Nel pomeriggio, al ritorno dal lavoro, tornai a casa con lo stomaco che brontolava. Ludovica non c’era, ma in cucina trovai una nota scribacchiata su un foglio di carta d’incarto:
«Ciao, mi sono fermata da Tizì a bere un caffè. Se hai fame, puoi ordinare una pizza.»
Guardai nel frigorifero, che sembrava svuotato da un ciclone, ma risolsi con un panino al pomodoro e un bicchiere di merendina. Sprofondai sul divano, esausto, e crollai in un sonno pesante.
Ludovica tornò alle nove. Mi svegliò con una carezza e io balbettai:
—Tesoro, non abbiamo cenato?—
—A quest’ora non posso— disse secca, accendendosi una sigaretta. — Sto seguendo una dieta.—
—Ma io sono morto di fame!— ribattei, imbronciato. —Ho guidato tutto il giorno. Non mi offri una zuppa, almeno?—
—Se preferisci, lo preparo io, ma devi aspettare. Ho già cenato da Tizì.—
Sentii un groppo in gola. —E cosa ha mangiato?—
—Hanno portato un’oca— mi disse con un sorriso smaliziato. —Fresca di campagna.—
—Arrosto?— chiesi allungando le mascelle.
—Con le mele, sì. Lei ha uno zio contadino. Prova a chiedergli, magari ci invita. Ho la sensazione che non ti abbia mai offerto un boccone decente…—
—Ma che scherzo è?— bofonchiai. —Volete farmi andare a cena a quest’ora da una vecchia scapolo? Costa una fortuna!—
—Tizì è gentile— mi rassicurò, già impugnando il cellulare. —Fidati. Non è il momento di fare troppo il difficile.—
—No, no— urlai, precipitandomi verso la porta. —Meglio digiunare.—
Ma Ludovica aveva già parlato. —Tizì, c’è un cambiamento di programma… sì, sì. Lo convinco io, non preoccuparti. Vuole assaggiare l’oca. Fai spazio al tavolo!— Passò la telefonata a me, con un ghigno. —Ecco, parla tu. Penserà che ti sei pentito.—
Dopo un’ora di salse e salumi, mi ritrovai seduto in veranda a mangiare con Tiziana. Era pieno di chiacchiere e luce soffusa, ma ogni boccone sembrava accompagnato da risate che non mi appartenevano. Ludovica, in camera, faceva l’ennesima doccia. Quando tornai a casa, passai davanti alla stanza da bagno e udii l’acqua stillare. Aspettai dieci minuti, poi altri dieci.
Alle undici, non resistetti più. Chiamai Ludovica. Rispose con un sospiro: —Ah, sì, è da Tizì che ti diverti… mica da sola.—
—Chi ti permette di…— gracchiai, tremando. Ma lei interruppe la chiamata.
Quella sera capii che a volte l’erba del vicino brilla di luce propria, ma l’importante è non perdere chi ti ama davvero.