Ho dato tutto per la felicità di mia figlia… e in cambio ho ricevuto un tradimento
Non ho mai cercato il lusso. La mia vita è stata una sequela di compromessi, fatica, sacrifici silenziosi. Non ho chiesto molto né al destino né alle persone. L’unica cosa che ho sempre desiderato davvero era vedere mia figlia serena. Che avesse una famiglia, calore, amore. Per questo ho accettato qualsiasi cosa. Anche quando il cuore mi si spezzava.
Mi chiamo Valentina, ho 57 anni. Mia figlia, Giulia, è tutto ciò che mi resta. Mio marito è morto quando lei aveva otto anni. Io ne avevo trentadue. Io e Nicola siamo stati insieme solo un decennio, ma in quel tempo è diventato la mia vita. La sua morte ha diviso la mia esistenza in un “prima” e un “dopo”. Da allora, ho vissuto per lei. Ho lavorato due turni perché non le mancasse nulla: studi, vestiti, sogni.
Giulia si è laureata, ha trovato un buon impiego. Si è innamorata. Matteo, il suo fidanzato, mi sembrava riservato, educato, forse un po’ chiuso, ma lei lo definiva “una roccia”. Mi sono commossa quando hanno deciso di sposarsi. Si organizzavano per il matrimonio, e io pensavo: dove vivranno?
Il monolocale di mia madre è troppo stretto. Il mio bilocale in centro, invece, è spazioso, luminoso, curato. Così ho preso la decisione: mi sarei trasferita da nonna, lasciando l’appartamento a loro. Non ho esitato. Era il mio investimento per il loro futuro. Lasciare quella casa, piena di ricordi, è stato doloroso. Ma mi ripetevo: per Giulia… tutto per Giulia.
Prima di andarmene, ho fatto qualche ritocco: intonaco fresco, tubature sistemate. Non potevo permettermi una ristrutturazione, ma tutto era in ordine. Lei stessa mi ha detto: “Mamma, qui è perfetto”. Le ho creduto.
Poi è arrivata sua madre, Lidia Rossi. Donna prepotente, con un’aria di superiorità. Ha esordito senza mezzi termini:
“Valentina, quando pensi di rifare completamente la casa? I giovani meritano di partire dal meglio!”
Ho cercato di spiegare che l’appartamento era già accogliente, ma ha sbuffato:
“Ma dai! Queste pareti sembrano uscite dagli anni Novanta. Chi vive così?”
Trattenendo le lacrime, ho chiesto:
“Se le dispiace tanto, contribuisca pure.”
Lei ha riso sarcastica:
“Investire in casa altrui? Grazie, no.”
Ho taciuto. Il rancore mi bruciava, ma l’ho ingoiato. Per non essere la suocera invadente, mi sono allontanata. Non chiamavo, non visitavo senza invito. Rispettavo il loro spazio. Pensavo: vivano come vogliono. Sarò qui, se mi cercheranno.
Ma non mi hanno mai cercata.
A Natale, ho comprato più cibo del solito. “Lo dividerò con loro,” pensavo. Le borse pesavano, le mani tremavano. Il telefono era sepolto nella giacca, impossibile da raggiungere. “Entro senza avvisare, sono sua madre,” mi sono detta. Cosa poteva mai succedere?
La porta era aperta. In cucina, Lidia sorseggiava caffè, sfogliando ricette. Accanto, una lista della spesa per i festeggiamenti. Mi sono bloccata.
“Vi state già organizzando?” ho sussurrato.
Mi ha guardato come un’estranea:
“Non lo sapeva? Festeggiamo qui con le nostre famiglie. Abbiamo invitato tutti…”
Tutti. Tranne me. E nonna.
Ho sentito crollare il mondo. Ho regalato la mia casa. Mi sono ritirata senza lamenti. Ho rispettato ogni confine. E il ringraziamento? Neppure un invito. Il primo Natale insieme, e io sono invisibile.
Sono uscita in silenzio. Ho lasciato i sacchetti davanti alla porta e sono tornata sotto la neve. Nessuno mi ha seguita. Nessuna chiamata. Neppure un “perché te ne sei andata?”.
Non so come sopravvivere a questo strappo. Come perdonare. Come sorridere, col cuore in frantumi. Non capisco cosa ho fatto di male. Ho dato il meglio di me. Tutto. E in cambio, indifferenza. Non cerco gratitudine. Solo di non essere dimenticata.
Dimmi… tu perdoneresti?