Un eterno ragazzo: l’uomo che non ha mai lasciato la sua mamma

Oggi mi è tornato in mente un pensiero che mi perseguita da tempo. Ho deciso di scriverlo qui, nel mio diario, per mettere ordine alle emozioni.

Quando finalmente ho deciso di sposarmi, avevo già superato i trentacinque anni. Non avevo fretta, non volevo buttarmi tra le braccia del primo che passava. Desideravo un sentimento vero, profondo, consapevole, come nelle grandi storie d’amore: complicità, calore, reciprocità. E, a dirla tutta, vivere da sola mi andava più che bene.

Avevo un lavoro stimolante, uno stipendio dignitoso, e alle spalle decine di paesi visitati grazie ai miei viaggi di lavoro. I weekend li passavo con le amiche, tra locali, gite fuori porta e avventure last-minute. Tutto sembrava perfetto. Fino a quando i parenti non hanno iniziato a tormentarmi: «Ma quando ti decidi a sposarti?», «Non ci fai nemmeno un nipotino?», «Tra poco sarà troppo tardi…».

Anche le amiche, purtroppo, una dopo l’altra si sono sistemate. Eravamo le paladine della libertà, e adesso eccole lì, tra pappe e pannolini. Io, invece, sono rimasta sola.

Al lavoro, c’era un collega che da tempo mi mostrava interesse: Massimo. Educato, galante, di bell’aspetto, un po’ più grande di me. Però non era mai stato sposato. Ed era proprio questo che mi insospettiva. Un uomo vicino ai quaranta, sempre single… non è strano?

Ma Massimo giurava di non aver mai evitato il matrimonio. Anzi, diceva di sognare da sempre una famiglia, dei figli, una casa accogliente. Solo che non aveva mai trovato “quella giusta”.

Quando mi ha invitato di nuovo al bar, ho pensato: perché no? C’era sintonia, potevamo parlare di tutto, sembrava una persona affidabile. E ho detto di sì. Pochi mesi dopo, ci siamo sposati.

Il matrimonio è stato semplice ma sentito. Ed è stato proprio allora che ho capito perché nessuna, prima di me, era riuscita a “mettere le mani” su Massimo.

La risposta? Sua madre.

O meglio, il suo attaccamento morboso a lei. Quell’uomo, all’apparenza maturo, si è rivelato il classico mammone.

All’inizio vivevamo nel suo appartamento a Milano. Lei, senza mezzi termini, non ci lasciava respirare. Ogni nostra scelta passava attraverso il suo giudizio: dal colore delle lenzuola a cosa cucinavo a colazione. Ogni passo era controllato. E Massimo? Lui annuiva. Lui obbediva. Aveva paura anche solo di contraddirla.

Quando provavo a parlargli di un nostro spazio, lui si agitava, cambiava discorso, faceva finta di niente. Solo dopo mille insistenze abbiamo ottenuto un mutuo e ci siamo trasferiti in un appartamento nuovo, luminoso.

Ma purtroppo, la distanza fisica non ha significato libertà.

Massimo continuava a vivere sotto il comando di sua madre. Il weekend? Pranzo da lei. Ogni sua decisione era preceduta da una telefonata: «Mamma, che ne pensi di…?» Persino le lampadine le comprava solo se lei diceva che andavano bene. E i fiori per me? Solo se glielo ricordava lei.

All’inizio ho chiuso un occhio. Soprattutto quando i nostri figli erano piccoli e io avevo lasciato temporaneamente il lavoro. Pensavo: lui si impegna, lavora sodo, e sua madre è un punto di riferimento.

Ma col tempo le cose sono cambiate. Sono tornata a lavorare, ai miei progetti, alla mia routine. E ho iniziato a sentire sempre più il peso di quell’uomo incapace di prendere una decisione da solo.

Ero stanca, ma non per il lavoro. Piuttosto, per quella dipendenza costante: «Mamma ha detto…», «Mamma consiglia…», «Secondo mamma…». Lei era diventata l’intrusa nel nostro matrimonio.

Ora sono di nuovo indipendente. Posso mantenere me stessa e i miei figli. E sempre più spesso mi chiedo: Massimo non è un marito, è un altro bambino. Solo che non è più tenero, è solo un adulto testardo e infantile, attaccato alla gonna di sua madre.

E ora eccomi qui, a un bivio. Restare per i bambini, fingere che vada tutto bene? Oppure salvarmi, ritrovare la mia serenità e andarmene?

A chi ci è passato: cosa avete scelto? Vale la pena lottare per una famiglia dove uno dei due ha già donato il cuore a un’altra donna, anche se si tratta di sua madre?

La lezione che traggo oggi è questa: l’amore deve crescere, non soffocare. E nessun legame, per quanto sacro, dovrebbe mai sostituire il rispetto di sé.

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