Un Errore Fatale

Fiorella si svegliò di colpo, trafitta da un dolore acuto. Qualcosa le era apparso in sogno, qualcosa di importante, ma il male l’aveva distratta, facendole dimenticare tutto. Mai aveva provato una sofferenza simile, che le si irradiava dalla pancia fino alla schiena.

Rimase immobile, ascoltando il proprio corpo. Il dolore sembrava attenuarsi. Con cautela si sedò sul letto, ma appena provò ad alzarsi, una fitta lancinante la trapassò di nuovo. Lanciò un grido e scivolò a terra. A carponi raggiunge il comodino dove aveva lasciato il telefono in carica.

Chiamò l’ambulanza in ginocchio, con una mano appoggiata al pavimento. “Devi calmarti, arriveranno presto,” si ripeteva. “Ma la porta? Devo aprirla!” Si trascinò verso l’ingresso, il dolore che pulsava nella pancia come un fuoco.

Cercò di rialzarsi per slacciare il chiavistello, ma il male tornò più forte. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Ecco cosa significava essere soli: non che non ci fosse nessuno a portarti un bicchiere d’acqua, ma che nessuno poteva aprire la porta ai tuoi salvatori. Si morse il labbro fino a farlo sanguinare e fece un ultimo sforzo. Riuscì ad aprire la porta, poi perse i sensi.

Attraverso una nebbia nella mente, sentì voci lontane, domande che le rivolgevano. Rispose, o almeno le parve.

Si risvegliò in una stanza d’ospitale, il sole basso dell’autunno che accecava dalla finestra. Si scostò con un sussulto, accennando una smorfia per il dolore sotto le costole. La pancia le sembrava gonfia, ma quasi non sentiva più male.

Poco prima, mentre cercava ancora una volta di lasciare Eugenio, aveva pensato che sarebbe stato meglio morire che vivere così. Senza marito, senza figli. Sola. A che pro vivere? Eppure, quella notte, aveva avuto paura, aggrappandosi alla vita con tutte le forze. Aveva capito quanto fosse terribile morire così, all’improvviso, senza nessuno accanto.

“Sei sveglia? Chiamo l’infermiera.”

Fiorella voltò la testa verso la voce. Nella branda accanto c’era una donna pingue, indefinibile d’età, avvolta in un accappatoio di flanella a fiori gialli su fondo blu.

Poco dopo entrò l’infermiera.

“Come ti senti?” le chiese.
Era giovane, con le guance rosee. O forse era l’effetto della cuffietta rosa che indossava?

“Bene,” rispose Fiorella. “Cos’ho?”

“Il dottore verrà presto a spiegarti tutto,” disse la ragazza, poi uscì.

Fiorella intravide una lunga treccia bionda che le scendeva fino ai fianchi. Ma le ragazze portano ancora le trecce?

“Sei in ginecologia. Ti hanno portata qui due ore fa. Hai dormito tanto, piccola,” disse la compagna di stanza.

“Piccola.” Ultimamente la chiamavano sempre “signora” o “cittadina” al mercato e sull’autFiorella sorrise tra le lacrime, stringendo a sé Eugenio, mentre fuori la pioggia leggera bagnava i tetti di Venezia, e per la prima volta in anni sentì che la vita, nonostante tutto, era ancora piena di possibilità.

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