Un Amore che si Trasforma in Odio: La Confessione di una Madre

Lo zio Luca Giacomo non gli piacque affatto fin dal primo momento, anzi, lo odiò profondamente.

La mamma, nervosa e con le dita che si torcevano, quella sera disse al figlio di otto anni:
“Giacomo, conosci lo zio Luca. Lavoriamo insieme, e ora abbiamo deciso di vivere insieme.”

Giacomo aggrottò le sopracciglia, senza capire. Cosa significava? Che quell’uomo estraneo sarebbe rimasto lì con loro?
“E papà?” Giacomo lanciò uno sguardo pieno di rabbia alla madre e poi all’uomo che stava sulla soglia.
“Giacomo, non iniziare!” La voce di sua madre si alzò, ancora più tesa.

“Papà tornerà! Tornerà di sicuro! Non abbiamo bisogno di te!” Giacomo urlò verso lo sconosciuto. Le lacrime gli bruciarono gli occhi, e corse di sopra, sbattendo la porta della sua camera.
La mamma lo seguì, sedendosi sul letto. “Giacomino, quante volte devo dirtelo? Tuo padre ci ha abbandonati. Ha lasciato me e ha lasciato te. Non tornerà mai più. Ma lo zio Luca è una brava persona. Vedrai, si prenderà cura di noi, diventerete amici.” Le sue mani accarezzavano i capelli di Giacomo, che però non si voltò, rivolto al muro. Non le credeva, non voleva sentire.

Papà prima partiva spesso per lavoro, con il suo grande camion, ma tornava sempre. Allegro, con regali per lui e per la mamma. Appena entrava dal cancello gridava: “Eccomi! Chi è arrivato?” e Giacomo correva verso di lui a braccia aperte: “Papà, papà! Cosa mi hai portato?”
Ma l’ultima volta, prima che partisse, aveva parlato a lungo con la mamma in cucina. Lei piangeva, e lui ripeteva: “Marietta, basta scene, sapevi che ho un’altra famiglia. Devo pensare a loro.” Giacomo aveva solo sei anni, non capiva perché la mamma piangesse. Papà parlava di loro, della loro famiglia, no? Non poteva esistere un’altra famiglia.
La mattina dopo, quando si svegliò, papà non c’era più. “Quando torna?” aveva chiesto alla mamma, che quel giorno era stranamente silenziosa. Non volle crederle quando gli spiegò che non sarebbe più tornato, che aveva un’altra moglie, altri figli, e che loro ormai non contavano più nulla.
Giacomo si era infuriato, urlando che mentiva, che papà lo amava e sarebbe tornato. Ma i mesi passavano, e lui non si faceva vivo. La mamma sibilava se osava chiedere di lui. E ora, nella loro casa, c’era questo zio Luca.

La mamma uscì dalla stanza. In cucina, lo zio Luca mormorò:
“Marietta, non avresti dovuto dirglielo così. Dovevamo prepararlo.”
“Si abituerà. Andrà tutto bene,” tagliò corto la mamma.

A colazione, lo zio Luca era seduto con loro. Lodava la frittata come se fosse un piatto straordinario. La mamma sorrideva, versandogli il tè caldo.
“Giacomino, vuoi che ti porti a scuola? Potresti anche guidare un po’,” propose lui.
“Ci vado da solo,” borbottò Giacomo.
Anche papà lo faceva sedere al volante del suo camion, anche se spento. Gli piaceva girare il volante, toccare le leve, immaginare di viaggiare verso l’orizzonte. Ma da questo zio Luca non voleva nulla.
Per fortuna, non insistette. La mamma non lo rimproverò neanche per la scortesia.

Più tardi, però, Giacomo sbirciò la macchina di lui. Non era una vecchia Fiat come quella del nonno Giuseppe, ma una bella auto grigio-argento. Lo zio Luca e la mamma partirono in direzione della città, e lei gli fece un cenno dalla finestra. Lui suonò il clacson, ma Giacomo non salutò.

Due case più in là, il suo migliore amico, Sandro, lo aspettava sulla panchina.
“Che sfortuna, eh? Adesso comincerà a farti la predica,” disse grattandosi la nuca. Era un gesto automatico, ogni volta che pensava al suo patrigno, lo zio Marco, un ubriacone che lo sgridava e gli dava schiaffi senza motivo. La madre di Sandro non lo difendeva mai. Anzi, beveva con lui e credeva che “un uomo sappia come crescere un altro uomo.”
Giacomo rabbrividì all’idea che anche lo zio Luca potesse essere così.

Ma si sbagliava. Lo zio Luca non beveva. Lavorava in giardino, riparava cose, e chiamava sempre Giacomo per aiutarlo. Lui rifiutava, ma poi lo osservava di nascosto. Con il tempo, la casa diventava più bella, la mamma più felice.
E lui, invece, diventava più arrabbiato, nascondendo attrezzi e chiodi, sperando che lo zio Luca perdesse la pazienza. Ma lui non si arrabbiava. Sorrideva e diceva: “Oh, folletto dispettoso, ridammi i miei attrezzi,” ammiccando come se fosse un gioco.

Una sera, Giacomo tornò con un occhio nero dopo una rissa con dei ragazzi più grandi. Lo zio Luca lo fissò serio:
“Giacomo, vuoi parlarne?”
“Non ho bisogno di voi,” sbuffò lui, scappando in camera.

Ma quella sera sentì la loro conversazione in cucina.
“Se è stato solo un litigio, va bene, deve imparare a difendersi,” diceva la mamma.
“Ma se lo stanno prendendo di mira? Con tutto quello che sta vivendo… Domani vado a parlare con la maestra, senza farglielo sapere,” propose lo zio Luca.
Giacomo digrignò i denti. “Che bisogno c’è del tuo aiuto?”

Il giorno dopo mise il sale nel tè dello zio Luca, un gesto stupido, ma non poteva trattenersi.
Ma lui non batté ciglio. Bevve un sorso, sorrise, e versò via il tè.
“Era freddo, ne faccio un altro.”

Passarono i mesi. Una sera, Giacomo tornò a casa e trovò solo lo zio Luca.
“Dov’è la mamma?” chiese sospettoso.
“Non preoccuparti. È in ospedale solo per precauzione,” spiegò lui con calma.
“Perché? Cosa c’è che non va?”

Lo zio Luca esitò. “Presto avrai un fratellino o una sorellina. La mamma deve riposare.”
Giacomo si irrigidì. Un altro figlio? Allora lui non serviva più a nessuno. Decise di scappare.

Quella notte, riempì lo zaino e scivolò fuori di casa. Camminò nelle strade buie del paese, immaginando il rimorso della mamma. Ma più si allontanava, più i suoi pensieri cambiavano.
Lo zio Luca non era poi così male. Aveva sistemato la casa, lo portava a pesca, gli aveva regalato un drone a Natale… La mamma sorrideva di più, era meno stanca.
E suo padre? Tre anni senza notizie. E anche prima, quando tornava, era solo per un giorno o due. Gli dava un regalo, ma non chiedeva mai com’era andata la scuola.
Mentre rifletteva, i suoi piedi scivolarono. Si trovava sul ghiaccio del fiume, già fragile in primavera. Un crepito. Il cuore gli batté forte.

Lo zio Luca aveva già capito. Lo cercò dappertutto, finché non lo vide sprofondare nell’acqua gelida.
“Tieniti forte, figliolo!” gridò, tuffandosi.
Giacomo afferrò il bordo del ghiaccio, terrorizzato.
“Tutto qui, è finitaLo zio Luca lo tirò fuori dall’acqua gelida, lo strinse forte e Giacomo, tremante e con le lacrime mescolate alla pioggia, sussurrò: “Grazie, papà.”

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