono all’ospedale con Giulia. Entrò nella sala medica, lasciando la figlia fuori.
“Lei è il marito?” chiese un dottore sulla quaranta anni.
“Sì. Come sta mia moglie?”
“Abbiamo dovuto operarla. Trauma cranico grave, fratture multiple… È in coma.”
“Ma com’è successo? Lei non guida.”
Il dottore scosse la testa.
“Quello che so è che l’auto in cui era sua moglie è stata speronata da un fuoristrada. Entrambi i conducenti sono morti sul colpo. A sua moglie è andata meglio. Ma la situazione è grave, lo avverto. Stiamo facendo il possibile. È giovane, ci sono speranze.”
“Posso vederla? C’è mia figlia fuori.”
“Decida lei. Non è una vista piacevole. Ma a volte, la presenza dei cari fa miracoli. Venga.” Il dottore indicò la porta.
“Chi era con lei in macchina?” chiese Matteo mentre camminavano nel corridoio.
“Questo lo chieda alla polizia. Sappia che è in coma, non parli troppo.”
La porta si aprì. Matteo non riconobbe Lucia. La testa bendata, il viso tumefatto e graffiato. Sembrava un’estranea. Sulla coperta, una mano con la fede nuziale. La sua mano.
“Mamma!” chiamò Giulia, accarezzandole la mano. “Dorme?” chiese, girandosi verso il padre.
“Sì. L’hanno operata. Possiamo solo guardarla.”
Tornarono a casa in silenzio. Matteo chiamò la madre di Lucia, le raccontò tutto e le chiese di venire a stare con Giulia. Lui doveva uscire.
Maria entrò in casa, il fazzoletto già bagnato di lacrime.
“Vuoi che porti Giulia da me? Non puoi occupartene adesso,” disse, calmandosi un po’. “Vieni da nonna?” chiese alla nipote.
Lei annuì.
“Te l’avevo detto. Ma mica mi ascoltava,” gemette Maria, poi si bloccò sotto lo sguardo stupefatto di Matteo.
“Maria, di cosa l’avevate avvertita?”
Scosse la testa, si soffiò il naso.
“Parla. Prima o poi lo saprò comunque,” insistette lui.
“Scusami, Matteo. Glielo dicevo sempre che non ne sarebbe venuto nulla di buono. La rimproveravo.” Si passò una mano sul viso. “Non faceva che ripetermi: ‘Lo amo, non posso vivere senza di lui’. Era diventata una pazza. Dio, scusami, non volevo dirtelo così… Avrebbe dovuto farlo lei.”
Matteo sentì di nuovo il dolore al petto. Inspirò lentamente, facendo una smorfia. Aveva sospettato, aveva notato i cambiamenti, ma si era rifiutato di affrontare la verità.
“Chi è?” chiese, cupo.
“Luca Riva. Era innamorato di Lucia fin dalle superiori. Poi era partito, credo all’estero. Quando è tornato, è ricominciato tutto…”
Riva. Matteo l’aveva visto una volta. A volte, quando poteva, passava a prendere Lucia dal lavoro. La aspettava parcheggiato. Lei correva verso la macchina, felice come se avesse ricevuto un regalo.
Due mesi prima, lui era andato a prenderla. In parcheggio, l’aveva vista con un uomo. Si guardavano come se il resto del mondo non esistesse. Era chiaro che tra loro c’era ben più di un’amicizia.
Era sceso e si era avvicinato. Lucia era rimasta paralizzata, poi aveva sorriso e presentato il marito e “un vecchio compagno di scuola”. Lo aveva chiamato per cognome. I due uomini si erano studati, senza stringersi la mano. L’antipatia era stata immediata.
“E poi, mentre il sole saliva nel cielo e la strada si snodava davanti a loro, finalmente Matteo sentì la mano di Lucia stringere la sua, e capì che, nonostante tutto, forse davvero tutto sarebbe andato bene.”