Tutto ciò che è tuo, rimane tuo

Tutto ciò che è tuo, resterà tuo

In un paesino arroccato tra montagne brulle e campi grigiastri, dove l’autunno profumava di umido e malinconia, la vita scorreva lenta come un ruscello in pianura. In una casa ai margini del paese, immersa nell’ombra di vecchi tigli, viveva Beatrice. La sua vita sembrava una favola: genitori benestanti, una villa spaziosa, la zia Clara, affettuosa come una seconda madre. Ma dietro quell’idillio si nascondeva un’ombra, pronta a sgretolare tutto in un istante.

— Da due settimane giochi col cibo, eh? Sarai innamorata, Bea? — chiese Clara, asciugandosi le mani sul grembiule.

— C’è un ragazzo, — ammise Beatrice, arrossendo. — Studia in un’altra facoltà, carino, ma fa finta di non vedermi. Non so come avvicinarmi.

— E tu non farti vedere troppo interessata! — sbuffò Clara. — Una ragazza perbene non corre dietro ai ragazzi. Ai miei tempi…

— Oh, zia Cla’, non ricominciare con ‘ai miei tempi’! — rise Beatrice, finendo la colazione. — Vado, oggi non posso arrivare tardi. Il prof è severo, ci butta fuori dall’aula.

— Vai, vai, — Clara la benedì con un segno della croce e chiuse la porta, sospirando preoccupata.

Beatrice era cresciuta nel lusso, senza mai soffrire un rifiuto. I genitori, presi dalla carriera, avevano affidato la sua educazione a Clara, la sorella maggiore della madre. Tutti la chiamavano signora Clara, ma per Beatrice era sempre “zia Cla’”. Era dolce ma severa, insegnava alla ragazza le regole della vita, come se sospettasse che il destino non sarebbe stato sempre gentile.

Clara aveva la sua pena. Da giovane, in campagna, aveva sposato un guardaboschi, Renato. L’amore durò poco: un anno dopo lui scomparve. Dicevano che fosse annegato in una palude. Lo cercarono, ma non lo trovarono mai. Clara restò sola, senza marito né figli. Pensò di farsi suora, ma poi cambiò idea: «Che suora sarei? Sono ancora giovane e non so tenere la bocca chiusa». Rimase in paese finché la sorella Lidia non la chiamò in città.

— Clara, vieni da noi, — la convinse Lidia. — Io e mio marito siamo sempre al lavoro, potresti badare a Beatrice e darci una mano in casa.

— Volentieri, Lidi! — rispose Clara. — Renato era un brav’uomo, ho già pianto tutte le lacrime per lui. Qui mi consumo dalla solitudine. Non voglio più sposarmi. Verrò e mi occuperò di tutto.

Così Clara entrò nella loro famiglia, definendosi una semplice governante. Cucinava con amore, curava il giardino, piantava fiori. Beatrice era la sua figlia del cuore. La accompagnava a scuola, le comprava giocattoli, le cuciva vestiti. La casa era piena di calore, ma Clara ammoniva Beatrice: «Abituati a fare qualcosa, Bea. Oggi hai tutto, ma domani chissà? Impara a cucinare, è il miglior modo per conquistare un uomo. Se cucini col cuore, ti seguirà a occhi chiusi».

— E tu hai i tuoi segreti? — chiese curiosa Beatrice.

— Eccome! Ogni donna ne ha, — sorrise Clara.

Beatrice si innamorò di Fabrizio, un bel ragazzo dell’altra facoltà. Credeva di passare inosservata, ma si sbagliava. All’università tutti sapevano che Beatrice veniva da una famiglia benestante. Fabrizio, figlio di una madre single, era affascinante ma semplice. Clara fiutò subito qualcosa di strano quando Beatrice tornò a casa raggiante.

— Zia Cla’, mi ha notato! — esclamò. — Dopo le lezioni siamo usciti insieme, mi ha offerto un gelato.

— Furbo, sa che alle ragazze piace il dolce, — borbottò Clara. — Portalo qui, voglio conoscerlo.

Un mese dopo, Fabrizio si presentò a casa. Clara li servì a tavola, osservandolo attentamente. Quando se ne andò, Beatrice le saltò addosso: «Allora? Non è fantastico?»

— Carino, — rispose Clara asciutta. — Ma non fa per te. Ha gli occhi avidi, appena entrato si è guardato intorno. C’è invidia in lui, Bea. Non è il tuo tipo.

— Ma zia Cla’, che ti viene in mente! — si offese Beatrice. — Con chi sta— **Lasciami decidere da sola con chi stare!** ribatté Beatrice, incrociando le braccia con fare ribelle.

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